lunedì 22 febbraio 2010

E' deceduto Renato Lalli

E’ scomparsa una delle voci più importanti della cultura molisana. Renato Lalli, 82 anni, si è spento a Campobasso, sua città, dopo breve malattia. Egli ha dedicato tutta la vita alla ricerca storica e culturale del Molise pubblicando numerosi saggi (più di una sessantina). Infinita è anche la  sua produzione pubblicistica e i suoi interventi. Egli, infatti, ha collaborato alle  riviste più importanti di storia locale e nazionale e a programmi Rai, indagando la sua regione,  sotto l’aspetto storico, letterario, economico e antropologico.

Ha riportato alla luce nomi storici di rilievo come Zurlo, Ricciardi, Longano, Pepe, curando nuove edizioni o pubblicando inediti delle loro opere. Nei suoi saggi, che scandagliano il Molise dal Medioevo ai giorni nostri, ha trattato con acume di Agostino Tagliaferri, Giuseppe De Vincenzi, Giuseppe Maria Galanti, Papa Celestino V. Ha fatto conoscere agli italiani il grande poeta-sindacalista, che ha lottato per i diritti degli italiani in America, Arturo Giovannitti. Ha pubblicato gli scritti molisani di Francesco D’Ovidio. Si è soffermato sulla figura Vincenzo Cuoco.

Insegnante d’italiano nelle scuole superiori, la sua vasta preparazione gli ha permesso di trattare sia la storia che la letteratura. Ma è stata soprattutto la prima la sua grande passione che lo ha tenuto impegnato alla scrivania fino alla fine della sua esistenza. Gli ultimi dieci anni sono stati  infatti proficui di saggi sul Molise e i suoi personaggi. Tra questi; Espressioni letterari a artistiche fra Rinascimento ed Età barocca (2000);  Profili di personaggi molisani (2001); Vita e cultura del Molise : dal Medioevo ai tempi nostri,  (2003);  Il Molise: 1806-1963 : cronistoria dell'autonomia regionale (2003);  Il Molise e l'Europa : dai primi conquistatori germanici ai viaggiatori del secolo diciannovesimo (2005) ; Campobasso capoluogo del Molise (in collaborazione con Norberto Lombardi e Giorgio Palmieri), 2006; Calendario storico del Molise (2006). L’ultimo suo lavoro lo ha dedicato a Francesco Longano, di cui aveva già curato nel passato la ristampa della sua opera:  Viaggio dell'abate Longano per lo Contado di Molise accresciuto e migliorato dall'autore (2009).

Barbara Bertolini

Renato Lalli era Consigliere culturale della nostra associazione. Alla moglie, Rosa Maria giungano le nostre più sentite condoglianze.

mercoledì 10 febbraio 2010

Srittori molisani, questi sconosciuti...

Articolo pubblicato su Primonumero l’8 febbraio 2010


 


Quelli che li scoprono


Sono tanti, e anche bravi. Ma di loro, a scuola come nelle librerie, si sa poco. L’Associazione Molise d’Autore ha l’obiettivo di far conoscere gli scrittori di origine molisana. Gabriella Iacobucci, traduttrice italiana di autori stranieri di origine molisana, spiega iniziative, progetti e blog in questa intervista.


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della giornalista  Alessia Mendozzi



Molise d’Autore è un’associazione culturale, fondata nel novembre del 2005, con lo scopo di far conoscere gli scrittori di origine molisana. Molte le iniziative portate avanti per raggiungere questo obiettivo: dagli incontri con gli autori, alle letture pubbliche, dai convegni, alla partecipazione ai festival della letteratura, fino alla realizzazione del sito web - curato dalla giornalista Barbara Bertolini – dove è possibile trovare, oltre alle informazioni sull’associazione e sulle sue attività, anche schede sugli autori, interviste e brani dei loro romanzi. L’associazione è diretta da Gabriella Iacobucci - molisana laureata in Lettere, residente a Roma da più di trenta anni – che ha lavorato, oltre che nella scuola, in teatro e attualmente si occupa della traduzione italiana degli scrittori stranieri di origine molisana.

