domenica 24 giugno 2007

paese del MoliseLISTA AUTORI  MOLISANI o di ORIGINE MOLISANA



 





ANGELONE Antonio, commedie dialettali


BONAFFINI Luigi, poeta, saggista italo-americano


BENNI Stefano, romanziere con humour La compagnia dei Celestini.


BERNARDO Aldo, studioso del Petrarca, Stati Uniti


BULDRINI Michele, scrittore


CAMPOLIETI Giuseppe, biografie storiche romanzate Marin Faliero: il doge decapitato.


CAPALOZZA Teodosio, libri per bambini, inizio Novecento


CARDUCCI Lisa, poetessa canadese


CIAMPITTI Franco, scrittore isernino, epoca fascista (romanzi di successo sullo sport)


CIARLANTI Giovanni Vincenzo, Memorie historiche del Sannio


CORSI Pietro, romanziere italo-americano


D’ACUNTO Sabino, poeta, saggista


D’ALFONSO Antonio, scrittore e editore  canadese (francese e inglese)


DAVID FIORAMORE Carole, scrittrice canadese


DeLILLO Don, romanziere  Rumore Bianco americano (inglese)


DEL VECCHIO Felice, romanziere


DE MARTINO Renata, scrittrice “noir” napoletani originaria di S. Pietro Avellana La bambola cinese.


DI TELLLA Torquato, romanzo sul padre, riscritto e tradotto da Michele CASTELLI (argentino il primo  e venezuelano il secondo)


D’OVIDIO Francesco, filologia, glottologia


FIORITO Joe, romanziere canadese


GALASSI Johnatan,  scrittore, traduttore, casa editrice New York


GAMBERALE Luigi, Il mio libro paesano


GIOVANNITTI Arturo, poeta, sindacalista, The Walker


INCORONATO Luigi, scrittore, Scala a san Potito


JOVINE Francesco, romanziere


JOVINE Giuseppe, scrittore, saggista


LALLI Renato, saggista


LONGANO Francesco, Viaggio per il contado di Molise


MAIORINO Tarquinio, giornalista e scrittore


MANUPPELLA Giacinto, lusofono


MARRACINO Mario, scrittore isernino dalla vena umoristica


MARTELLI Sebastiano, saggista


MELFI Mary, scrittrice canadese (francese)


MICONE Marco, commediografo e scrittore canadese


MOLINO Giuseppe, scritti emigrazione originario di Casacalenda


PALMIERI Marco 


PIETRAVALLE Lina, romanziera molisana, nata per caso a Fasano in Puglia


RANALLO Joseph, di Vinchiaturo, docente universitario, scrittore e poeta anglofono in Canada


RICCI Nino, scrittore canadese (inglese)


RIMANELLI Giose, scrittore italo-americano


ROSSI Vincenzo, scrittore


RUSSO Carla Maria, romanziera, La sposa normanna, Il cavaliere del giglio


SALVATORE Filippo, scrittore italo-canadese


SANTILLI Elvira, scrittrice, poetessa


TABASSO Giuseppe, giornalista, saggi sul Molise


TASSINARI Simonetta, scrittrice, saggista


TULLIO Raffaele, saggi di storia su Roma antica


VITALE Carlos, scrittore argentino (spagnolo)

venerdì 22 giugno 2007

Articolo di Barbara Bertolini su

Le vicende sentimentali del tenore Enrico Caurso : Canto d'Amore di Mary di Michele tradotto da Gabriella Iacobucci



Canto d’amore, la storia  romanzata della vita sentimentale del tenore Enrico Caruso, è l’ultima opera tradotta da Gabriella Iacobucci del libro della canadese  Mary di Michele,   dal titolo originale Tenor of Love.

Dopo  Il fratello italiano, La terra del ritorno di Nino Ricci e Sui cantieri di Toronto di Frank Colantonio,  la Iacobucci  porta in Italia l’opera di un’altra autrice italo-canadese.

