domenica 20 settembre 2020

LO SCAFFALE DEI LIBRI DIMENTICATI - 4 -


Testo di Gabriella Iacobucci

 

VITA DI CONTADINI

di Donato Del Galdo (San Giuliano di Puglia 1917- Campobasso 2000)

 Edizioni Enne , Campobasso 1981.

Perché

Non so se esiste nei libri di letteratura italiana un capitolo dedicato alla letteratura contadina, ma per il Molise quella più autentica e significativa dovrebbe avere questo nome. Una letteratura indigena, si potrebbe dire, da affiancare a quella borghese e più “italiana” che proprio in quanto tale è considerata vera letteratura. Non a caso i nomi più importanti della letteratura molisana sono scrittori borghesi, colti, vissuti per lo più fuori del Molise.

Poiché il nostro è un paese dall’identità contadina, è giusto dare un posto di rilievo a questo scrittore che ci trasmette un’indagine lucida e impietosa delle condizioni di vita dei contadini di un’intera epoca, la sua, e di quella di suo padre.   

Trama   

Storia della fatica, si potrebbe rinominare questo libro. Protagonista infatti di questo eccezionale documento è la vita dei contadini di un paese del Mezzogiorno d’Italia e la sua durezza senza scampo.   

Scritto con uno stile essenziale, dove ogni parola è necessaria (cosa che ci fa riflettere su tanta letteratura contemporanea e ci rimanda alla circospezione dell’uso contadino nel maneggiare il linguaggio), a tratti lo stile documentario prende un andamento narrativo e l’Autore si lascia andare senza preavviso al racconto o all’aneddoto. Del Galdo racconta la vita dei contadini del suo paese descrivendone con rigore scientifico le attività quotidiane e i lavori stagionali. Parla delle loro abitazioni, del loro vestiario, dei loro pasti, delle loro malattie, della loro ignoranza. A volte anche delle feste, dei canti, dell’amore… Molti prima e dopo di lui lo hanno fatto, ma qui non c’è posto per il folclore e per la retorica. Del Galdo è un contadino che ha preso coscienza, che di questa condizione, che è stata anche la sua, denuncia le sofferenze e lo sfruttamento, ma soprattutto racconta con orgoglio i primi tentativi di riscatto dalla servitù.

Il libro inizia così

Montecalvo è la zona che interessò la quotizzazione e il dissodamento del bosco già alienato. Comprende la parte sinistra dell’agro di san Giuliano di Puglia, costeggiando il tratturo, venendo dal paese ad iniziare dalla contrada Macchia Cavallo, andando sempre avanti giù lungo il tratturo Celano –Foggia e scendendo poi ai confini dell’agro di Santa Croce dalla parte del Vallone, fino ad arrivare alla Mezzanella e alla Fantina.

Dopo la costituzione del Regno d’Italia, anno 1861, i cittadini di San Giuliano diedero vita a un movimento di popolo, per richiedere il dissodamento del bosco di Montecalvo e la sua quotizzazione con l’assegnazione in diretta proprietà ai cittadini.

Vi era una necessità di vita, avere il terreno da coltivare per seminare il grano e il granone e al raccolto potersi sfamare. […] In paese i nostri nonni ricordavano a noi più giovani il movimento al quale dettero vita per ottenere la quotizzazione e la messa a coltura dei terreni del bosco di Montecalvo Così come ricordavano che ci fu l’invio dei soldati comandati da un capitano. Intanto la gente del popolo aveva cominciato a tagliare la legna per la necessità del fuoco. Il movimento dei contadini poveri era capeggiato da una donna soprannominata A Manuela. Non si registrarono fatti di sangue. Il problema della quotizzazione e del dissodamento dei terreni del bosco di Montecalvo già alienato, diventò un fatto preminente di tutti i cittadini poveri: contadini, garzoni, pastori, vaccari e piccoli artigiani, poveri anche loro.