Sono davvero tanti gli scrittori di origine molisana. E’ anche vero che nella nostra regione, però, si sa davvero poco di loro...
«Infatti. Tra l’altro a noi interessa che questi autori non vengano solo presentati, ma che vengano letti. L’idea dell’associazione è nata proprio dalla consapevolezza che esiste una ricchezza letteraria poco o male conosciuta, dall’idea che essa sia molto spesso oggetto di studi ma raramente fonte di vero godimento intellettuale. Proprio per questo, la gente la considera una cosa da specialisti e non vi si avvicina con piacere. Noi pensiamo che un approccio diverso, diretto, servirebbe ad avvicinare un numero di lettori molto più vasto a questi autori». 

Anche a livello scolastico sono poco conosciuti.
«Non sono molto informata di quello che si legge nelle scuole. Mi sembrano rari, però, gli studenti che sanno qualcosa di questa letteratura. La nostra iniziativa è rivolta anche a loro».

Dietro questi scrittori ci sono molto spesso storie di emigrazione. Quanto influisce nelle loro opere la condizione di emigrante?
«Molto. I primi emigranti non sono scrittori, lo sono diventati però i loro figli, o coloro che sono emigrati in un periodo relativamente recente. Molti di loro conoscono appena l’Italia, hanno studiato nelle università di Toronto o di Philadelphia, sono pienamente inseriti nella vita sociale ed economica dei paesi in cui vivono, eppure tutti, più o meno, narrano la storia dei genitori, il proprio ambiente familiare ancora fortemente segnato dal mondo contadino italiano e il conflitto tra questo e il nuovo mondo urbano in cui si sono inseriti».

Oltre agli incontri di lettura e al blog – dove c’è un’interessante sezione, ’Scopriamo l’autore’ – , in che altro modo promuovete la vostra attività?
«Collaboriamo a molte attività in cui sia possibile proporre autori illustri del Molise. La nostra ultima iniziativa, "Biblioteche Aperte" - patrocinata dalla Regione Molise e dall’Ambasciata del Canada - intende risvegliare quell’interesse per il libro che nel Molise ha avuto un’illustre tradizione e restituire a biblioteche e centri di lettura la loro primitiva funzione. Vuole, allo stesso tempo, far riscoprire anche le opere degli scrittori stranieri di origine molisana. Abbiamo già iniziato i nostri incontri di lettura a Casacalenda, a Ripabottoni, a Fossalto, a Montorio nei Frentani, e devo dire che non mi aspettavo una risposta così positiva. Nei prossimi mesi sono in calendario le biblioteche di Baranello e Ripalimosani, poi programmeremo una nuova serie di incontri in altri paesi».

Tra gli scrittori emergenti, c’è qualcuno che vuole segnalarci?
«Non mi risulta che ce ne siano tra gli stranieri di origine molisana. Tra quelli italiani di origine molisana, ultimamente si è fatta un nome con i suoi romanzi storici la milanese Carla Maria Russo.
Il canadese Nino Ricci, che esordì con il successo di "Lives Of The Saints" una ventina di anni fa, l’anno scorso ha vinto per la seconda volta il più importante premio letterario canadese, il Governor’s Award, con il romanzo "The Origin Of Species". Non so se ci sono scrittori dello stesso valore, al momento».

Secondo lei, cosa si può fare per invogliare i giovani a scoprire gli autori della propria terra?
«La nostra risposta è nell’Associazione, nata appunto con lo scopo di far conoscere questi autori spesso nominati, pochissimo letti.
Negli incontri che sto conducendo in varie biblioteche del Molise sono stati proposti libri di cui molti non avevano mai neanche sentito parlare, ma che dopo poche pagine di lettura fatta insieme a tavolino, hanno coinvolto e appassionato i partecipanti. La formula che abbiamo scelto è quella di fare della lettura anche un’occasione di incontro. Come per tante attività, la socializzazione completa il valore della lettura. I giovani presenti sono in genere pochi, capitati lì casualmente perchè magari accompagnavano le madri. Ma sono sembrati positivamente colpiti anche loro».