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La nuova generazione di autori canadesi è ricca di talenti letterari, che provengono spesso dall’emigrazione. E quella italiana, in particolare, è davvero numerosa. A parte Ricci e Colantonio, vi sono Marco Micone, Carole David Fioramore, Antonio D’Alfonso, Joe Fiorito, Pietro Corsi, Filippo Salvatore, Ermanno La Riccia, per dirne qualcuno, che fanno capire come l’integrazione degli emigrati italiani in Canada abbia funzionato.



Il merito della Iacobucci non è, infatti, solo quello di aver tradotto, in modo sensibile ed accurato, le opere di questi scrittori ma di averli scoperti, promuovendoli presso le case editrici italiane.

Una “Fernanda Pivano” molisana che riesce a far conoscere e valorizzare una parte importante della letteratura d’oltreoceano prodotta da autori di prima e seconda generazioni di emigrati provenienti per lo più dal Sud Italia. 

Una ricchezza che la Iacobucci ha scoperto durante i suoi viaggi in terra d’America. Tornata a casa ha poi voluto valorizzare questi scrittori realizzando nel Molise un’associazione culturale, “Molise d’autore”, con  lo scopo di diffondere le opere poco conosciute degli autori di origine molisana che si sono affermati nel mondo.



Ma per ritornare alla traduzione, senza la quale un libro non potrebbe circolare nei paesi esteri se non tra un limitato gruppo di persone che conoscono più lingue, non sempre il lettore, leggendo opere di autori stranieri, se ne preoccupa. Preso dalla trama, non riesce ad immaginare la grande fatica di trasposizione che richiede un testo scritto in un’altra lingua.

Lui, l’oscuro traduttore, si trova davanti ad una sola certezza: la storia già scritta, e a molti dilemmi: espressioni, modi di dire, linguaggi specifici non rintracciabili nella nuova lingua, e termini che non sempre corrispondono all’espressione originale.

Basta vedere cosa succede quando utilizziamo un traduttore automatico: un testo surreale e che solo con grandissima intuizione si riesce  a capire.

Insomma, difficilmente si percepisce che il traduttore è praticamente un secondo scrittore che ha dovuto rifare da capo tutta la storia. Ecco perché si parla sempre del traduttore traditore, perché è impossibile non tradire, non filtrare attraverso la propria sensibilità emozioni, sensazioni, raccontate in una lingua diversa, poiché la sensibilità è qualcosa di intrinseco, specifico dell’individuo e i modi di esprimerla sono diversi da lingua a lingua, da cultura a cultura.  E, non sempre, le traduzioni sono poi peggiori del testo originale. Anzi. 



Per il lettore quello che è importante è che le righe scorrano senza intoppi, che venga captato dalla storia a tale punto da dimenticare ciò che lo circonda;  che il suo pathos o il suo interesse vengano totalmente assorbiti, ed è quello che avviene in “Canto d’amore”, la storia romanzata della vita libertina di Enrico Caruso, che ha preferito scappare in America per sfuggire a una situazione sentimentale complicata.  Metà gentiluomo, metà malandrino, di aspetto non certo bello, Caruso ha saputo conquistare il cuore delle donne grazie ad una voce eccezionale e ad un forte carisma. Storie d’amori d’altri tempi dove la donna era disposta a sacrificare tutto per il suo uomo.



Di romanzi scritti su Caruso ce ne sono molti, tra cui quello del figlio avuto dalla sua amante Ada Giachetti, Enrico Caruso jr,  e quello della moglie ufficiale Dorothy Caruso.

Ma la canadese Mary di Michele ispirata dalla bella canzone di Lucio Dalla, Caruso, ascoltata per caso in suo soggiorno in Italia nell’estate del 2003, ha voluto rivisitare la storia di Caruso, colpita in particolare dalla storia rimasta sempre in penombra delle due sorelle Giachetti, innamorate tutte e due del tenore e il cui padre ha aiutato il napoletano quando muoveva i suoi primi passi artistici.

Essa, in questo romanzo, ha voluto offrire l’aspetto umano della vita sentimentale del tenore,  restituendo il giusto posto a Ada e Rina Giachetti, senza tralasciare la moglie americana.

Tuttavia anche se i personaggi messi in scena sono quelli reali, e i fatti essenziali rispettano la realtà storica, Canto d’amore non è una biografia ma il frutto magnifico di una finzione letteraria.  