Dal libro

Le case

Le case di campagna abitate dai contadini erano anguste. Fabbricate con le pietre recuperate nelle stesse contrade. Costruite solo a piano terra, la maggioranza di esse. Senza volta, il tetto di tavole e canne con sopra i pinci di argilla cotta… Per avere le case di campagna migliori, occorreva una disponibilità economica maggiore. Eccetto le pietre, tutti gli altri materiali occorrenti alla costruzione, mattoni, calce, gesso, tavole, ferro, bisognava comprarli e ritirarli nei vicini comuni, ma lontani dalla zona. Il trasporto dei materiali da costruzione diventava un problema arduo. Occorreva farlo con i carri tirati da buoi, con i carretti ai quali venivano attaccati i muli e i cavalli, dovendo percorrere le carrarecce e il tratturo. Le strade rotabili non esistevano. Il dispendio di forza, di tempo, di fatiche per gli uomini e le bestie addette al tiro erano enormi.

Donato Del Galdo

Il mangiare dei contadini nella campagna

II pasti consumati dai contadini nelle masserie dell’intero agro, si ripetevano continuamente. Non erano variati. Il panecotto (misto a verdura campestre cotta), condito con olio d’oliva, stordito con l’aglio sfritto nell’olio, unito al forte dei peperoncini, era il pasto serale, preparato in quasi tutte le masserie. Le tagliatelle di farina di grano fatte a mano, tagliate vicino lo stenterello, cucinate con fagioli, erano consumate in abbondanza… Nella stagione estiva le insalate di pomodori freschi e acerbi, preparate con abbondante acqua, sale, olio, aglio e origano, ci si bagnava il pane che presto induriva nella stessa giornata al caldo della campagna. Le insalate di pomodori venivano preparate anche due volte al giorno, a colazione e alla merenda nelle lunghe giornate estive. […] Tra il desinare dei contadini c’era l’acqua sale: il pane duro fatto a pezzi si bagnava con l’acqua nel fondo del piatto o della grossa scodella e si condiva col sale e con l’olio d’oliva, con l’aggiunta dell’aglio. 

La durezza del lavoro in campagna

Tra i contadini impegnati nei lavori nella zona di Montecalvo vi erano quelli con fissa dimora nelle masserie… Ad essi si univano i salariati fissi, i mesaroli, ingaggiati l’otto settembre di ogni anno, per la custodia delle pecore e delle vacche e per i lavori di aratura con muli e con i cavalli. Altre persone affluivano nelle campagne e nelle masserie, i piccoli proprietari di singole quote di terreno, i braccianti per la coltivazione e compartecipazione del granone, dei ceci e delle fave. E la loro presenza durava diversi giorni nelle varie epoche di coltivazione e di raccolto dei cereali.

… Le condizioni dell’ambiente erano dure per tutti, per il lavoro, per il mangiare, per il dormire. Durante la notte occorreva sdraiarsi sui sacchi pieni di paglia messi uno accanto all’altro sul selciato della masseria o sul terreno battuto. Si aveva almeno l’accortezza di scopare, prima di stendere i giacigli, il posto ove trascorrere la notte. Il più delle volte si alloggiava nello stesso locale adibito a stalla per i muli, i cavalli, gli asini. Le persone più stanche dormivano, altre invece passavano la notte senza dormire. Ci si sdraiava sui sacchi di tela pieni di paglia, vestiti, tanto per riposare dalla fatica fatta durante le lunghe ore del giorno e per non rimanere all’addiaccio. E si attendeva il levar del sole per fare ritorno al lavoro.

L’acqua

Occorreva percorrere interi campi a piedi o con cavalcatura per andare a prendere l’acqua alquanto fresca per dissetarsi, per combattere la fatica e il caldo, per poter mangiare e consumare i cibi. Le sorgenti di acqua corrente erano ben poche, nella zona così vasta. La fontana in mezzo al tratturo. Unica e rara. La fontana di don Nunzio, così chiamata, scavata nel letto del torrente di S. Croce… Al mattino, subito dopo esserci alzati dai duri giacigli, o usciti dai fienili o dalle pagliere, e la sera, subito dopo staccato il lavoro, si cercava qualche rigagnolo, o un piccolo condotto di acque derivate dai terreni prosciugati, per potersi lavare le mani e il viso. Per ristorarsi. Togliersi di dosso il calore, il sudore, la polvere, la stanchezza.