Per quanto riguarda la reperibilità e la consultazione dei testi, com’è la situazione nella nostra regione e, in particolare, nelle biblioteche pubbliche?
«Molti degli autori su menzionati e altri si trovano, per esempio, nella Biblioteca Provinciale di Campobasso, e si possono prendere in prestito o consultare. Nelle piccole biblioteche non li ho visti, e nelle librerie è impossibile reperirli. Ricci e Fiorito, pubblicati nel 2004 e nel 2000, non sono più in commercio, e nemmeno le loro case editrici, a quanto pare, li hanno più. Si possono ancora reperire via Internet, però».

C’è un progetto che le piacerebbe realizzare in Molise?
«Per ora mi piacerebbe estendere il progetto Biblioteche Aperte ad altri paesi e renderlo stabile. Vorrei far riscoprire il piacere della lettura e sperimentare la forza comunicativa della vera letteratura anche in ambienti in cui potrebbe sembrare impossibile».


LINK di Primonumero


http://www.primonumero.it/


(Pubblicato il 08/02/2010)

martedì 2 febbraio 2010

Il “ nuovo” ruolo del traduttore

 


 Libri autori molisani                                                        di Rita Frattolillo





Delle numerose ondate migratorie che, spinte dalla disperazione, dalla seconda metà dell’Ottocento hanno varcato l’oceano spopolando il Molise e lasciando le donne ad affrontare da sole la difficile condizione di vedove bianche, è rimasta testimonianza nelle lettere, scritte su paginette di quaderno ingiallite dal tempo con mano malferma e in dialetto, inviate dai nostri manovali e “artieri” ai familiari. Sono quelle povere frasi sgrammaticate a gettare luce sugli aspetti crudi e duri della loro quotidianità di  emigrati.

Poi sono arrivati i Pietro Corsi (classe 1937) e i Giose Rimanelli (classe 1926), emigranti di successo e prolifici autori, a creare, direttamente in italiano o in inglese, l’epopea migratoria, scavando nelle stigmate della propria identità lacerata.

Quindi c’è stato il passaggio ad autori di lingua inglese come Nino Ricci (1958), che, pur appartenendo alla generazione nata oltreoceano, hanno attinto, nelle loro creazioni letterarie, ai risvolti spesso allucinanti dell’emigrazione, sull’eco tumultuosa di una tensione in bilico tra il peso delle radici e l’esigenza di conoscere il proprio io.

Ultimamente lo scenario è cambiato e il panorama si è esteso, contando autori come Carole Fioramore David, Joe Fiorito, Antonio D’Alfonso, Filippo Salvatore, oltre al vecchio e grande Don DeLillo (classe 1936), e si è anche diversificato, perché alcuni di essi, come Marco Micone, Luigi Bonaffini, Johnatan Galassi, non si limitano a scrivere, ma traducono.

Sicché l’uso dell’italiano si è ridotto, quando non è scomparso del tutto, inequivocabile dato di una minore diffusione all’estero dell’italiano quale lingua letteraria , sia pure di nicchia.

I romanzi e i saggi non solo sono redatti in inglese o  francese, ma, accanto al veicolo linguistico, anche il contenuto è cambiato: l’ispirazione dei nuovi protagonisti del mondo letterario d’oltreoceano non ruota più intorno al “vecchio” nucleo tematico dell’emigrazione, o almeno non esclusivamente intorno ad esso.

Tale riflessione ha preso corpo dopo la lettura – avvincente – del romanzo di Mary Di Michele, canadese di Lanciano, che, uscito con il titolo “Tenor of love”, è stato poi tradotto in italiano da Gabriella Iacobucci con il titolo “Canto d’amore”.

