Testo di Gabriella Iacobucci
VITA DI CONTADINI
di Donato Del Galdo (San Giuliano di Puglia 1917- Campobasso 2000)
Edizioni Enne , Campobasso 1981.
Perché
Non so se esiste nei libri di letteratura italiana un capitolo dedicato alla letteratura contadina, ma per il Molise quella più autentica e significativa dovrebbe avere questo nome. Una letteratura indigena, si potrebbe dire, da affiancare a quella borghese e più “italiana” che proprio in quanto tale è considerata vera letteratura. Non a caso i nomi più importanti della letteratura molisana sono scrittori borghesi, colti, vissuti per lo più fuori del Molise.
Poiché il nostro è un paese dall’identità contadina, è giusto dare un posto di rilievo a questo scrittore che ci trasmette un’indagine lucida e impietosa delle condizioni di vita dei contadini di un’intera epoca, la sua, e di quella di suo padre.
Trama
Storia della fatica, si potrebbe rinominare questo libro. Protagonista infatti
di questo eccezionale documento è la vita dei contadini di un paese del
Mezzogiorno d’Italia e la sua durezza senza scampo.
Scritto con uno stile essenziale, dove ogni parola è
necessaria (cosa che ci fa riflettere su tanta letteratura contemporanea e ci
rimanda alla circospezione dell’uso contadino nel maneggiare il linguaggio), a
tratti lo stile documentario prende un andamento narrativo e l’Autore si lascia
andare senza preavviso al racconto o all’aneddoto. Del Galdo racconta la vita
dei contadini del suo paese descrivendone con rigore scientifico le attività
quotidiane e i lavori stagionali. Parla delle loro abitazioni, del loro
vestiario, dei loro pasti, delle loro malattie, della loro ignoranza. A volte
anche delle feste, dei canti, dell’amore… Molti prima e dopo di lui lo hanno
fatto, ma qui non c’è posto per il folclore e per la retorica. Del Galdo è un
contadino che ha preso coscienza, che di questa condizione, che è stata anche
la sua, denuncia le sofferenze e lo sfruttamento, ma soprattutto racconta con
orgoglio i primi tentativi di riscatto dalla servitù.
Il libro inizia così
Montecalvo è la zona che interessò la quotizzazione e il dissodamento del
bosco già alienato. Comprende la parte sinistra dell’agro di san Giuliano di
Puglia, costeggiando il tratturo, venendo dal paese ad iniziare dalla contrada
Macchia Cavallo, andando sempre avanti giù lungo il tratturo Celano –Foggia e
scendendo poi ai confini dell’agro di Santa Croce dalla parte del Vallone, fino
ad arrivare alla Mezzanella e alla Fantina.
Dopo la costituzione del Regno d’Italia, anno 1861, i cittadini di San Giuliano
diedero vita a un movimento di popolo, per richiedere il dissodamento del bosco
di Montecalvo e la sua quotizzazione con l’assegnazione in diretta proprietà ai
cittadini.
Vi era una necessità di vita, avere il terreno da coltivare per seminare
il grano e il granone e al raccolto potersi sfamare. […] In paese i nostri
nonni ricordavano a noi più giovani il movimento al quale dettero vita per
ottenere la quotizzazione e la messa a coltura dei terreni del bosco di
Montecalvo Così come ricordavano che ci fu l’invio dei soldati comandati da un
capitano. Intanto la gente del popolo aveva cominciato a tagliare la legna per
la necessità del fuoco. Il movimento dei contadini poveri era capeggiato da una
donna soprannominata A Manuela. Non si registrarono fatti di sangue. Il
problema della quotizzazione e del dissodamento dei terreni del bosco di
Montecalvo già alienato, diventò un fatto preminente di tutti i cittadini
poveri: contadini, garzoni, pastori, vaccari e piccoli artigiani, poveri anche
loro.