I mietitori

I mietitori delle nostre campagne, quando il grano, l’orzo e la biada si mietevano con il lavoro delle braccia degli uomini e le mietitrici non erano in uso, erano infaticabili lavoratori…

Per mietere occorreva avere buone braccia e schiena forte, agile a chinarsi. Così per come si svolgeva da noi la mietitura. Con una sveltezza di braccia e di mano nel serrare le spighe con la sinistra e la mano destra con sveltezza a recidere con la falce. E l’operazione ripetuta continuamente restando con la schiena curva in continuazione, con pochi attimi di sosta e andare mietendo da un capo all’altro della partita di grano pronta per la mietitura… I mietitori si organizzavano in paranze, formate da cinque componenti, cinque mietitori e un legante… Il levar del sole a giugno e a luglio trovava tutti noi schierati nei campi di grano o in marcia partiti dal paese per raggiungere il fondo, luogo del lavoro di mietitura. Prima che si giungesse all’ora della colazione, occorreva compiere tre ore piene di serrato lavoro. Allora, perché si potesse resistere allo sforzo fisico e tenuto conto dell’ora presto in cui ci si era alzati dal letto o dal giaciglio, si mangiava un pezzo di pane accompagnato con la cipolla fresca, un po’ di formaggio, uno spicchio di aglio fresco raccolto per combattere la malaria, seguito da due bicchieri di vino buono. La vivitella veniva fatta nello spazio ristretto di dieci minuti. Il corpo ristorato e rinfrancato veniva messo in condizioni di accapigliarsi con le onde di spighe secche di grano o biada.

Il Federale

Vennero gli anni delle partenze dei volontari fascisti per l’Africa e la Spagna; il Federale però molto saggiamente restò al paese a festeggiare gli eventi lieti e le conquiste dell’Impero. Pensò che intanto sul petto portava i nastrini della guerra 15-18 durante la quale, per circostanze oggettive, era stato soldato di fanteria. Un suo amico di leva e camerata del fronte di guerra lo ricordava cauto in trincea a differenza di oggi così spavaldo, però la grandezza della Patria fascista la predicava per gli altri cittadini di condizione povera che soffrivano la fame e pieni di rabbia dovevano accettare il volontarismo e partire come mercenari a combattere per cose che non sentivano né gli appartenevano. Partire per la civilizzazione delle Colonie, quando tutto intorno a noi vi era un mare di guai, Montecalvo era una colonia da scoprire e da rimettere a nuovo, nelle masserie, nelle strade, da dovervi portare l’acqua potabile, la luce elettrica, la scuola.

Il 14 dicembre 1931

Il tentativo di togliere il diritto ai contadini dell’uso civico sui terreni della Fantina fu ripetuto con il Podestà fascista, agrario del luogo. Il 14 dicembre vi fu la sparatoria dei carabinieri contro i contadini che avevano fatto valere il loro diritto di uso civico sui terreni della Fantina, andando a tagliare le tamarici contro il proclamato divieto del Podestà, sotto la maschera di una misura protettiva per voler fare una riserva per la difesa e il consolidamento delle tamarici. All’Aianella, sotto i colpi di moschetto sparati da uno dei carabinieri, morì Lafratta Giuliano, cittadino di San Giuliano, contadino. Le Autorità comunali, unitamente al Podestà, fuggirono dalla Casa Comunale avvertiti in tempo utile da un loro uomo di fiducia… La popolazione, che si era unita ai contadini, non trovando l’Autorità al Municipio, dette sfogo alla sua disperazione per la morte di uno di loro e due gravi feriti buttando tutte le suppellettili e il carteggio degli Uffici Comunali sulla piazza adiacente il Municipio e dandovi fuoco… I contadini scontarono diversi anni di galera. Dovettero abbandonare le loro famiglie e il loro lavoro… Il Podestà e il carabiniere furono agevolati e a loro carico non ci fu nessun processo… Eravamo in pieno regime fascista. La magistratura aveva preso la piega impostale dal regime.