 Qui l’emigrazione non costituisce l’ossatura del plot, che è l’ingarbugliata vita sentimentale del grande tenore napoletano.

Certo, anche Caruso è un emigrante, ma di lusso, uno che giunge in America sull’onda della fama, uno che quando sente avvicinarsi la morte, dopo 17 anni trascorsi in America mietendo successi, esprime il desiderio di morire in patria. Ma tutto finisce qui, anzi non sarebbe neanche incominciato se la Di Michele, durante un suo soggiorno italiano, non  fosse stata affascinata dalla canzone “Caruso” di Lucio Dalla, ascoltata per caso; da lì  le ricerche sul grande cantante, di cui lei non aveva mai neanche sentito parlare.

A me sembra che in “Canto d’amore” il rapporto con le radici sia appena sfiorato, e anche la visione dell’Italia che, nella finzione letteraria, emerge dalle parole della moglie di Enrico Caruso, Dorothy,  somiglia parecchio a quella superficiale e approssimativa di certi turisti stranieri.

Bravura della scrittrice nel ricreare lo “sguardo” americano di Dorothy, oppure genuina percezione che del nostro Paese ha  l’autrice?

L’impressione, leggendo il romanzo, è che il cordone ombelicale con la terra d’origine si sia per lo meno allentato, e che la di Michele  non “senta” quel mal du pays per l’Italia come un figlio che se ne è dovuto allontanare.

Se questo non è un caso isolato, ma segnale  di una mutazione, è sicuro indizio di “crescita”: i figli e nipoti dei manovali e artigiani di una volta hanno studiato, hanno salito i gradini della scala sociale e professionale, affermandosi, e si sono integrati nel sistema.

Questo non può che essere motivo di orgoglio per la capacità dimostrata  dai discendenti dei nostri emigrati di  essersi saputi inserire nella realtà in cui vivono, pur se il “salto” dall’italiano all’inglese o francese significa, per noi rimasti nella madrepatria, che potremo  gustare la nuova letteratura  solo se e quando tradotta.

 Conseguenza di questa mutazione naturale quanto ineluttabile è la trasformazione del ruolo del traduttore.

Fino a ieri intento esclusivamente a rendere al meglio nella lingua di arrivo le sfumature e lo spirito dell’opera originale, oggi è colui che, essendo spesso a contatto diretto  con i club degli ex emigrati, è in grado di individuare, segnalare all’editore italiano e quindi  introdurre da noi i nuovi scrittori italo-americani. E’ il caso di Gabriella Iacobucci, la “nostra” Fernanda Pivano,  traduttrice, tra l’altro, di Frank Colantonio (“Sui cantieri di Toronto”), di Nino Ricci (trilogia raccolta in “La terra del ritorno”), e della Di Michele, da lei conosciuta ad un convegno mentre la scrittrice aveva già cominciato a mettere mano a “Tenor of love”.

Traghettare e diffondere la letteratura italo-americana non è impegno da poco, ma ad esso  se ne aggiunge un altro non meno importante, perché può succedere che il testo originale contenga improprietà e approssimazioni riguardanti, ad esempio, i nostri detti e le nostre tradizioni, comprensibili in chi è nato e vive a migliaia di chilometri dall’Italia, e che  spetta al traduttore “raddrizzare”. Forse perciò ancora oggi qualcuno dice traduttore-traditore, quando, piuttosto, si tratta di portare una cultura dentro un’altra, senza travisarne nessuna.

C’è chi si è meravigliato nel vedere comparire, in copertina,  il nome del traduttore.

Al contrario, trovo giusto che il lavoro non facile e il ruolo ormai dilatato del traduttore trovino un riconoscimento “ufficiale”, anche perché, sia pure su un piano diverso, egli, rielaborando frase dopo frase un testo,  in un certo senso lo crea, e in definitiva è autore senza esserlo.