Dal libro
Le case
Le case di campagna abitate dai contadini erano anguste. Fabbricate con le pietre recuperate nelle stesse contrade. Costruite solo a piano terra, la maggioranza di esse. Senza volta, il tetto di tavole e canne con sopra i pinci di argilla cotta… Per avere le case di campagna migliori, occorreva una disponibilità economica maggiore. Eccetto le pietre, tutti gli altri materiali occorrenti alla costruzione, mattoni, calce, gesso, tavole, ferro, bisognava comprarli e ritirarli nei vicini comuni, ma lontani dalla zona. Il trasporto dei materiali da costruzione diventava un problema arduo. Occorreva farlo con i carri tirati da buoi, con i carretti ai quali venivano attaccati i muli e i cavalli, dovendo percorrere le carrarecce e il tratturo. Le strade rotabili non esistevano. Il dispendio di forza, di tempo, di fatiche per gli uomini e le bestie addette al tiro erano enormi.
Donato Del Galdo |
Il mangiare dei contadini nella campagna
II pasti consumati dai contadini nelle masserie dell’intero agro, si ripetevano continuamente. Non erano variati. Il panecotto (misto a verdura campestre cotta), condito con olio d’oliva, stordito con l’aglio sfritto nell’olio, unito al forte dei peperoncini, era il pasto serale, preparato in quasi tutte le masserie. Le tagliatelle di farina di grano fatte a mano, tagliate vicino lo stenterello, cucinate con fagioli, erano consumate in abbondanza… Nella stagione estiva le insalate di pomodori freschi e acerbi, preparate con abbondante acqua, sale, olio, aglio e origano, ci si bagnava il pane che presto induriva nella stessa giornata al caldo della campagna. Le insalate di pomodori venivano preparate anche due volte al giorno, a colazione e alla merenda nelle lunghe giornate estive. […] Tra il desinare dei contadini c’era l’acqua sale: il pane duro fatto a pezzi si bagnava con l’acqua nel fondo del piatto o della grossa scodella e si condiva col sale e con l’olio d’oliva, con l’aggiunta dell’aglio.
La durezza del lavoro in campagna
Tra i contadini impegnati nei lavori nella zona di Montecalvo vi erano
quelli con fissa dimora nelle masserie… Ad essi si univano i salariati fissi, i
mesaroli, ingaggiati l’otto settembre di ogni anno, per la custodia delle
pecore e delle vacche e per i lavori di aratura con muli e con i cavalli. Altre
persone affluivano nelle campagne e nelle masserie, i piccoli proprietari di
singole quote di terreno, i braccianti per la coltivazione e compartecipazione
del granone, dei ceci e delle fave. E la loro presenza durava diversi giorni
nelle varie epoche di coltivazione e di raccolto dei cereali.
… Le condizioni dell’ambiente erano dure per tutti, per il lavoro, per il
mangiare, per il dormire. Durante la notte occorreva sdraiarsi sui sacchi pieni
di paglia messi uno accanto all’altro sul selciato della masseria o sul terreno
battuto. Si aveva almeno l’accortezza di scopare, prima di stendere i giacigli,
il posto ove trascorrere la notte. Il più delle volte si alloggiava nello
stesso locale adibito a stalla per i muli, i cavalli, gli asini. Le persone più
stanche dormivano, altre invece passavano la notte senza dormire. Ci si
sdraiava sui sacchi di tela pieni di paglia, vestiti, tanto per riposare dalla
fatica fatta durante le lunghe ore del giorno e per non rimanere all’addiaccio.
E si attendeva il levar del sole per fare ritorno al lavoro.
L’acqua
Occorreva percorrere interi campi a piedi o con cavalcatura per andare a
prendere l’acqua alquanto fresca per dissetarsi, per combattere la fatica e il
caldo, per poter mangiare e consumare i cibi. Le sorgenti di acqua corrente
erano ben poche, nella zona così vasta. La fontana in mezzo al tratturo. Unica
e rara. La fontana di don Nunzio, così chiamata, scavata nel letto del torrente
di S. Croce… Al mattino, subito dopo esserci alzati dai duri giacigli, o usciti
dai fienili o dalle pagliere, e la sera, subito dopo staccato il lavoro, si
cercava qualche rigagnolo, o un piccolo condotto di acque derivate dai terreni
prosciugati, per potersi lavare le mani e il viso. Per ristorarsi. Togliersi di
dosso il calore, il sudore, la polvere, la stanchezza.