San Giuliano di Puglia nel 2020

L’amore nelle campagne

…Gli amori palesi e nascosti nelle nostre campagne non sono mancati. I contadini, giovani di età o di età matura, avevano vigore ed energie tanto nel lavoro dei campi quanto per il gentil sesso. E mentre le mogli di certuni contadini per una mancata assimilazione dei lavori di campagna, restavano in casa per il lavoro casalingo e per l’educazione e l’allevamento dei figli, gli uomini in campagna traevano motivo e tempo opportuno per unirsi a contadine con le quali dividevano il sacrificio delle masserie e delle condizioni rustiche, le quali nella stagione invernale rasentavano la solitudine di un eremo. Antonio, vinto dalle belle forme femminili della contadina, la invitava all’amore, giunti nel fondo, prima di iniziare il lavoro. Il mancato acconsentimento al reciproco affetto era di intralcio al lavoro da farsi nei campi. Perciò Antonio implorava verso il suo partner: “togliamoci la mala mureia”. Il sentimento amoroso si realizzava, lo spirito si rasserenava, e il lavoro diventava più agevole, più redditizio, più scorrevole.

L’assistenza sanitaria e scolastica

Ai contadini residenti stabilmente nella zona non era assicurato nemmeno un pronto soccorso, niente. Eppure i cittadini colà residenti in permanenza con casa colonica erano tanti. Intere famiglie con donne e bambini. La scuola di campagna per i figli dei contadini residenti a Montecalvo fu istituita nel 1948. Nei casi gravi di malattia o incidenti sul lavoro e altre disgrazie, occorreva trasportare il paziente al paese a dorso di cavalcatura per due lunghe ore… I vecchi contadini vissuti senza alcuna assistenza sociale e che avevano dovuto pagare le visite e le cure del medico locale, con lo staglio di un tomolo di grano per famiglia, si ritrovarono nella vecchiaia senza pensione, poveri come erano vissuti, come alla loro venuta sulla terra, costretti ad essere sostenuti dai propri figli. E quando i figli, poveri anche loro, si rifiutavano di dare l’alimento indispensabile ai genitori, questi dovevano ricorrere dal giudice alla Pretura di Bonefro.

Lo studio privilegio di classe

Per i figli dei contadini non c’era via di scampo, era difficile giungere alla terza elementare e più difficile ancora arrivare alla quinta classe elementare istituita solo l’anno 1925. Ma tanti e poi tanti ancora figli di contadini e di braccianti, per necessità familiari e bisogno di vivere dovevano disertare anche la piccola scuola e correre a lavorare nei campi, o stabilirsi nelle masserie a Montecalvo, per essere adibiti a pastorelli in compagnia di uomini adulti, anche loro analfabeti o semianalfabeti, già in precedenza condannati alla stessa sorte dei pastorelli di oggi.

Lo spirito cristiano

Le prediche che venivano dal pulpito della Chiesa, fatte dai predicatori che ogni anno a quaresima e a Pasqua si rinnovano, ora con i monaci francescani, ora con i missionari e i preti venuti da sedi lontane, mentre sovente richiamavano i ricchi a far del bene, di ricordarsi di essere solo gli amministratori dei beni terreni che essi possedevano e di dover amministrare equamente i proventi di questi beni, rivolgevano appello ai poveri di non serbare rancore per le loro necessità non soddisfatte e la loro miseria, declamando ad alta voce: “Cristo a voi poveri spalancherà le porte del Paradiso”.

