BRANO N. 5
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In una bella mattina di ottobre sui monti, brizzolata d’argento, quieta e serena, col vento appena svegliato che spingeva le nubi verso il ciglio dell’orizzonte come per volerle ruzzolare per gioco di là dal mare, mia suocera venne per svegliarmi – toc toc – con quella sua pavida bontà cerimoniosa d’altri tempi per la quale bussare alla porta d’una signora che dorme era già «la mancanza».
«Entrate, mamma Elvira» risposi subito e rispondevo in sogno perché i tocchi eran leggerissimi, poveretta, come se mi bussasse in testa. Essa entrò e si scusò subito perché era più presto del solito.
«Ho fatto la mancanza, figlia mia, ma venne da Pescolanciano a prima ora di giorno un corriere di don Sisto che vi manda dicendo…».
«E che mi manda dicendo?».
«Che c’è la fiera e se a voi piace egli vuol aver l’onore di far la tavola alla sposa».
«Onore mio!». Ed intanto io mi beavo della pingue colazione mattinale e battevo il tempo con quel pesante cucchiaio d’argento così massiccio che rompeva le tazze nel fondo. Come sempre io mi riempivo le guance di biscotto e cioccolata ed ero in una disposizione di spirito felicissima.
«Sì, andiamoci, ma è pronto il carrozzino? E voi mamma Elvira, ci venite?».
«Io non ho vesti buone e vi faccio sfigurare. Verrà con voi zio Pasquale Primo…».
«Ma che Pasquale primo e secondo! Andate a mettervi la veste nera coi ceci bianchi e spopolerete».
«E il capo? Chi mi acconcia il capo?».
Sempre lagnosa, questa buona donna!
Quando fummo innanzi alla porta vi era già un piccolo gruppo di villici che guardava la nostra partenza col calesse di Castellammare, una cesta gialla tutta infioccata alla mercé di due asinelli sardi, neri, scarni ed occhiuti come grilli, detti «gli infami» per il grugno duro col quale mangiavano un campo di fieno al giorno, senza lavorare mai e tirando calci a più non posso. Mio suocero, sulla porta, cominciò ad arringarmi secondo il solito sul fausto evento del mio «stato interessante» coram populo.
«Badate, signora strafalaria, a starvi cautelata, a non scendere e salire come vien viene e se avete un golìo…..».
Io tagliai corto ridendo.
«Ma che stato interessante, papà Diego! Levatevelo di mente ché io sto benone».
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