I mietitori
I mietitori delle nostre campagne, quando il grano, l’orzo e la biada si
mietevano con il lavoro delle braccia degli uomini e le mietitrici non erano in
uso, erano infaticabili lavoratori…
Per mietere occorreva avere buone braccia e schiena forte, agile a
chinarsi. Così per come si svolgeva da noi la mietitura. Con una sveltezza di
braccia e di mano nel serrare le spighe con la sinistra e la mano destra con
sveltezza a recidere con la falce. E l’operazione ripetuta continuamente
restando con la schiena curva in continuazione, con pochi attimi di sosta e
andare mietendo da un capo all’altro della partita di grano pronta per la
mietitura… I mietitori si organizzavano in paranze, formate da cinque
componenti, cinque mietitori e un legante… Il levar del sole a giugno e a
luglio trovava tutti noi schierati nei campi di grano o in marcia partiti dal
paese per raggiungere il fondo, luogo del lavoro di mietitura. Prima che si
giungesse all’ora della colazione, occorreva compiere tre ore piene di serrato
lavoro. Allora, perché si potesse resistere allo sforzo fisico e tenuto conto
dell’ora presto in cui ci si era alzati dal letto o dal giaciglio, si mangiava
un pezzo di pane accompagnato con la cipolla fresca, un po’ di formaggio, uno
spicchio di aglio fresco raccolto per combattere la malaria, seguito da due
bicchieri di vino buono. La vivitella veniva fatta nello spazio ristretto di
dieci minuti. Il corpo ristorato e rinfrancato veniva messo in condizioni di
accapigliarsi con le onde di spighe secche di grano o biada.
Il Federale
Vennero gli anni delle partenze dei volontari fascisti per l’Africa e la
Spagna; il Federale però molto saggiamente restò al paese a festeggiare gli
eventi lieti e le conquiste dell’Impero. Pensò che intanto sul petto portava i
nastrini della guerra 15-18 durante la quale, per circostanze oggettive, era
stato soldato di fanteria. Un suo amico di leva e camerata del fronte di guerra
lo ricordava cauto in trincea a differenza di oggi così spavaldo, però la
grandezza della Patria fascista la predicava per gli altri cittadini di
condizione povera che soffrivano la fame e pieni di rabbia dovevano accettare
il volontarismo e partire come mercenari a combattere per cose che non
sentivano né gli appartenevano. Partire per la civilizzazione delle Colonie,
quando tutto intorno a noi vi era un mare di guai, Montecalvo era una colonia
da scoprire e da rimettere a nuovo, nelle masserie, nelle strade, da dovervi
portare l’acqua potabile, la luce elettrica, la scuola.
Il 14 dicembre 1931
Il tentativo di togliere il diritto ai contadini dell’uso civico sui terreni della Fantina fu ripetuto con il Podestà fascista, agrario del luogo. Il 14 dicembre vi fu la sparatoria dei carabinieri contro i contadini che avevano fatto valere il loro diritto di uso civico sui terreni della Fantina, andando a tagliare le tamarici contro il proclamato divieto del Podestà, sotto la maschera di una misura protettiva per voler fare una riserva per la difesa e il consolidamento delle tamarici. All’Aianella, sotto i colpi di moschetto sparati da uno dei carabinieri, morì Lafratta Giuliano, cittadino di San Giuliano, contadino. Le Autorità comunali, unitamente al Podestà, fuggirono dalla Casa Comunale avvertiti in tempo utile da un loro uomo di fiducia… La popolazione, che si era unita ai contadini, non trovando l’Autorità al Municipio, dette sfogo alla sua disperazione per la morte di uno di loro e due gravi feriti buttando tutte le suppellettili e il carteggio degli Uffici Comunali sulla piazza adiacente il Municipio e dandovi fuoco… I contadini scontarono diversi anni di galera. Dovettero abbandonare le loro famiglie e il loro lavoro… Il Podestà e il carabiniere furono agevolati e a loro carico non ci fu nessun processo… Eravamo in pieno regime fascista. La magistratura aveva preso la piega impostale dal regime.
