Testo di Gabriella Iacobucci
IL LUNARIO dell’OSTERIA
di Enzo Nocera (Boiano 1932 - Campobasso 2020), Edizioni Enne, Campobasso 1999
Perché
Tra gli innumerevoli libri che
Enzo Nocera ha pubblicato durante la sua intensa e lunga attività di editore — dando corpo a una
letteratura molisana che altrimenti sarebbe rimasta invisibile — c’è anche questo romanzo,
il suo, un piccolo gioiello uscito nel 1999.
Il romanzo mi aveva colpito
subito, e ora in questo “Scaffale” avrei potuto finalmente parlarne. Poi è
giunta improvvisa la notizia della sua morte, e insieme il dolore per la
scomparsa di un altro importante amico di tanti anni.
In questo romanzo c’è parte della sua vita e
della sua anima. Parla della sua infanzia, di cibo, di tradizioni e vita
quotidiana legate al cibo. L’ Osteria è il simbolo di un Molise ormai scomparso,
un luogo dell’anima al quale in questi giorni più che mai ripensiamo con
profonda nostalgia.
Questa scheda è il ricordo che Molise d’Autore
dedica a Enzo.
Trama
Una locanda di paese condotta dalla
nonna e da tre zie zitelle, una vera e propria impresa familiare dove le
quattro donne si occupano di tutto, dall’acquisto delle derrate alimentari alla
conservazione e alla preparazione del cibo, e infine all’ospitalità. Il via vai
di avventori e fornitori, la cucina dei giorni della settimana, delle stagioni,
delle feste religiose, soprattutto la sacralità del cibo sono i protagonisti
della storia. Un nipote bambino, l’Autore, si aggira in cucina e tra i tavoli, e
la sua mente infantile registra la vita di questo microcosmo: il via vai di
gente che passa nell’Osteria tutti i giorni, i pranzi preparati durante le
feste, i discorsi, mentre il mondo di
fuori, con i suoi avvenimenti grandi e piccoli, entra nella locanda attraverso
i racconti degli avventori.. “Mi sentivo protetto dalle mura calde e amiche…
Poche volte mi azzardavo ad andare oltre il vicolo, in Piazza Roma o davanti
alla Cattedrale; eccetto occasioni particolari, preferivo la mia vita dentro le
pareti domestiche, dentro le mura del vicolo, dove potevo trovare tutto quello
che mi interessava sapere, vedere, ascoltare e assaporare”.
Il
romanzo inizia così
Chiudo gli occhi e mi ritrovo
nell’Osteria di mia nonna, Nonna Marietta. Tutti in paese, la chiamavano Zì
Marietta, e qualcuno ancora ricordava che in gioventù la chiamavano “Maria la
Matta”, chissà perché.
Nonna Marietta era minuta e
asciutta, e portava sette gonne: sei di stoffa leggera e una di panno pesante,
e mi pareva alta, alta, vestita sempre di nero, con un corpetto rigido di
stoffa ricamato con cotone nero, e sopra una camiciola bianchissima, odorosa di
bucato, che cambiava ogni giorno, anche due volte…
Enzo Nocera |
Dal
libro
L’Osteria
L’Osteria era situata su
un’antica strada di Bojano che si immergeva, sinuosa, tra le vecchie mura del
borgo medievale – Corso Umberto, da tutti chiamato Viche pe dénte.
L’Osteria aveva un pianoterra, un
primo piano e un secondo piano. Al piano terra vi era la cantina-mescita, la
sala coi tavoli di servizio e la cucina. Al primo piano v’era la locanda e la
“Sala da pranzo per i signori”, e al secondo gli appartamenti della famiglia,
di mia nonna e delle zie. In un ampio locale annesso al corpo maestro dell’edificio,
a pian terreno, si faceva e si conservava il vino.
[…] I clienti accedevano nella sala da pranzo
anche direttamente dalla strada senza passare per il locale cantina-mescita.
Alle pareti della sala vi era la lista delle vivande con i relativi prezzi, il
calendario di “Barbanera” e delle stampe a colori: una rappresentava due osti,
uno grasso che “non faceva credito”, e uno magro che faceva credito, e la
scritta “si fa credito domani”.
