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sabato 23 maggio 2009

Scopriamo l'autore, Luigi Incoronato


Bruno ALETTA




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scala a san potito




Luigi Incoronato: Tra i gradini inquieti






























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Negli anni del dopoguerra, nell'intensa esperienza del neorealismo meridionale Napoli, con l'appassionato impegno dei suoi intellettuali più impegnati, diede un contributo decisivo alla rappresentazione di una realtà disgregata e prostrata dagli esiti della guerra.
Le opere di questi scrittori partenopei di nascita o di adozione furono il punto di partenza di una prospettiva di lotta e di cambiamento, per una letteratura di denuncia e di militanza politica. Con stili e intenti talvolta diversi, scrittori come Domenico Rea e Luigi Compagnone, e per certi versi Michele Prisco e Mario Pomilio, parteciparono a quella narrazione collettiva, "a più voci", delle miserie di una città assunta a simbolo di una società da trasformare. Luigi Incoronato fu tra questi il neorealista più ortodosso, e il romanzo "Scala a San Potito" l'opera meno mediata e più aspra di denunzia delle miserie prive di speranze di un gruppo di senza tetto napoletani.


"Scala a San Potito", pubblicato nel 1950, fu il capolavoro di un'anima inquieta, Luigi Incoronato, nato a Montreal nel 1920 da emigrati, vissuto a Napoli, cronista di Paese Sera e morto suicida nel 1967. La tensione dell'opera di Incoronato è tutta orientata alla denunzia di una realtà da mettere a nudo. La vicenda del romanzo "Scala a San Potito" pubblicato nel 1950, ruota intorno ad un giornalista che per curiosità o perché attratto da una forza misteriosa, frequenta con insistenza un luogo di miseria e disperazione, quella scala a San Potito sui cui pianerottoli trovano alloggio diseredati senza casa né lavoro, talvolta alla ricerca di un'identità sociale ed economica, talvolta senza speranza e annichiliti dalla rassegnazione. Quella scala diviene sempre più il luogo degli affetti del protagonista, e i suoi tentativi di solidarizzare e di condividere le storie e sentimenti di quei disgraziati lo assorbono a tal punto che ben presto si sentirà non già osservatore esterno, ma uno di loro.


Il neorealismo in Italia visse momenti felici quando il peso degli eventi misero in sospensione il viaggio dello spirito novecentesco all'interno dell'uomo, all'interno dei linguaggi e delle forme espressive. Il romanzo filosofico e psicologico, l'introspezione e il flusso dei pensieri e le sperimentazioni espressive che caratterizzano gran parte della letteratura del'900, confinano l'esterno, la storia, l'altro da sé, a sfondo e contesto dei sentieri letterari. Ma tra gli anni '40 e gli anni ‘50 la realtà fu troppo ingombrante per raccontare le storie delle anime perché quelle anime erano troppo stritolate, forse annientate dalla realtà. La guerra, la lotta partigiana e il dopoguerra generarono una letteratura che non poté non immergersi in toto in una realtà essa stessa metafora di un viaggio spirituale senza ragione e senza meta.
Il neorealismo fu vera arte? Calvino giustamente affermò che non di corrente letteraria si trattava "il neorealismo non fu una scuola, ma un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, specialmente delle Italie fino allora più sconosciute dalla letteratura."
L'esigenza di rappresentare con crudezza la realtà diveniva atto politico e militante e questa presunta limitazione del dato estetico generò infiniti dibattiti che appassionarono i grandi intellettuali italiani del dopoguerra. La lotta partigiana e le miserie del dopoguerra dettero luogo a due filoni speculari del neorealismo: al dramma delle giovani ed eroiche vite spezzate nelle montagne della libertà, geograficamente e culturalmente radicate nel nord Italia fece eco e risonanza della realtà una narrazione delle miserie di una parte del Paese colpita al cuore prima ancora di sorgere, quel Sud Italia attanagliato dalla fame e dalla disperazione, punto di partenza per uno scatto di risveglio politico e di anelito di giustizia sociale. Scrive Walter Pedullà che il neorealismo visse due fasi ben definite "... dal 1945 al 1950 la narrativa è settentrionale come la maggior parte della guerra partigiana, mentre invece è meridionale la narrativa che dal 1950 al 1955 va a combattere dove più drammatico è il ritardo sociale (da Tommaso Fiore a Carlo Levi, da Rea a Jovine, da Brancati a Sciascia, da La Cava a Bonaviri, da Bernari a Incoronato, da Prisco a Compagnone, da De Jaco a Palumbo, da Seminara a Strati, da Pomilio a Pietro Buttitta)."
Napoli fu teatro privilegiato di narrazione e in quegli anni difficili le sue miserie non furono circoscritte al tragico quadro di una campagna affamata e tagliata fuori da ogni progresso rappresentata dal romanzo simbolo "Cristo si è fermato ad Eboli", ma testimoniarono una disperazione "metropolitana" dove i senza tetto non avevano dimore in squallide stalle ma sui gradini di una scala al centro della città.


