mercoledì 20 febbraio 2008

CHI E' L'AUTORE? - 4



BRANO N. 6


L’italianità di qui: una strada verso l’universale


 


Avevo undici anni e credevo di essere italiano. Avevo appena vinto il concorso di storia religiosa della mia regione come una ventina d’altri chierichetti da tutta Italia. Avevamo appuntamento a Roma per la cerimonia d’investitura che avrebbe fatto di ognuno di noi un araldo di papa Pio XII. Quattro giorni a visitare monumenti, chiese e catacombe nelle mie scarpe annerite con la fuliggine e coi miei calzini di lana vergine.  La maggior parte dei miei compagni parlava con accenti mai sentiti prima. Soltanto il mio e quello di pochi altri però erano motivo di scherno. Gli italiani erano loro, noi eravamo terroni siciliani, calabresi e molisani.


Due anni dopo, appena arrivato a Montreal, venni trattato da maudit italien (maledetto italiano) salendo su un autobus  per non aver rispettato la fila d’attesa. Senza neppure capire il significato di maudit, intuii dal tono aggressivo che veniva rimproverata la mia mancanza di senso civico. Ero combattuto tra la vergogna di essere redarguito in pubblico e l’orgoglio di essere riconosciuto come italiano. Capii molto dopo che in quell’invettiva c’era il germe della mia nuova italianità.


Non esiste una sola italianità. A quella d’origine si aggiungono le numerose metamorfosi dovute alla diaspora. Tali trasformazioni cominciarono a prendere forma con l’emigrazione di massa del periodo antecedente alla Prima Guerra Mondiale. Più di dieci milioni di italiani emigrarono allora nelle Americhe, ma soltanto qualche migliaio di essi si stabilirono a Montreal all’inizio del XX secolo. Si dovrà attendere la fine del periodo fascista per vedere ancora gli italiani emigrare in Quebec. Oggi, circa 200.000 quebecchesi sono d’origine italiana


           


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L’italianité d’ici: une voie vers l’universel


 


J’avais onze ans et je croyais être Italien. Je venais de gagner le concours d’histoire religieuse de ma région comme une vingtaine d’autres pubères à travers le pays. Nous avions rendez-vous à Rome pour la cérémonie d’adoubement qui ferait de chacun de nous un héraut du pape Pie XII.  Quatre jours à visiter monuments, églises et catacombes dans mes souliers noircis à la suie et mes chaussettes de laine vierge tricotées à la hâte par ma mère. La plupart de mes camarades parlaient avec des accents  jamais entendus auparavant. Le  mien et ceux de quelques autres étaient les seuls à faire l’objet de moqueries.  Nous n’étions que des culs-terreux siciliens, calabrais ou molisans.


Deux ans plus tard, peu après mon arrivée à Montréal, je me fis traiter de maudit Italien en montant dans un autobus pour ne pas avoir respecté la file d’attente. Sans même comprendre le sens de maudit, je déduisis par le ton réprobateur qu’on me reprochait mon manque de civisme. J’étais partagé entre la honte d’être apostrophé en public et la fierté d’être reconnu comme Italien. Je compris longtemps après que, dans cette invective, il y avait le germe de ma nouvelle italianité. 


Il n’y a pas qu’une italianité. À celle d’origine s’ajoutent les nombreux avatars propres à la diaspora. Ceux-ci commencèrent à prendre forme avec l’émigration de masse d’avant la Première Guerre mondiale. Plus de dix millions d’Italiens émigrèrent alors vers les deux Amériques pendant que quelques milliers seulement s’installèrent à Montréal au début du vingtième siècle. Il faudra attendre la fin de la période fasciste  pour voir à nouveau les Italiens immigrer au Québec. Aujourd’hui, près de 200,000 Québécois sont d’origine italienne.


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martedì 19 febbraio 2008

CHI E' L'AUTORE? - 3

BRANO N. 5


SCOPRI AUTORE E TITOLO DELL’OPERA


In una bella mattina di ottobre sui monti, brizzolata d’argento, quieta e serena, col vento appena svegliato che spingeva le nubi verso il ciglio dell’orizzonte come per volerle ruzzolare per gioco di là dal mare, mia suocera venne per svegliarmi – toc toc – con quella sua pavida bontà cerimoniosa d’altri tempi per la quale bussare alla porta d’una signora che dorme era già «la mancanza».


«Entrate, mamma Elvira» risposi subito e rispondevo in sogno perché i tocchi eran leggerissimi, poveretta, come se mi bussasse in testa. Essa entrò e si scusò subito perché era più presto del solito.


«Ho fatto la mancanza, figlia mia, ma venne da Pescolanciano a prima ora di giorno un corriere di don Sisto che vi manda dicendo…».


«E che mi manda dicendo?».


«Che c’è la fiera e se a voi piace egli vuol aver l’onore di far la tavola alla sposa».