Il pane
Zia Carolina accendeva il forno
quando occorreva, ma immancabilmente almeno una volta alla settimana, il
venerdi mattina verso le cinque, due o tre ore prima che mia nonna iniziasse il
rito del bagno. L’accendeva per l’infornata del pane, occorrente per l’intera
settimana, e anche la vigilia dei giorni di festa, quando era l’occasione di
cuocere i dolci per la domenica, l’arrosto di maiale o le testine di agnello
con le patate.
[…] Il lievito non si doveva mai
comprare di sera perché, mia nonna diceva, “poteva portar male al capofamiglia”
che lo vendeva o lo prestava. Allora zia Consiglia, quando era costretta a
prenderlo di sera, lo andava a comprare da donne vedove o da donne non sposate.
Le zie formavano le pagnotte sulle quali praticavano, con il coltello, due
tagli a croce, poi, infarinate e
avvolte in candide tovaglie di cotone, le
ponevano a lievitare tutta la notte nella parte più buia della cucina.
Le feste
Il giorno della festa si annunciava
d’improvviso con il suono della cornetta del banditore, di mattino presto, con
lo scampanio delle campane della Cattedrale o con il suono della bandarella, composta
da cinque musicanti che, appena girato l’angolo del vicolo, attaccava con suoni
alti una marcetta, mentre il Comitato della Festa camminava avanti e girava per
tutto il paese per la questua.
La nonna e le zie erano già
sveglie da qualche ora e in giro per accendere il fuoco del camino e delle
fornacelle, per rinfocolare la legna del forno, che rimaneva acceso già dal
giorno prima per cuocere il pane, i biscotti e i dolci già confezionati. Ancora
nel letto indovinavo dai rumori i vari punti dove il lavoro si svolgeva. Il
caldaio con l’acqua sul fuoco del camino, le pentole sulle fornacelle, la
farina sulla tavola per l’impasto. Appena dopo iniziavano gli scampanii di
tutte le campane della Cattedrale.
Il Lunario di Barbanera
Ogni anno nonna Marietta faceva
comprare il calendario di Barbanera e il Calendario “americano”, quello a
blocco con fogli mobili di carta sottile con i numeri rossi, ambedue venivano
attaccati e sfogliati solo qualche giorno dopo il Capodanno, perché diceva mia
nonna che “porta male usarli prima della fine dell’anno vecchio o il primo
giorno del nuovo e iniziare a staccare i sottili foglietti i primi giorni
dell’anno”.
Il Lunario di Barbanera riportava
i pronostici del tempo per settimana, le lunazioni, e tutti i suggerimenti per
la semina, per l’orto, i consigli per la cura delle piante, e indicava quello
che zia Consiglia poteva trovare al mercato. Le previsioni del Barbanera non
facevano dismettere il ricorso a detti e pronostici, a proverbi che si
adattavano ai giorni e alle occasioni e che si tramandavano oralmente da
generazioni e rappresentavano la “tavola della legge” non scritta.
La neve
Quando faceva un tempo da lupi
dalle gole del Matese o dal passo di Vinchiaturo o dallo spartiacque di
Castelpetroso, la neve investiva anche la piana di Boiano che si sbiancava. La
sera prima era sereno poi l’alba trovava la biancosa
e noi ragazzi a bocca aperta a cogliere i larghi fiocchi. Quando arrivava dalla
montagna nevicava con impegno e riempiva i recipienti di legno che le zie
lasciavano fuori, nella corte. […] Nel cortile dell’Osteria vi era un angolo
dove non batteva mai sole, era lì che si conservava la neve, come in una
piccola nevèra, in recipienti di
legno, e durava mesi…
Quando invece la neve arrivava
con folate basse, tagliava anche il fumo dei camini e il respiro di quelli che
si azzardavano a uscire dalle porte ben serrate. Anche gli scuri delle finestre
erano chiusi, anche le porte basse delle stalle dove intuivo sulla paglia
asini, mucche e pecore che si stringevano tra loro per scacciare il freddo, e
il sole andava a dormire presto dietro il Matese, che aveva messo il berretto
bianco.
Verso il solstizio d’inverno, i
venti e la neve scacciavano anche i lupi dalle cime del Matese verso le
montagne più basse, quella della Crocella sopra Boiano, quelle di San Polo, di
Campochiaro, di Guardiaregia e Roccamandolfi, e la notte stavo per ore ad
ascoltare gli ululati che si confondevano ai latrati dei cani e nel letto mi
stringevo addosso le coperte in un caldo abbraccio.