San Giuliano di Puglia nel 2020 |
L’amore nelle campagne
…Gli amori palesi e nascosti nelle nostre campagne non sono mancati. I
contadini, giovani di età o di età matura, avevano vigore ed energie tanto nel
lavoro dei campi quanto per il gentil sesso. E mentre le mogli di certuni
contadini per una mancata assimilazione dei lavori di campagna, restavano in
casa per il lavoro casalingo e per l’educazione e l’allevamento dei figli, gli
uomini in campagna traevano motivo e tempo opportuno per unirsi a contadine con
le quali dividevano il sacrificio delle masserie e delle condizioni rustiche,
le quali nella stagione invernale rasentavano la solitudine di un eremo.
Antonio, vinto dalle belle forme femminili della contadina, la invitava
all’amore, giunti nel fondo, prima di iniziare il lavoro. Il mancato acconsentimento
al reciproco affetto era di intralcio al lavoro da farsi nei campi. Perciò
Antonio implorava verso il suo partner: “togliamoci la mala mureia”. Il
sentimento amoroso si realizzava, lo spirito si rasserenava, e il lavoro
diventava più agevole, più redditizio, più scorrevole.
L’assistenza sanitaria e scolastica
Ai contadini residenti stabilmente nella zona non era assicurato nemmeno
un pronto soccorso, niente. Eppure i cittadini colà residenti in permanenza con
casa colonica erano tanti. Intere famiglie con donne e bambini. La scuola di
campagna per i figli dei contadini residenti a Montecalvo fu istituita nel
1948. Nei casi gravi di malattia o incidenti sul lavoro e altre disgrazie,
occorreva trasportare il paziente al paese a dorso di cavalcatura per due
lunghe ore… I vecchi contadini vissuti senza alcuna assistenza sociale e che
avevano dovuto pagare le visite e le cure del medico locale, con lo staglio di
un tomolo di grano per famiglia, si ritrovarono nella vecchiaia senza pensione,
poveri come erano vissuti, come alla loro venuta sulla terra, costretti ad
essere sostenuti dai propri figli. E quando i figli, poveri anche loro, si
rifiutavano di dare l’alimento indispensabile ai genitori, questi dovevano
ricorrere dal giudice alla Pretura di Bonefro.
Lo studio privilegio di classe
Per i figli dei contadini non c’era via di scampo, era difficile giungere
alla terza elementare e più difficile ancora arrivare alla quinta classe
elementare istituita solo l’anno 1925. Ma tanti e poi tanti ancora figli di
contadini e di braccianti, per necessità familiari e bisogno di vivere dovevano
disertare anche la piccola scuola e correre a lavorare nei campi, o stabilirsi
nelle masserie a Montecalvo, per essere adibiti a pastorelli in compagnia di
uomini adulti, anche loro analfabeti o semianalfabeti, già in precedenza
condannati alla stessa sorte dei pastorelli di oggi.
Lo spirito cristiano
Le prediche che venivano dal pulpito della Chiesa, fatte dai predicatori
che ogni anno a quaresima e a Pasqua si rinnovano, ora con i monaci
francescani, ora con i missionari e i preti venuti da sedi lontane, mentre sovente
richiamavano i ricchi a far del bene, di ricordarsi di essere solo gli
amministratori dei beni terreni che essi possedevano e di dover amministrare
equamente i proventi di questi beni, rivolgevano appello ai poveri di non
serbare rancore per le loro necessità non soddisfatte e la loro miseria,
declamando ad alta voce: “Cristo a voi poveri spalancherà le porte del
Paradiso”.