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Scopriamo l'autore, risposte

Ecco le risposte ricevute su Luigi Incoronato:

Sandra

Luigi Incoronato, scrittore formatosi nella tradizione culturale del meridionalismo, in Morunni descrive il ritorno a Ururi di un soldato (probabilmente autobiografico). Incoronato alla fine della Seconda guerra mondiale, dove si è distinto come eroe, si presenta al Comando Alleato di Campobasso per svolgere la professione di interprete. Tra le altre opere, è stata pubblicata nel 2006, a cura di F. D’Episcopo e M. Lombardi, una raccolta di racconti pubblicati a partire dal 1954 sul quotidiano “Paese sera” dal titolo L’imprevisto e altri racconti.

 

Antonio

In Morunni Incoronato non fa nulla per trattener il lettore. Le sue storie, raccontano vizi e virtù di un piccolo paese del Sud. Storie tuttavia che ti lasciano così, come sono nate, senza portarti ad un punto, senza darti spiegazioni. Ti cattura poi ti lascia; sembra ti voglia dire: "veditela tu con la tua fantasia, fanne quello che vuoi".

 

Maria

Di Luigi Incoronato non ho letto “Morunni” ma il suo romanzo “Scala a San Potito” che credo sia quello in cui ha dato un contributo importante alla rappresentazione di una Napoli distrutta e prostrata dalla guerra. Però a me questo libro ha irritato molto.   Non parlo ben inteso della scrittura, ma della trama. Un tizio che si addentra per masochismo nei problemi degli altri, che ci si tuffa volendoli far propri senza risolverli, mi infastidisce perché molto lontano dal mio modo di essere. I personaggi vivono la loro rassegnata miseria della Napoli del dopoguerra come banale normalità. E io ho fatto fatica a leggere tutte le pagine e mi ci vorrebbe qualcuno che mi spiegasse dove non ho capito la grandezza dell’opera.

 

anonimo

Consiglio a Maria di leggere l'Antologia delle opere narrative di Luigi Incoronato, a cura di Giambattista Faralli.

 

anonimo

Incoronato era originario di Ururi.
E’ stato interprete presso il Comando militare alleato.

Egli ha dato un contributo importante alla rappresentazione di una Napoli disgregata nel romanzo Compriamo bambini, del 1963. Egli è considerato di ambito neorealista.

Tra le opere posso citare Il Governatore, del 1960, esso pure ispirato alla guerra nel Molise, dove Lenno e Bontora adombrano Ururi e Larino.

 

Annamaria                                                                                                            

Di Morunni mi ha molto colpita il racconto ”Solitudine” perché Incoronato riesce ad immedesimarsi, con grande penetrazione, nell’animo sia femminile che maschile, dimostrando così una grande sensibilità. La serie di racconti, tipico della scrittura di Incoronato, si snoda con sicurezza, lasciandoti alla fine in sospeso, aspettato la conclusione finale. Morunni è un bel libro che fa rivivere coinvolgenti avvenimenti e fatti di un mondo paesano ormai scomparso.

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sabato 11 aprile 2009

Luigi Incoronato,

Copertina di Morunni, di Luigi IncoronatoEstratto da Morunni, di Luigi Incoronato, Marinelli Editore, Isernia 1988, prima ediz. Mondadori Milano 1952


 


p. 207


            Al bivio il piccolo autobus si fermò; Emilio Sarro scese col suo zaino e l’altro fagotto.


            «Di nuovo tanti auguri» gli disse l’autista , rimettendo in marcia. I visi dei viaggiatori si voltarono a guardarlo, in piedi davanti alla sua roba sulla strada. Là, a settecento metri, un po’ elevato rispetto alla provinciale, che vi giungeva in leggiera salita, era Morunni con le sue piccole case grigie scure, e il campanile della chiesa vecchia, che minacciava di crollare da tanto tempo.