Canto d’Amore, Mary di Michele, traduzione di Gabriella Iacobucci, Marlin editore, Napoli 2006

«Mai sottovalutare il potere di seduzione di una bella voce. Il divo dell’opera italiana Enrico Caruso era piuttosto basso e grassoccio, niente a che vedere con il suo connazionale e contemporaneo Rodolfo Valentino. Ma le donne non potevano resistergli. Canto d’amore è la storia, in parte romanzata, di un triangolo amoroso di cui furono protagoniste e vittime due sorelle livornesi, Ada e Rina Giachetti, la prima già sposata e la seconda sedicenne appena. Da Ada, che era un  soprano famosa, Caruso ebbe due figli, ma quando si accorse che stava per scoppiare uno scandalo preferì andare a cercare fortuna oltre l’Atlantico e in seguito, conosciuta l’americana Dorothy B. Park a New York, se ne innamorò al punto da sposarla, rinunciando alla fedele Rina che attendeva il suo ritorno in Italia. Nella prima parte del romanzo è proprio Rina a narrare la vicenda. Nella seconda le subentra Dorothy, folgorata dalla voce del cantante proveniente da un negozio di dischi, e poi sua compagna per i pochi anni che gli restarono da vivere. Canto d’amore è quel raro genere di romanzo in cui una narrazione forte eppure delicatamente modulata e una descrizione deliziosamente sensuale si combinano con sorprendente naturalezza».



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Senza titolo 0

Canto_dL’ASSAGGIO   di  CANTO D’AMORE, di Mary di Michele, tradotto da Gabriella Iacobucci


<<Forse perché ero passata dalla luce accecante di fuori alla fresca oscurità della casa, mi sembrava tutto così buio e i contorni delle cose confusi. Sentii il suo odore, prima di vederlo. Il suo profumo era una musica oscura composta di muschio e legno, e sì, anche odore di cucinato. Infatti c’era qualcos’altro che avvertivo, oltre ai capelli lucidi di brillantina e al sentore di stantio dei suoi vestiti. Era l’odore di olio da cucina e olive siciliane condite con aglio e peperoncino. Era un odore di pasti consumati a letto, non quelli dei malati, ma degli amanti.


La borsa dei carciofi mi cadde dalle mani. Le teste rotolarono sciolte, senza un filo di sangue, come sotto la lama affilata di una ghigliottina. Mi buttai carponi per raccoglierli e me le misi in grembo.


“Signorina.” Al suono della sua voce alzai lo sguardo, e fu allora che lo vidi per la prima volta, vidi la sua faccia dal basso. Ero inginocchiata. Lui aveva già cominciato a ridere, ma dal basso la sua faccia sembrava grave e i suoi occhi oscurati da ombre profonde.


“Signorina”, ripeté, e quando parlò le sillabe risuonarono come se fossi chiamata all’adorazione da una campana d’oro. Dico adorazione, ma la voce aveva corpo, non solo spirito. Forse avevo assaporato qualcosa di simile; forse era come la panna, la panna quando è montata, gonfia di dolcezza. Provai un senso di debolezza allo stomaco e alle ginocchia. Sentii un fremito, in basso, come se una farfalla, in letargo per sedici anni, fosse all’improvviso uscita dal bozzolo e stesse sbattendo le ali contro il mio sesso.>>

mercoledì 6 giugno 2007

Estratto da

"L'odore del mare"  di Pietro Corsi



Affacciato al balcone della mia infanzia, vedo una lunga vallata verde: si insinua, come coda di serpente, tra le gole delle montagne che con incomparabile armonia si slavano fin sulla linea del lontano orizzonte. Qua e là, vecchie case coloniche affumicate dalla patina del tempo, e il bruno di boschi chiusi fitti. Sembrano baffi sporchi sulla tela di un pittore distratto o stordito dalla serenità del paesaggio. Nella parte bassa, è tagliata in due da un torrente conosciuto con l’improbabile nome di Cigno; torcendosi tra le piante ai piedi dei monti, e rallegrate dal cinguettio degli uccelli, dove bagnando canneti e dove carezzando la folta vegetazione, le sue acque scorrono con pigra e rassicurante lentezza. Si perdono, si ritrovano, si perdono nuovamente e nuovamente si ritrovano prima di perdersi di nuovo e per sempre in un punto lontano, nascosto. Lì confluiscono con quelle del fiume Biferno e assieme continuano il breve corso prima di sfociare, leggere e vaporose, in quelle dell’Adriatico.