Hanno detto

Umberto Di Muzio- …Questo contadino del nostro tempo conosce la sua storia e comincia a scriverla: ai conoscitori di altra storia, stupiti, segnala non le date di alcune consacrate “radiose giornate di maggio”, ma quella di un finora ignoto 14 dicembre 1931, giorno in cui uno sconosciuto contadino, rivendicando un “uso civico” usurpato da un podestà fascista, cadde sotto il piombo dei carabinieri.

Renato Lalli- Donato Del Galdo fa rivivere il mondo contadino attraverso l’esperienza diretta, senza mediazioni intellettuali. E’ un mondo che rivive nella sua schiettezza e verità, appena velata da una nostalgia per valori di solidarietà umana. Ad esso Del Galdo è profondamente legato, lo sente profondamente radicato nella sua persona. E, per darne testimonianza ai giovani soprattutto, ha cominciato a scrivere.

...Un mondo contadino quindi integro, nei suoi contorni reali, appena visto con gli occhi di nostalgia di chi però ad esso è rimasto fedele; di qui la genuinità, l’ingenuità candida direi dei suoi racconti, espressione anche di una sanità morale scaturita da quel mondo e ad esso ancora radicata; un mondo anche di sofferenze inenarrabili, di lotta tenace e paziente contro le durezze della vita…

Sebastiano Martelli- Un documento antropologico alimentato da una scrittura che, grazie alla forte vitalità e alle esperienze di vita dell’autore – partecipa alle lotte contadine del dopoguerra nel Basso Molise come dirigente comunista delle leghe bracciantili,  impegno politico e sindacale che continua tra gli emigrati in Belgio negli anni sessanta ha oltrepassato la soglia della lingua dei semicolti conquistando un livello medio “connotativo” che risponde anche a una presa di coscienza politica e ideologica… Un innato piacere della scrittura educato alla scuola della politica: “il partito mi ha dato la possibilità di esprimermi, di avere un linguaggio chiaro e un’organizzazione mentale”.

                                                                              Gabriella Iacobucci©2020tutti i diritti riservati

 

 

 

 

16 commenti:

  1. Cara Gabriella,
    Ci fai sempre scoprire cose nuove ed interessanti. Penso che questo libro sia anche un valido documento storico. Le durezze della vita contadina di quei tempi dovrebbero farci apprezzare di più le comodità che abbiamo oggigiorno.
    Buon lavoro e grazie.
    Angela e Gennaro

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  2. Cara Gabriella,
    bella idea quella della "Letteratura contadina" che ha il suo tempo. Infatti quello era un tempo in cui l'analfabetismo era dilagante in tutta Italia specialmente nelle aree rurali della Pensiola.
    E' vero che il Novecento è il secolo dove l'istruzione è arrivata in tutti i paesi, ma non allo stesso livello.
    La generazione nata nel 1925, per esempio, spesso ha frequentato la scuola elementare fino alla terza classe. , senza contare poi dove vi erano le multiclassi con un solo insegnante per la prima, seconda, terza, quarta e quinti e alunni che superavano le 40 unità.
    E quelli come Donato Del Galdo si sono avvicinati alla scrittura in età adulta e hanno lasciato testimonianze magnifiche del loro passato

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  3. Questo libro dovrebbe essere letto e commentato nelle scuole come prezioso documento storico, la dieta mediterranea, frugale, vegetariana per lo più, con il suo saporito pane sale e lo spicchio d'aglio e di cipolla è sicuramente una delle poche, accanto ad una quotidianità più rispettosa dei ritmi circadiani di sonno , di veglia, di vita all'aria aperta , eredità da salvare, anzi da riscoprire di questa civiltà contadina, la terribile fatica e oppressione del lavoro agricolo senza prospettive di miglioramento si coglie perfettamente in questa asciutta testimonianza di Del Galdo, spiace solo pensare, oggi nel 2020, che i nipot8 di quei contadini , diventati imprenditori agricoli hanno assoldato braccianti extracomunitari per coltivare quelle stesse terre mettendoli quasi in stato di schiavitù. La storia si ripete, cronache contemporanee , che non si sarebbero dovute mai ascoltare.