Hanno detto
Umberto Di Muzio- …Questo contadino del nostro tempo conosce la sua storia e comincia a scriverla: ai conoscitori di altra storia, stupiti, segnala non le date di alcune consacrate “radiose giornate di maggio”, ma quella di un finora ignoto 14 dicembre 1931, giorno in cui uno sconosciuto contadino, rivendicando un “uso civico” usurpato da un podestà fascista, cadde sotto il piombo dei carabinieri.
Renato Lalli- Donato Del Galdo
fa rivivere il mondo contadino attraverso l’esperienza diretta, senza
mediazioni intellettuali. E’ un mondo che rivive nella sua schiettezza e
verità, appena velata da una nostalgia per valori di solidarietà umana. Ad esso
Del Galdo è profondamente legato, lo sente profondamente radicato nella sua
persona. E, per darne testimonianza ai giovani soprattutto, ha cominciato a
scrivere.
...Un mondo contadino quindi integro, nei suoi contorni reali, appena
visto con gli occhi di nostalgia di chi però ad esso è rimasto fedele; di qui
la genuinità, l’ingenuità candida direi dei suoi racconti, espressione anche di
una sanità morale scaturita da quel mondo e ad esso ancora radicata; un mondo
anche di sofferenze inenarrabili, di lotta tenace e paziente contro le durezze
della vita…
Sebastiano Martelli- Un documento antropologico alimentato da una scrittura che, grazie alla forte vitalità e alle esperienze di vita dell’autore – partecipa alle lotte contadine del dopoguerra nel Basso Molise come dirigente comunista delle leghe bracciantili, impegno politico e sindacale che continua tra gli emigrati in Belgio negli anni sessanta ᅳ ha oltrepassato la soglia della lingua dei semicolti conquistando un livello medio “connotativo” che risponde anche a una presa di coscienza politica e ideologica… Un innato piacere della scrittura educato alla scuola della politica: “il partito mi ha dato la possibilità di esprimermi, di avere un linguaggio chiaro e un’organizzazione mentale”.
Gabriella Iacobucci©2020tutti
i diritti riservati
Cara Gabriella,
RispondiEliminaCi fai sempre scoprire cose nuove ed interessanti. Penso che questo libro sia anche un valido documento storico. Le durezze della vita contadina di quei tempi dovrebbero farci apprezzare di più le comodità che abbiamo oggigiorno.
Buon lavoro e grazie.
Angela e Gennaro
Cara Gabriella,
RispondiEliminabella idea quella della "Letteratura contadina" che ha il suo tempo. Infatti quello era un tempo in cui l'analfabetismo era dilagante in tutta Italia specialmente nelle aree rurali della Pensiola.
E' vero che il Novecento è il secolo dove l'istruzione è arrivata in tutti i paesi, ma non allo stesso livello.
La generazione nata nel 1925, per esempio, spesso ha frequentato la scuola elementare fino alla terza classe. , senza contare poi dove vi erano le multiclassi con un solo insegnante per la prima, seconda, terza, quarta e quinti e alunni che superavano le 40 unità.
E quelli come Donato Del Galdo si sono avvicinati alla scrittura in età adulta e hanno lasciato testimonianze magnifiche del loro passato
Questo libro dovrebbe essere letto e commentato nelle scuole come prezioso documento storico, la dieta mediterranea, frugale, vegetariana per lo più, con il suo saporito pane sale e lo spicchio d'aglio e di cipolla è sicuramente una delle poche, accanto ad una quotidianità più rispettosa dei ritmi circadiani di sonno , di veglia, di vita all'aria aperta , eredità da salvare, anzi da riscoprire di questa civiltà contadina, la terribile fatica e oppressione del lavoro agricolo senza prospettive di miglioramento si coglie perfettamente in questa asciutta testimonianza di Del Galdo, spiace solo pensare, oggi nel 2020, che i nipot8 di quei contadini , diventati imprenditori agricoli hanno assoldato braccianti extracomunitari per coltivare quelle stesse terre mettendoli quasi in stato di schiavitù. La storia si ripete, cronache contemporanee , che non si sarebbero dovute mai ascoltare.