 


Tratto da  L’odore del mare, di Pietro Corsi,  p. 11, edizione Il grappolo, S. Eustachio di Mercato S. Severino (SA), 2006

Pietro Corsi e la sua opera

Pietro Corsi  a CasacalendaPietro Corsi


Nato nel 1937 a Casacalenda (Molise), verso la fine degli anni ’50 Pietro Corsi raggiunse suo fratello emigrato in Canada e lì iniziò una collaborazione con il giornale italiano “Il Cittadino Canadese” su cui appare il suo primo racconto, La Giobba, che narrava le disavventure di un contadino molisano emigrato a Montreal.


Si trasferì poi in California, dove vive tuttora con la famiglia facendo però la spola tra Los Angeles e il suo paese natio, a cui è molto legato.


Dopo aver narrato, in una serie di romanzi, storie della sua terra d’origine e dei paesi latinoamericani nei quali è vissuto, dedica il suo ultimo lavoro, L’Odore del Mare, (ed. Il Grappolo, 2006) alla sua straordinaria esperienza, durata 27 anni, sulle navi da crociere di una delle più prestigiose compagnie, la Princess Cruises di Los Angeles, dove iniziò come ispettore di bordo nel 1965 diventando infine Vice Presidente Esecutivo per una flotta di dieci navi.


 


Tra le opere di Pietro Corsi: La giobba (in inglese Winter in Montreal. Premio F.G. Bressani Vancouver 2002); Ritorno a Palanche (1966, 1985); Sweet Banana (in italiano Un certo giro di luna – 1984, 1987); Lo sposo messicano (1989); Amori tropicali di un naufrago (1990); Il morbo dell’ozio (1994); Omicidio in un paese di cacciatori (secondo premio ex-aequo Francesco Jovine/Parchi Letterari Piedicastello 2001); Halifax: l’altra porta d’America (Menzione speciale Premio letterario Piedicastello sezione saggistica, 2002-03. Menzione d’onore Premio internazionale Emigrazione. Pratola Peligna, 2003); L’Ambasciatore di don Bosco (2004).



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lunedì 4 giugno 2007

Estratto da Molise Molise di Giose Rimanelli


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Chi sono i molisani?


Carne sofferente, perduta. Li ho incontrati in Italia, attivi nei vari giornali, negli ospedali, dietro le cattedre accademiche, nei ministeri. E li ho incontrati a Montreal e a Toronto, costruttori di case e autostrade; e nel Bronx di New York dove un molisano, Arturo Giovannitti di Ripabottoni, diventò il bardo dei lavoratori negli anni venti, degli umili e degli afflitti, guardando al loro futuro attraverso la lotta di classe.


Ninna nanna, figlio di mamma,


Chi t’ha cantata la mia canzone?


Sei nato di marzo come il rondone,


Come la rosa canina e l’agrigna


Mora dei rovi e delle fratte


 


E li ho incontrati in Argentina e nel Brasile, anche lì costruttori, esploratori, dissodatori cauti e precisi.


I molisani non sono una nazione e  nemmeno una regione, ma un seme certo, profondo, araldico.


Ma con mio padre è diverso. E’ stato sempre diverso.


Io me la prendo con lui ora, perché ho scoperto la sua esistenza. E in essa la mia. E in essa la nostra, di molisani col sacco sulle spalle e la fantasia che brucia.


Lui è nato dove sono nato io, un villaggetto tra le colline appenniniche del Molise meridionale che Polibio chiamò Cales, i feudatari medievali Kalena e Casalchilenda, e gli unionisti ante e post Risorgimento Casacalenda.


Qui ho ascoltato le prime nenie della mia coscienza. Ero un bambino e ho visto gli uomini piangere, non soltanto le donne, per una frana che era arrivata, una mula morta, una bambina sventrata dall’autocarro, e la siccità che ha bruciato il raccolto.