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  4. Loreta Giannetti, Montreal28 settembre 2020 alle ore 21:42

    Queste storie della grande miseria dei contadini le sentivo raccontare dai miei genitori nelle serate in cui noi emigranti ci radunavamo con parenti e amici. Ho un libro del fotografo Frank Monaco sul Molise degli anni 50 che mostra in fotografia quello che l'Autore descrive con i suoi racconti. Con questo interessante documento sulla vita contadina della prima metà del xx secolo ci permetti di approfondire la storia del nostro Molise.Grazie!

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  5. Dear Gabriella,
    These stories are a detailed history of what went on in many parts of Italy back in those days. Worse in some areas of course. I was born in 1943, in Lazio, and as a little girl I well recall the hardships of my grandparents and my parents. I remember my mother telling us that when she was a little girl in a family of seven, her mother used to put milk in a bowl and they all had to eat from that bowl. But they felt lucky because they had milk--not every family had milk. I remember all those hardship too because it took a few years for things to change. But do our children now in Canada, sons and daughters of immigrants, who without even skipping a generation have become doctors, lawyers, teachers--professionals, believe that their mothers cut wheat with a sickle, their ploughed the fields with oxen. They smile and are not sure they should believe it or not. They should be made to read the history 'di quei tempi in Italia.' And perhaps more of it should be recorded.

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  6. ERNESTO DI PIETRO DELEGATO DI CAMPOBASSO DELL'ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA5 ottobre 2020 alle ore 20:42

    Grande emozione la mia nel rileggere brani dello scrittore contadino della mia San Giuliano di Puglia; conoscevo bene Donato Del Galdo, amico e coetaneo del mio papà,che merita attenzione per il suo linguaggio semplice, a volte crudo ma efficace. Il suo libro però non è solo storia della fatica dei contadini;egli non ci parla solo della "paranza" dei mietitori schierati all'alba ma anche dei loro pasti frugali consumati nelle masserie di Monte Calvo, di Postecchia o della Mezzanella. Sono bellissime le descrizioni delle pietanze che ancora oggi, nella loro semplicità, fanno parte degli usi gastronomici di quella zona: il panecotto misto a verdure campestri;la romantica "acqua sale" niente altro che pane raffermo, indurito dal sole, bagnato e poi condito con i pochi ingredienti a disposizione olio, sale, aglio, origano, e qualche volta pomodori. Che bello.Grazie Gabriella per questo splendido ricordo.

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  7. "Vita di contadini" di Donato del Galdo è un libro in cui viene presentata la vita di una famiglia di contadini di un piccolo paese del nostro Molise. Il testo è esente da retorica e presenta in modo efficace la fatica, la durezza, la miseria della condizione di vita dei contadini , facendo quasi percepire il sudore, la polvere e la stanchezza dei lavoratori "infaticabili". Leggere questi brani estrapolati dall'opera di Donato del Galdo mi ha riportato alla mente i racconti di mia madre Anna, maestra, figlia di contadini che ha studiato grazie ai sacrifici ed alla disponibilità di tutta la famiglia, fratelli compresi, tutti contadini. Le ingiustizie subite durante il periodo fascista sono sempre state raccontate da mia madre col senso di ribellione di chi è stato oppresso. Le istanze sociali presenti nel testo di Donato del Galdo sono simili a quelle a me note attraverso i suoi racconti e ciò evidenzia la verità quasi documentaria dello spaccato di mondo presentato dall'autore molisano.Profondamente diversa è l'atmosfera del libro "Vita di contadini". Mia madre infatti, nei suoi racconti ha sempre sottolineato il senso di gioia, di spensieratezza, di cameratismo che animava il semplice mondo contadino della sua giovinezza. In esso il riso non mancava mai unito ad un vissuto di solidarietà, rispetto reciproco, onestà e fiducia costante nella divina provvidenza. Grazie Gabriella, perché attraverso questa opera che hai proposto alla attenzione di tutti noi mi hai fatto ricordare un mondo semplice e autentico del passato della mia famiglia. Ernestina Simeone.