RispondiEliminaQueste storie della grande miseria dei contadini le sentivo raccontare dai miei genitori nelle serate in cui noi emigranti ci radunavamo con parenti e amici. Ho un libro del fotografo Frank Monaco sul Molise degli anni 50 che mostra in fotografia quello che l'Autore descrive con i suoi racconti. Con questo interessante documento sulla vita contadina della prima metà del xx secolo ci permetti di approfondire la storia del nostro Molise.Grazie!
RispondiEliminaDear Gabriella,
RispondiEliminaThese stories are a detailed history of what went on in many parts of Italy back in those days. Worse in some areas of course. I was born in 1943, in Lazio, and as a little girl I well recall the hardships of my grandparents and my parents. I remember my mother telling us that when she was a little girl in a family of seven, her mother used to put milk in a bowl and they all had to eat from that bowl. But they felt lucky because they had milk--not every family had milk. I remember all those hardship too because it took a few years for things to change. But do our children now in Canada, sons and daughters of immigrants, who without even skipping a generation have become doctors, lawyers, teachers--professionals, believe that their mothers cut wheat with a sickle, their ploughed the fields with oxen. They smile and are not sure they should believe it or not. They should be made to read the history 'di quei tempi in Italia.' And perhaps more of it should be recorded.
Grande emozione la mia nel rileggere brani dello scrittore contadino della mia San Giuliano di Puglia; conoscevo bene Donato Del Galdo, amico e coetaneo del mio papà,che merita attenzione per il suo linguaggio semplice, a volte crudo ma efficace. Il suo libro però non è solo storia della fatica dei contadini;egli non ci parla solo della "paranza" dei mietitori schierati all'alba ma anche dei loro pasti frugali consumati nelle masserie di Monte Calvo, di Postecchia o della Mezzanella. Sono bellissime le descrizioni delle pietanze che ancora oggi, nella loro semplicità, fanno parte degli usi gastronomici di quella zona: il panecotto misto a verdure campestri;la romantica "acqua sale" niente altro che pane raffermo, indurito dal sole, bagnato e poi condito con i pochi ingredienti a disposizione olio, sale, aglio, origano, e qualche volta pomodori. Che bello.Grazie Gabriella per questo splendido ricordo.
RispondiElimina"Vita di contadini" di Donato del Galdo è un libro in cui viene presentata la vita di una famiglia di contadini di un piccolo paese del nostro Molise. Il testo è esente da retorica e presenta in modo efficace la fatica, la durezza, la miseria della condizione di vita dei contadini , facendo quasi percepire il sudore, la polvere e la stanchezza dei lavoratori "infaticabili". Leggere questi brani estrapolati dall'opera di Donato del Galdo mi ha riportato alla mente i racconti di mia madre Anna, maestra, figlia di contadini che ha studiato grazie ai sacrifici ed alla disponibilità di tutta la famiglia, fratelli compresi, tutti contadini. Le ingiustizie subite durante il periodo fascista sono sempre state raccontate da mia madre col senso di ribellione di chi è stato oppresso. Le istanze sociali presenti nel testo di Donato del Galdo sono simili a quelle a me note attraverso i suoi racconti e ciò evidenzia la verità quasi documentaria dello spaccato di mondo presentato dall'autore molisano.Profondamente diversa è l'atmosfera del libro "Vita di contadini". Mia madre infatti, nei suoi racconti ha sempre sottolineato il senso di gioia, di spensieratezza, di cameratismo che animava il semplice mondo contadino della sua giovinezza. In esso il riso non mancava mai unito ad un vissuto di solidarietà, rispetto reciproco, onestà e fiducia costante nella divina provvidenza. Grazie Gabriella, perché attraverso questa opera che hai proposto alla attenzione di tutti noi mi hai fatto ricordare un mondo semplice e autentico del passato della mia famiglia. Ernestina Simeone.