Gli uomini che venivano in Osteria sembrava che fossero stati
scacciati anche loro dalle loro tane. I contadini con la barba lunga e nera,
con passo svelto e guardingo, come selvaggina braccata, sembrava che
recitassero tra di loro “doppe Natale
fridde e fame”; i massari avvolti in mantelle nere si guardavano indietro
come se qualche cane addentasse la mantella e i signori davano il “buongiorno”
e si infilavano su per la scala che portava al primo piano, con gli occhi
bassi, come si vergognassero dei bei cappotti abbottonati, dei cappelli di
feltro, e di non avere “né freddo né fame”. Era il tempo del camino, del ciocco
lasciato a consumarsi, dei racconti filati su per la cappa insieme alle puzelle, alle scintille che come stelle
tornavano in cielo.
Il Regime
Alla fine di Settembre venne
affisso il Decreto che vietava la vendita della carne per due giorni la
settimana. Negli stessi giorni venne vietata “la somministrazione di pietanze a
base di carne” nelle osterie e nei ristoranti. Fu un segnale che, in quell’inizio
di Autunno, venne a scombussolare la vita tranquilla del paese. Il mercoledì e
il venerdì si imponeva la chiusura delle saracinesche delle macellerie, e si
vietava di servire in Osteria piatti a base di carne. […] Solo allora le
persone cominciarono ad accorgersi che il Regime poteva interferire nella vita
del paese. In Osteria la sera gli uomini si trattenevano a parlare della
chiusura delle macellerie e qualcuno accennava al fatto che emissari del fascio
locale andassero in giro per negozi e al mercato del Sabato per controllare i
prezzi delle merci e chi li acquistava e faceva incetta oltre il normale. Ricordavano
che durante la guerra d’Etiopia le donne sposate avevano donato alla Patria le
fedi d’oro e mai si erano pentite del sacrificio, che era stato spontaneo e non
imposto dal Regime. A Bojano si raccolsero fedi d’oro per oltre cinque chili.
Tutti i paesani si ritennero rimproverati e puniti.
L’arte di arrangiarsi
Agli inizi del Marzo 1940 il
Governo aveva bloccato i prezzi dei beni già contingentati: carne, zucchero,
caffè, e qualche giorno dopo il blocco venne esteso al consumo della pasta, del
pane, del riso e dell’olio.
Nell’Osteria le zie usavano
ancora preparare il brodo di bollito che si ripassava poi con il pomodoro.
Almeno due volte alla settimana cucinavano la trippa e il baccalà, e già molte
domeniche avevano abbandonato il tradizionale ragù per l’alto costo della
carne; invece preparavano la “genovese”, per la quale potevano impiegare carne
non pregiata e molte cipolle. Facevano attenzione, come sempre, al consumo del
pane; quello “ vecchio” si conservava e veniva poi frantumato nel brodo e nel
latte; si usava anche per preparare il pancotto con olio e sale. […] Ascoltavo
zia Consiglia, sempre informata di quello che accadeva fuori delle mura
dell’Osteria, riferire alle sorelle che anche il Governo, come nonna Marietta,
si preoccupava di dare consigli. In modo ironico riportava alcuni passi che
aveva letto su settimanali femminili: “Nella confezione dei cibi adoperare ogni
ingrediente in dose strettamente necessaria- - essere inesorabili per il burro,
l’olio, il parmigiano, la pasta – non lasciarsi sedurre dal pregiudizio che
abbondando nei condimenti il cibo migliori- utilizzare per intero il cavolo,
compreso il torsolo”…
L’insegna dell’Osteria
Quella sera i contadini, davanti
a un litro di vino, parlavano della raccolta del ferro fatta a settembre, non
solo dei rottami di ferro, ma anche delle inferriate, delle cancellate dei
giardini e quelle dei monumenti, che erano state divelte e ammucchiate con
altro ferro che non aveva storia. Qualcuno più informato riferiva che a Bojano
ne era stato raccolto oltre dieci quintali di quel ferro, e che il paese era
stato scelto come centro di raccolta del circondario. Anch’io avevo assistito
al prelievo del ferro e a tutto quello che il Regime riteneva inutile
ornamento. Venne anche rimossa l’insegna dell’Osteria, con grande dolore di
nonna Marietta la quale ricordava che nonno Vincenzo l’aveva fatta forgiare,
tanti anni prima, dal fabbro ferraio del vicolo…
Calendario fascista
Mi ero reso conto che il Lunario,
che avevo accettato come unico sistema che regolava la vita dell’Osteria, le
stagioni e le feste, non era più valido. Le feste calendariali degli anni della
mia fanciullezza si erano arricchite di altre manifestazioni. Il calendario
multicolore delle feste si era cominciato a tingere sempre più di nero, del
nero delle feste che aveva istituito il Regime fascista. […] Non si lavorava il
3 gennaio perché era l’anniversario del discorso di Mussolini alla Camera,
detto “Mezzo colpo di Stato”; poi, sempre a gennaio, l’8 era la festa per il
compleanno della Regina. La festa dell’11 febbraio veniva chiamata dei “Patti
Lateranensi”, con pazienza mi spiegava zia Consiglia, la festa cioè della pace
tra lo Stato e la Chiesa conclusa da Mussolini. Il 23 marzo era la festa
dell’”Istituzione dei Fasci di Combattimento”; il 21 aprile era il Natale di
Roma, e sebbene si fosse in primavera, io lo immaginavo come uno speciale
Natale della Capitale, senza freddo e neve; e il 9 maggio ecco un’altra festa:
la “Proclamazione dell’Impero”.