«Onore mio!». Ed intanto io mi beavo della pingue colazione mattinale e battevo il tempo con quel pesante cucchiaio d’argento così massiccio che rompeva le tazze nel fondo. Come sempre io mi riempivo le guance di biscotto e cioccolata ed ero in una disposizione di spirito felicissima.


«Sì, andiamoci, ma è pronto il carrozzino? E voi mamma Elvira, ci venite?».


«Io non ho vesti buone e vi faccio sfigurare. Verrà con voi zio Pasquale Primo…».


«Ma che Pasquale primo e secondo! Andate a mettervi la veste nera coi ceci bianchi e spopolerete».


«E il capo? Chi mi acconcia il capo?».


Sempre lagnosa, questa buona donna!


Quando fummo innanzi alla porta vi era già un piccolo gruppo di villici che guardava la nostra partenza col calesse di Castellammare, una cesta gialla tutta infioccata alla mercé di due asinelli sardi, neri, scarni ed occhiuti come grilli, detti «gli infami» per il grugno duro col quale mangiavano un campo di fieno al giorno, senza lavorare mai e tirando calci a più non posso. Mio suocero, sulla porta, cominciò ad arringarmi secondo il solito sul fausto evento del mio «stato interessante» coram populo.


«Badate, signora strafalaria, a starvi cautelata, a non scendere e salire come vien viene e se avete un golìo…..».


Io tagliai corto ridendo.


«Ma che stato interessante, papà Diego! Levatevelo di mente ché io sto benone».

sabato 16 febbraio 2008

CHI E' L'AUTORE? - 2

BRANO N. 4


SCOPRI AUTORE E TITOLO DELL’OPERA


All’annuncio degli araldi, i vicoli della cittadina si riempirono di gente, usci e finestre si spalancarono. Le donne, avvolte in pesanti mantelli di lana, riunite in capannelli, cominciarono a scambiarsi le loro impressioni: era proprio vero che l’imperatrice Costanza si trovava in paese? All’inizio, stentavano a crederlo. Nessuna osava allontanarsi dalla soglia di casa, intimidita dal brontolio degli uomini, sospettosi che si trattasse di un raggiro. Persino le più coraggiose erano titubanti: come poteva, un’imperatrice, sollecitare la compagnia di povere contadine? Eppure gli araldi insistevano: nella piazza principale di Jesi, sotto una tenda da campo, si trovava l’imperatrice Costanza, in procinto di partorire l’erede al trono dell’impero. Sua maestà supplicava le donne del paese di recarsi da lei, per confortarla e infonderle coraggio, con la loro presenza.


Alcune raggiunsero la piazza, videro la tenda e cominciarono ad avvicinarsi. Una domestica faceva loro cenno di avanzare senza timore.


Così una ventina di popolane fu ammessa alla presenza di Costanza, distesa su un modesto giaciglio. Aveva indosso una semplice camicia bianca, che metteva in evidenza la sporgente rotondità del ventre, e appariva pallidissima. Sorrise e le invitò ad avvicinarsi. Esitanti, si inginocchiarono a una certa distanza.


«Venite qui vicino, vi prego, non abbiate timore  le esortò. «Vi ringrazio della compagnia. Qualcuna di voi ha avuto figli?


«Io ne ho avuto otto, maestà. .»


«Otto, sei una donna fortunata. E anche molto esperta. Avvicinati.  Costanza le prese la mano, ruvida e segnata dal lavoro, la trattenne fra le sue per vincerne la timidezza, poi se le pose sul ventre. .»


«Cosa senti? .»


«Il bimbo che si muove, maestà. E’ robusto. Non so se sarà un maschio.»

giovedì 14 febbraio 2008

BENVENUTI AMICI CANADESI

Siamo lieti di informarvi che in questi giorni soci canadesi d’origine molisana sono entrati a far parte di Molise d’Autore.


Il merito va all’iniziativa della dinamica Loreta Giannetti, nostro Presidente onorario, la quale vive a Montreal.


Porgiamo quindi un caloroso benvenuto agli amici d’oltreoceano, convinti che la loro presenza nell’Associazione rappresenterà concretamente il legame ideale che già ci unisce    al Canada. 


      Il Presidente


Gabriella Iacobucci                          


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We are happy to annouce that, following the initiative of our Honorary President  Loreta Giannetti, new canadian members having roots from Molise  have join Molise d'Autore. We would like to take this opportunity to wish to our new overseas members a very warm welcome, convinced that their presence in the Association will enhance the already existing link with Canada."


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 Nous sommes heureux de vous informer que des associés canadiens d’origine molisane se sont joints à “Molise d’Autore”:


Le mérite de cette initiative revient à notre dynamique présidente honoraire, Loreta Giannetti, qui vit à Montréal. 


Nous accueillons ces amis d’outre mer avec une chaleureuse bienvenue, convaincus que leur présence dans l’association représentera concrètement le lien idéal qui nous unit déjà avec le Canada.

sabato 9 febbraio 2008

Francesco Jovine e le "Terre del Sacramento"

Francesco Jovine


Francesco Jovine nasce a Guardialfiera nel 1902 e muore a Roma nel 1950. In questo stesso anno viene pubblicato, postumo, Le terre del Sacramento, considerato il romanzo più maturo dello scrittore.