RispondiEliminaPeccato che sia fuori catalogo, perché leggendo la lunga scheda di Gabriella viene propria voglia di averlo in casa Vita di contadini, anche per la bella copertina di Domenico Fratianni.Quando si pensa alla vita dei contadini di una volta viene in mente soltanto Fontamara di Silone, come per quella dei pescatori si ricorda principalmente I Malavoglia di Giovanni Verga, reso poi ancora più famoso dal capolavoro di Visconti.E' naturale, credo, associare queste due categorie, unite in passato dalla durezza del loro lavoro, dalla scarsità del guadagno e dalle ingiustizie e rischi cui erano sottoposti: maggiori i sacrifici e ipericoli di chi andava per mare, ma innumerevoli i soprusi, le vessazioni, le violenze, la sottrazione degli usi civici subita da chi lavorava la terra, specie quando si trattava di quella altrui.Meritevoli quindi le ricerche e la divulgazione di MOLISE D'AUTORE: oltre che ricognizione nella letteratura, preziosi documenti.Chi oggi vede gli "agricoltori" (così li chiamano adesso) al riparo nellecabine condizionate dei loro trattori e i pescatori (forse anche per loro c'è un neologismo politically correct), ben protetti da stivaloni e colorati involucri impermeabili, non sa che - fino a qualche decennio fa - i primi lavoravano anche sotto la pioggia e i secondi andavano in barca e in giro a vendere il loro pescato a piedi scalzi.
RispondiEliminaGrazie Gabriella, queste sono le letture che l’umanitá dovrebbe amare!
RispondiEliminaIl verismo descritto in questo libro non è associato solo a quel verismo siciliano descritto da Verga ma bensì è la descrizione minuziosa, reale e trasparente di tutto il mondo contadino in tutte le regioni d’Italia.
Grazie! Immacolata.
Gabriella, complimenti per aver riportato all'attenzione di tutti il libro Vita di contadini di Donato Del Galdo. Ho conosciuto e ammirato Donato fin da piccolo quando veniva in piazza al mio paese a parlare del riscatto dei braccianti dallo sfruttamento dei latifondisti del Basso Molise. Egli, bracciante agricolo, ha dedicato tutta la vita per dare voce e dignità a tutti i contadini. Purtroppo è stato poco ascoltato, soprattutto dai politici.
RispondiEliminaOggi che i contadini , sempre bistrattati e calpestati dalla società civile, non ci sono più, il suo libro è un monito per tutti che ci deve far riflettere, specialmente in questi tempi, sul nostro futuro.
Grazie ancora Gabriella per averlo ricordato.
Ho trovato l'idea di "Lo scaffale dei libri dimenticati" molto interessante. Il testo "Vita di Contadini" è molto particolare perché non sono stati in molti a parlare di questo mondo. Tra i passi citati mi ha colpito molto quello che racconta la nascita di un movimento contadino di rivendicazione di diritti, quasi inesistenti all'epoca. Inoltre è particolare che fosse una donna, A Manuela, a guidarlo. L'Autore presenta la vita quotidiana nei suoi vari aspetti in modo partecipe e distaccato insieme, e ciò rende la narrazione ancor più interessante...
RispondiEliminaBreak the ice! Siamo segregati, alla ricerca di qualcosa da leggere; fateci scoprire un racconto, un autore che non conosciamo.
RispondiEliminathe Ancient Mariner
Cara Gabriella, Donato era un contadino schietto dalle mani di pietra, segno tangibile del duro lavoro condotto sin da ragazzino. Ho avuto modo di conoscerlo e di ascoltarlo nello studio di papà, quando mi raccontava episodi della sua vita mai facile. In questo lavoro ci narra il nostro Molise in un modo asciutto e vero, talvolta arido come la nostra terra, ma sempre in maniera onesta e fiera, soprattutto del senso di appartenenza e del suo essere comunista e del rivendicare con forza i suoi diritti e quelli degli altri braccianti. Ti ringrazio per avermi fatto nuovamente vivere il ricordo, non solo di un uomo sincero, ma di un periodo in cui la casa editrice era un luogo frequentato da persone che sapevano raccontare sé stesse e quindi parte della nostra storia molisana.