Una delle nenie diceva:


          Possa essere benedetta, Rosa mia.


          Teneva le carni come una pollastra.


            Dove devo andarla cercando ora, Rosa?


            Possa essere benedetta.


            Chi vuole più dormire la notte, rosa mia Rosa?


E un’altra:


          Marito mio, sono rimasta con quattro figli.


          Come devo fare? Ho faticato per chiamare il sole.


            Una figlia di diciott’anni, robusta e grossa, una giovanone.


            E ora piangi e piangi, ma che ci fai più col pianto?


            Non ho più la figlia mia, non ho più lacrime


Ricchezza mia, cuore di mamma, figlia mia.


 


Tegole volavano dai tetti nella mia infanzia sotto i venti furiosi che scuotevano la terra e le nostre viscere. Due persone morirono con una tegola in testa. Al Circolo dei Galantuomini ripetevano un’antica storia. «Anche Pirro è morto con una tegola in testa. ah».


Questi galantuomini uscivano dalle loro calde case nel buio dei vicoli per una partita a carte al Circolo, raccontando i fatti e i fattacci della giornata. Erano il farmacista e il sindaco, il medico condotto e l’arciprete, l’orefice e l’avvocato, il segretario comunale e il geometra.


Si chiamavano Tata, Giambarba, De Simone, De Liberis, Scocchera, Miozza, corsi, Vincelli, Montagano, De Lisio. Io li guardavo per sapere chi erano. E presto la storia di Pirro raggiunse anche i barbieri e i sarti e i calzolai.


Io non capivo. Ma più tardi lo seppi.


Si attribuisce a Livio la storia di Pirro morto in Argo per la tegola ricevuta sulla testa. Ma nel Molise Pirro è popolare per un’altra ragione. I Sanniti, in una delle loro campagne contro Roma, si allearono con i Bruzi, i Lucani, i Piceni, i Messapi e i Salentini. La guerra era divampata tra Roma e Taranto, e Taranto ricorse all’aiuto dei popoli italici, e di Pirro re dell’Epiro. Pirro intervenne con le sue truppe (portava elefanti), e Roma ne ebbe timore. Ma stanco delle lungaggini della campagna se ne tornò in patria con un pretesto, e vi morì… con quella tegola in testa, appunto.  I Romani si rianimarono e decisero di dare una dura lezione ai confederati.


Invasero il Sannio. E da quel momento il Sannio divenne colonia romana. Il ricordo di Pirro, dunque, era legato alla perdita della libertà.


In una farmacia del mio paese vi lessi quando avevo tredici anni, incisa in ferro sul frontone del palazzotto, la strana scritta:


                   Incerti unitas


Indubius libertas


In omnibus charitas


E mi chiesi cos’era questo mio paese.



Tratto dal romanzo di Giose Rimanelli Molise Molise,  Marinelli ed., Isernia 1979, pp. 9-11 


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Giose Rimanelli e la sua opera

Giose Rimanelli è nato a Casacalenda nel 1926. La vita di questo scrittore molisano è caratterizzata dalla curiosità, dall’irrequietezza, dalla grande operosità. La sua passione per la scrittura nasce fin dall’adolescenza dove dimostra di possedere un vero talento nella elaborazione di racconti e poesie.


E’ con il libro “Tiro al piccione” che il ventenne Rimanelli ottiene la consacrazione di scrittore.  In questo libro egli racconta la storia di una giovane che vede la Resistenza dalla parte sbagliata. Questo racconto ispirerà poi  il regista Giuliano Montaldo per la realizzazione del film omonimo.


L’irrequieto Rimanelli, nato da padre Casacalendese e madre canadese (di origine molisana), che passa senza problemi da una sponda all’altra dell’oceano Atlantico, vive una vita tumultuosa, dove riesce a coniugare gli studi, la scoperta di paesi lontani, la letteratura e il giornalismo. Negli anni ’60 si trasferisce definitivamente negli Stati Uniti dove entra come professore nelle università americane occupando, poco a poco, cariche prestigiose. Infatti, prima di andare in pensione è stato emerito  Professore di Letteratura comparata d'Italiano nelle migliori università d’oltreoceano.