Chiusa la parentesi del Fascismo che aveva mortificato e condizionato la produzione artistica per un ventennio (scrive Jovine in “Nuova Europa”, 21 gennaio 1945: “…Fummo malati di tristezza e ipocrisia), si apre la stagione della letteratura neorealista, desiderosa di testimoniare le condizioni oggettive della società e di incidere su di essa.


In Le terre del Sacramento, Jovine descrive le lotte dei braccianti molisani per strappare ai signori un pezzo di terra da lavorare: la storia si svolge in un passato prossimo (siamo alla vigilia della marcia su Roma ed il tentativo di riscatto dei contadini verrà represso violentemente dai fascisti) ma, probabilmente, l’occhio è rivolto anche al presente se si pensa all’Italia del dopoguerra che, nel Sud, era di frequente agitata per l’occupazione delle terre.


E’ interessante notare che tutti i critici, anche quelli meno convinti della sua opera, sono concordi nel riconoscere a Jovine una profonda onestà intellettuale che ne fa un autore un po’ appartato ed isolato nel panorama del neorealismo.


Studioso attento della questione meridionale e contadina, egli univa ad un’ampia conoscenza storica, un’esperienza diretta delle condizioni di vita della sua regione d’origine.


Quel mondo della provincia molisana non è oggetto di un interesse letterario, ma è realtà sofferta e compresa nella sua secolare storia di dolore e perciò egli riesce a darne un affresco privo di artificiosità e retorica, non convenzionale o folkloristico.


I tipi descritti risaltano grazie alla capacità dell’autore di superare gli schemi della rappresentazione tradizionale e di “rifarli nuovi”, scavando a fondo nella psicologia dei personaggi.


Galantuomini di paese, proprietari oziosi e parassiti, professionisti intristiti da una vita senza orizzonti, studenti poveri animati di speranza per un futuro migliore (si pensi al magistrale ritratto del protagonista, Luca Marano), contadini miserabili e tenaci, privi di consapevolezza, vanno a comporre un’umanità, guardata con attenzione e amore, che acquista un sapore di verità e di consistenza sociologica.


Forse, ciò che Jovine ci lascia in eredità è, al di là delle testimonianze del nostro passato, proprio il suo “moderno umanesimo” che supera la contingenza della storia per approfondire con efficacia quella materia viva che è l’uomo.


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SCHEDA DELL’OPERA


Le terre del Sacramento, situate in una zona del Molise, sono “terre maledette”, una volta feudo dei vescovi, poi usurpate dai borghesi dopo le espropriazioni del 1863, ora in abbandono per ignavia dei nuovi proprietari.


Gli abitanti del borgo, sebbene affamati, si rifiutano di lavorarle, soggiogati da antica superstizione.


Luca Marano, studente animato da ideali socialisti e figlio di umili braccianti, illuso dai proprietari con la promessa di rendere un giorno i contadini partecipi alla proprietà del feudo, riuscirà ad indurre quest’ultimi a dissodare di nuovo quelle terre incolte da decenni.


Si arriva così al tempo della marcia su Roma e della reazione agraria, per cui invece dei primi contratti a loro favore, i contadini si vedono recapitare gli sfratti.


Avendo tentato di opporsi alla cacciata da quelle terre ormai risanate con la loro fatica, verranno presi a fucilate dai fascisti e dai carabinieri.


Luca Marano, resosi conto di essere stato uno strumento nelle mani dei proprietari, parteciperà anch’egli alla lotta e sarà ucciso.


                                       Anna Moffa

venerdì 8 febbraio 2008

CHI E' L'AUTORE? - INDOVINATI!

I tre brani sono stati tutti trovati:


·         Il brano n. 1 è di Francesco Jovine, estratto  da Le terre del Sacramento, Einaudi 1994, prima edizione 1950, p. 63;


·         Il brano n. 2 è di Luigi Gamberale, Il mio libro paesano, Agnone 1915, pp. 195-196;


·         Il brano n. 3 è di Carole David Fioramore, Impala, Iannone, Isernia 2003, tradotto da Silvana Mangione. Edizione originale casa editrice Les Herbes Rouges, 1994, p. 43


Molti avevano indovinato l’autore di Terre del Sacramento, ma pochi l’opera, e solo Annamaria ha messo per iscritto anche il titolo.


In questa prima manche, è Loreta che vince poiché è riuscita a scoprire ben due autori tra cui Luigi Gamberale  (niente male per una canadese!).


Continuate a seguirci perché immetteremo tra poco altri brani.


Quando l’autore viene scoperto, chiediamo ai lettori di inviarci una breve biografia o un qualsiasi scritto su di lui  o sull’opera.  Per Francesco Jovine vi ha pensato Anna. Nel prossimo post troverete il suo scritto.


Se qualcuno di voi vuole scrivere qualcosa su Luigi Gamberale si faccia avanti.