RispondiEliminaFabrizio Nocera
EliminaBrava Gabriella! Chiara e coinvolgente la tua presentazione del libro!
RispondiEliminaQuesto bell'esempio di letteratura contadina, di storia della " fatica quotidiana senza scampo" e di ribellione come estrema soluzione di una esasperazione senza fine, viene offerto al lettore attraverso una analisi del testo, classificato, con grande intuizione, come esempio di "letteratura indigena", cioè di letteratura che esprime, con uno stile semplice ed essenziale, un mondo contadino raccolto su se stesso, rannicchiato in un contesto di tradizioni antiche, di un vissuto quotidiano, giorno per giorno, con l'obiettivo primario di sopravvivenza, accompagnato da una abitudine atavica e dignitosa di appagamento dal poco offerto da una terra avara.
Il libro viene presentato con grande capacità di coinvolgimento, riportando sinteticamente la trama, ma allargando poi, in modo efficace, lo sguardo sulla descrizione della vita di tutti i giorni nei campi, sulla dieta dei contadini - facendo gustare al lettore la genuinità, i sapori ed i profumi di cibi semplici, poveri, ma gustosi-, sulla durezza e la fatica senza fine del lavoro in campagna, le difficili condizioni ambientali, la carenza dell'acqua, le tradizioni della mietitura, l'amore nelle campagne, l'assistenza sanitaria e scolastica, lo spirito religioso. Un accenno severo, ma anche canzonatorio, viene poi fatto sulla figura del Federale, esempio classico di spavaldo rappresentante del nulla, che realizza se stesso attraverso ordini recepiti con rabbia dai poveri giovani strappati dalle famiglie e destinati alle colonie e che si pavoneggia con lustrini e nastrini orgogliosamente portati sul petto.
Il tentativo poi di togliere ai contadini del paese l'uso civico sui terreni, esercitato da decenni, fin dalle lotte compiute dai padri nel secolo precedente, portano nel dicembre 1931 ad una insurrezione nel paese, in seguito alla morte di un contadino provocata da un colpo di fucile sparato da un carabiniere. L'insurrezione è violenta, sia in risposta alla morte del contadino, sia come reazione all'ingiustizia che sta maturando attraverso la sottrazione dei terreni utilizzati da sempre, sia come presa di coscienza della esasperazione maturata e della "fatica quotidiana senza scampo",resa dagli eventi inutile e priva di traguardi.
Brava Gabriella, come ha già detto un commentatore, leggendo la tua bella, efficace e coinvolgente scheda di presentazione del libro, purtroppo fuori catalogo, " viene proprio la voglia di avere in casa Vita di contadini".
Tra le fatiche della vita contadina raccontate da Donato Del Galdo, una, forse però la più significativa, riguardava la costruzione della propria casetta. Costruite su fazzoletti di terra soda, ma in modo da non perdere nemmeno una quota di terra coltivabile, lontane da altre particelle di terreno raggiungibili dopo ore di cammino e lontane da centri abitati, esse venivano costruite con materiali del posto. Le casette e i ricoveri con muratura in pietrame a secco oggi costituiscono testimonianza storica e patrimonio culturale di grande importanza ma, costruzioni fragili, stanno purtroppo andando in rovina. Va così scomparendo una testimonianza importante di un mondo contadino in cui una vita di dura fatica era il prezzo che si pagava per poter mangiare semplice panecotto, insalate o un pezzo di pane con la cipolla, ma anche di una società basata su rapporti umani più schietti e solidali, come quando ci si riuniva per mietere, trebbiare, o sgranare il granoturco.
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