Numerose sono le sue opere in italiano e inglese scritte durante la sua lunga carriera.


 


Tra romanzi, narrative di viaggi e racconti sia in italiano che in inglese, ha pubblicato: Tiro al piccione (Mondadori, Milano 1953), Peccato originale (Mondadori, Milano 1954), Biglietto di terza (Mondadori, Milano 1958), Una posizione sociale (Vallecchi, Firenze 1959; nuova edizione con il titolo La stanza grande, Avagliano, Cava dei Tirreni 1996), Il mestiere del furbo (1959), The in casa Picasso (1961), Il corno francese (1962),  Modern Canadian Stories (1966), Carmina blabla (1967),  Monaci d'amore medievali (1967), Tragica America (1968), Poems make pictures, pictures make poems (1971), Italian literature: roots & branches (1976), Graffiti (1977), Molise Molise (1979), Moliseide (1990), Benedetta in Guysterland (premio American Book Award 1994). All'attività narrativa ha unito quella della poesia, della musica, del giornalismo, del teatro e della critica letteraria.


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La sua prima rassegna di “Un racconto per l’estate”, Molise d’Autore l’ha voluta dedicare all’opera di questo grande scrittore molisano. “Un contratto di matrimonio” -  che è stato messo in scena sulla suggestiva piazza Pertini di Casacalenda da Gabriella Iacobucci -  è  uscito nel 1947,  non solo è uno dei primi racconti di Giose Rimanelli, ma, a giudizio di molti critici, può essere considerato uno dei più belli della letteratura italiana.

domenica 3 giugno 2007

Giuseppe Maria GALANTI, biografia





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Giuseppe Maria GALANTI

Egli è considerato uno degli esponenti più qualificati dell’illuminismo meridionale. Nato il 25 novembre 1743 a Santacroce di Morcone, nel Contado del Molise, è primo di 12 figli. Il padre ne vuole fare un avvocato, mentre lui predilige le scienze e le lettere.

Di ingegno elevato e di grande cultura, riuscirà ad occuparsi di tutto. In particolare egli profonde un impegno eccezionale nell’indagine sulle condizioni delle province del regno meridionale indicando anche  le linee fondamentali per una possibile riforma.

Galanti viene spesso nel Molise, si ferma a Campobasso e ne accetta la cittadinanza. Ed è nel corso di una sua villeggiatura nella regione che decide di scrivere Descrizione dello stato antico e attuale del Contado di Molise, con un Saggio storico sulla costituzione del Regno. Un’opera che segna una svolta decisiva nella sua vita, facendolo entrare nel vivo dei problemi della società napoletana. Il secondo lavoro, un’indagine monumentale svolta in loco, con assoluta originalità d’impostazione, è  Descrizione geografica e politica delle Due Sicilie (1787-1790). In queste opere Galanti mette in pratica gli insegnamenti del Genovesi, di cui è stato allievo.

Moderato ed antigiacobino, anche se non prende parte ai moti rivoluzionari del 1799,  nella sua ultima opera, a pochi mesi dalla morte, avvenuta nel 1806,  ribadisce ancora la necessità di una grande riforma politica, proprio quando con i Francesi quella grande riforma da lui auspicata sta prendendo corpo.

                                                                                                                      Barbara Bertolini
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In occasione della celebrazione del bicentenario della Istituzione della Provincia di Molise (1806-2006), nell’aula del Consiglio Regionale, alla presenza della Presidente Dott.ssa Fusco Perrella,  lo studioso Renato Lalli, consigliere culturale dell’Associazione Molise d’Autore, ha parlato delle riforme del periodo francese del Regno di Napoli, nel cui ambito è nata la nuova “Provincia di Molise”.

Esso ha sottolineato come molte di queste riforme erano già state anticipate dagli illuministi molisani. Tra questi, Lalli ha preso in considerazione l’opera di Giuseppe Maria Galanti, Descrizione del Contado di Molise, pubblicata dall’ autore nel 1781. Un’opera che costituisce un vero laboratorio in cui Galanti sperimenta l’insegnamento genovesiano per conoscere a fondo la realtà meridionale.