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  8. Peccato che sia fuori catalogo, perché leggendo la lunga scheda  di Gabriella viene propria voglia di averlo in casa Vita di contadini, anche per la bella copertina di Domenico Fratianni.Quando si pensa alla vita dei contadini di una volta viene in mente soltanto Fontamara di Silone, come per quella dei pescatori si ricorda principalmente I Malavoglia di Giovanni Verga, reso poi ancora più famoso dal capolavoro di Visconti.E' naturale, credo, associare queste due categorie, unite in passato dalla durezza del loro lavoro, dalla scarsità del guadagno e dalle ingiustizie e rischi cui erano sottoposti: maggiori i sacrifici e ipericoli di chi andava per mare, ma innumerevoli i soprusi, le vessazioni, le violenze, la sottrazione degli usi civici subita da chi lavorava la terra, specie quando si trattava di quella altrui.Meritevoli quindi le ricerche e la divulgazione di MOLISE D'AUTORE: oltre che ricognizione nella letteratura, preziosi documenti.Chi oggi vede gli "agricoltori" (così li chiamano adesso) al riparo nellecabine condizionate dei loro trattori e i pescatori (forse anche per loro c'è un neologismo politically correct), ben protetti da stivaloni e colorati involucri impermeabili, non sa che - fino a qualche decennio fa - i primi lavoravano anche sotto la pioggia e i secondi andavano in barca e in giro a vendere il loro pescato a piedi scalzi.

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  9. Grazie Gabriella, queste sono le letture che l’umanitá dovrebbe amare!
    Il verismo descritto in questo libro non è associato solo a quel verismo siciliano descritto da Verga ma bensì è la descrizione minuziosa, reale e trasparente di tutto il mondo contadino in tutte le regioni d’Italia.
    Grazie! Immacolata.

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  10. Michele Tanno, Presidente Arca Sannita di Campobasso13 ottobre 2020 alle ore 16:26

    Gabriella, complimenti per aver riportato all'attenzione di tutti il libro Vita di contadini di Donato Del Galdo. Ho conosciuto e ammirato Donato fin da piccolo quando veniva in piazza al mio paese a parlare del riscatto dei braccianti dallo sfruttamento dei latifondisti del Basso Molise. Egli, bracciante agricolo, ha dedicato tutta la vita per dare voce e dignità a tutti i contadini. Purtroppo è stato poco ascoltato, soprattutto dai politici.
    Oggi che i contadini , sempre bistrattati e calpestati dalla società civile, non ci sono più, il suo libro è un monito per tutti che ci deve far riflettere, specialmente in questi tempi, sul nostro futuro.
    Grazie ancora Gabriella per averlo ricordato.

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  11. Giuseppe Colombini, Desio (Mi)26 ottobre 2020 alle ore 18:05

    Ho trovato l'idea di "Lo scaffale dei libri dimenticati" molto interessante. Il testo "Vita di Contadini" è molto particolare perché non sono stati in molti a parlare di questo mondo. Tra i passi citati mi ha colpito molto quello che racconta la nascita di un movimento contadino di rivendicazione di diritti, quasi inesistenti all'epoca. Inoltre è particolare che fosse una donna, A Manuela, a guidarlo. L'Autore presenta la vita quotidiana nei suoi vari aspetti in modo partecipe e distaccato insieme, e ciò rende la narrazione ancor più interessante...

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  12. Break the ice! Siamo segregati, alla ricerca di qualcosa da leggere; fateci scoprire un racconto, un autore che non conosciamo.
    the Ancient Mariner

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  13. Cara Gabriella, Donato era un contadino schietto dalle mani di pietra, segno tangibile del duro lavoro condotto sin da ragazzino. Ho avuto modo di conoscerlo e di ascoltarlo nello studio di papà, quando mi raccontava episodi della sua vita mai facile. In questo lavoro ci narra il nostro Molise in un modo asciutto e vero, talvolta arido come la nostra terra, ma sempre in maniera onesta e fiera, soprattutto del senso di appartenenza e del suo essere comunista e del rivendicare con forza i suoi diritti e quelli degli altri braccianti. Ti ringrazio per avermi fatto nuovamente vivere il ricordo, non solo di un uomo sincero, ma di un periodo in cui la casa editrice era un luogo frequentato da persone che sapevano raccontare sé stesse e quindi parte della nostra storia molisana.