            Era l’alba. Da Termoli erano partiti ch’era ancora notte. Nei campi il grano già in parte falciato. Sulla provinciale c’era solo un carretto, che usciva dal pese in quel momento, e procedeva lentamente.


            Non gli restava che prendere lo zaino e il resto e avviarsi verso casa. Ma i suoi occhi non si staccavano da quei tetti. Ora finalmente, riusciva a ricordarsi. Aveva lasciato Morunni una mattina d’inverno, che pioveva tanto da sembrare che la postale sarebbe finita fuori strada. Michelino, al volante, ripeteva: «Non si vede la strada.»


            Ora la luce aumentava. Erano le stesse case, lo stesso colore. Il mattatoio era lì, a destra, quattrocento metri fuori del paese. Il calvario a sinistra, isolato, oltre una casetta nuova, di mattoni rossi, che lui non ricordava. Le mura e i tetti sembravano uguali. Sembravano. Ma certo non lo erano. Come non erano certamente coloro che in quelle strade, in quelle pareti, avevano vissuto cinque anni della loro vita. Come non lo era lui, che forse faceva fatica a muoversi, a correre incontro ai suoi familiari, quasi potesse accadere di non riconoscersi, e d’essere per sempre estranei, loro a lui e lui a loro. Oh, meglio guardare le pietre di Morunni, la loro eguale apparenza. Ma i cuori degli uomini, delle donne, il suo cuore, che lunga strada in cinque anni. Solo il carretto lentamente si avvicinava a lui.


 


            Tutto era stato diverso. Oh, come lo avevano stretto le braccia di Sandrina, Giulietta…. E quanto avevano lacrimato i vecchi occhi di suo padre. Pareva che egli fosse per loro l’aria tanto gli si erano stretti con le braccia e gli sguardi. C’erano ancora degli esseri umani su questa terra per cui contava che lui fosse vivo.

Scopriamo l'Autore

 


Domande:




  1. Luigi Incoronato è nato in Canada, a Montreal, il 4 luglio del 1920. Quale paese molisano, di cui il padre era originario, si cela sotto il nome di “Morunni”, titolo del libro?



  2.  Da dove ritorna così mesto Emilio Sarro, uno dei personaggi di Morunni?



  3.  Insignito della Medaglia di bronzo al valor militare durante l’ultimo conflitto mondiale,   che ruolo svolge Incoronato  a Campobasso  alla fine della guerra?



  4.  In quale libro ha dato un contributo importante alla  rappresentazione di una  Napoli disgregata e prostrata dagli esiti della guerra?



  5. In quale corrente si inserisce la scrittura di Luigi Incoronato? 



  6. Puoi citare altre opere di Luigi Incoronato?


giovedì 10 gennaio 2008

Indizi dei brani da indovinare

Mi rendo conto che non è facile indovinare l’appartenenza dei brani inseriti. Infatti, nessuno l’ha scoperta. Allora, come promesso, ecco i primi indizi.


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Il brano n. 1 è stato scritto da un insegnante (che diventa poi DDT). E qua non vi dico nulla di nuovo poiché la maggior parte degli scrittori ha svolto questa professione. Ma, se vi dico che questo insegnante  è stato anche assistente di Lombardo Radice all’Università romana,  e che ha insegnato anche in Tunisia e in Egitto, forse, forse  ora sapete qualcosina in più. Calif, che ha lasciato il messaggio, ha pensato a Luigi Incoronato a causa  probabilmente di Morutri, il paese menzionato nel testo, ma non è lui.  Effettivamente un nome simile (Morunni) è il titolo di un romanzo di Incoronato.


La prossima volta, sempre se continuerete a brancolare nel buio, vi darò altre informazioni.


 


Il brano n. 2 è, invece, davvero il più difficile. Hanno detto che è un personaggio agnonese. Vero. Accontento Rosanna che voleva sapere la data di pubblicazione di questo libro: anno 1915.


Ora dovrebbe essere più facile scoprire lo scrittore, anche lui docente (ha insegnato tra l’altro nel Reale Liceo di Campobasso).


 


Non è la scrittrice Mary Melfi ad aver scritto l’opera del brano n. 3. Di questo brano dico solo che la storia è stata scritta in francese, con lo stesso titolo, e tradotta successivamente in Italia.