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  14. Brava Gabriella! Chiara e coinvolgente la tua presentazione del libro!

    Questo bell'esempio di letteratura contadina, di storia della " fatica quotidiana senza scampo" e di ribellione come estrema soluzione di una esasperazione senza fine, viene offerto al lettore attraverso una analisi del testo, classificato, con grande intuizione, come esempio di "letteratura indigena", cioè di letteratura che esprime, con uno stile semplice ed essenziale, un mondo contadino raccolto su se stesso, rannicchiato in un contesto di tradizioni antiche, di un vissuto quotidiano, giorno per giorno, con l'obiettivo primario di sopravvivenza, accompagnato da una abitudine atavica e dignitosa di appagamento dal poco offerto da una terra avara.
    Il libro viene presentato con grande capacità di coinvolgimento, riportando sinteticamente la trama, ma allargando poi, in modo efficace, lo sguardo sulla descrizione della vita di tutti i giorni nei campi, sulla dieta dei contadini - facendo gustare al lettore la genuinità, i sapori ed i profumi di cibi semplici, poveri, ma gustosi-, sulla durezza e la fatica senza fine del lavoro in campagna, le difficili condizioni ambientali, la carenza dell'acqua, le tradizioni della mietitura, l'amore nelle campagne, l'assistenza sanitaria e scolastica, lo spirito religioso. Un accenno severo, ma anche canzonatorio, viene poi fatto sulla figura del Federale, esempio classico di spavaldo rappresentante del nulla, che realizza se stesso attraverso ordini recepiti con rabbia dai poveri giovani strappati dalle famiglie e destinati alle colonie e che si pavoneggia con lustrini e nastrini orgogliosamente portati sul petto.
    Il tentativo poi di togliere ai contadini del paese l'uso civico sui terreni, esercitato da decenni, fin dalle lotte compiute dai padri nel secolo precedente, portano nel dicembre 1931 ad una insurrezione nel paese, in seguito alla morte di un contadino provocata da un colpo di fucile sparato da un carabiniere. L'insurrezione è violenta, sia in risposta alla morte del contadino, sia come reazione all'ingiustizia che sta maturando attraverso la sottrazione dei terreni utilizzati da sempre, sia come presa di coscienza della esasperazione maturata e della "fatica quotidiana senza scampo",resa dagli eventi inutile e priva di traguardi.
    Brava Gabriella, come ha già detto un commentatore, leggendo la tua bella, efficace e coinvolgente scheda di presentazione del libro, purtroppo fuori catalogo, " viene proprio la voglia di avere in casa Vita di contadini".

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  15. Claudio Di Cerbo, Italia Nostra Isernia15 gennaio 2021 alle ore 18:56

    Tra le fatiche della vita contadina raccontate da Donato Del Galdo, una, forse però la più significativa, riguardava la costruzione della propria casetta. Costruite su fazzoletti di terra soda, ma in modo da non perdere nemmeno una quota di terra coltivabile, lontane da altre particelle di terreno raggiungibili dopo ore di cammino e lontane da centri abitati, esse venivano costruite con materiali del posto. Le casette e i ricoveri con muratura in pietrame a secco oggi costituiscono testimonianza storica e patrimonio culturale di grande importanza ma, costruzioni fragili, stanno purtroppo andando in rovina. Va così scomparendo una testimonianza importante di un mondo contadino in cui una vita di dura fatica era il prezzo che si pagava per poter mangiare semplice panecotto, insalate o un pezzo di pane con la cipolla, ma anche di una società basata su rapporti umani più schietti e solidali, come quando ci si riuniva per mietere, trebbiare, o sgranare il granoturco.

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