La morte di nonna Marietta
[…] Nel tavuto, nella bara di legno, le zie mettono gli oggetti che
dovranno aiutare a presentarla nell’altro mondo: il suo pettine, il suo
specchio oscurato da un velo nero, un asciugamano di lino bianco, una vecchia
borsetta nera che non avevo mai visto prima, con dentro le foto di tutti noi… Suona
il campanone di mezzogiorno, l’anima di nonna Marietta, “Maria la matta”, la
zia Marietta di tutti si stacca finalmente dal campanile della Cattedrale e sale
in cielo, a organizzare convivi diversi… Fuori c’è la neve, anche lei mi pare
fatta di neve, ma è diversa, questa, una neve che allucina ma che non si
riflette sulle azzurrate vetrine dell’Osteria.
C’è silenzio nell’Osteria, rotto
solo dallo scroscio d’acqua delle tre cannelle nella vasca di fuori.
Una mosca “invernale” si attarda
attorno all’ultimo calore della cenere nel camino di nonna Marietta, e adesso
so che più nulla, più nulla potrà riscaldare il mio cuore.
Hanno
detto
Giose Rimanelli- Quando la memoria si fa racconto,
immaginazione e visione – com’è infatti in questo stupendo libro di Enzo
Nocera, Il Lunario dell’Osteria- è quanto Giambattista Vico identifica con
poesia. […]
Nocera ha
scritto qualcosa che va oltre il romanzo e, allo stesso tempo, lo anticipa.
Esso è sì la sintesi della sua infanzia nell’Osteria della nonna ma è
soprattutto un “Lunario” sui generis di riti popolari e miti, leggende e
stregonerie dove non mancano splendide pagine descrittive come quelle del
matrimonio zingaro, dell’incontro di due tribù di zingari nell’Osteria di Corso
Umberto, quella di Isernia e quella di Bojano…
A leggere le pagine di questo
dizionario di oracoli e magia, cibi e tipi di esseri umani, e la politica che
invade, corrompe e immiserisce, io ho rivisto la mia stessa infanzia, qualcosa
che ‘ubriaca senza bere’, Nocera scrive con fine e ironica malinconia, e ci fa
tristemente pensosi.
Enzo A. Cicchino- Il Lunario dell’Osteria è un
sortilegio narrativo, una specie di magia della atemporalità, facile pure che
ti prenda con il suo laccio e ti trascini in un volar di giorni a capofitto
portandoti da quella storica cucina di Boiano alla favola storica altrettanto
stracolma di meraviglie della grande letteratura dell’Ottocento, Il Castello di
Fratta di nievana memoria. […]
Protagonista del romanzo non è un uomo, ma un’osteria, con tutti i suoi
forchettoni, i fornelli, gli otri; i legumi, le verdure, le ricette, i santi
del calendario, e poi le pentole di rame alle pareti che requisite dalla guerra
lasciano impronte a forma di occhi strappati.
Gabriella Iacobucci
PROSSIMA SCHEDA: “LA STANZA
GRANDE” DI GIOSE RIMANELLI
Anche quest'altra scheda di Gabriella ci incuriosisce, e vorremmo tanto ficcanasare più da vicino nel pianoterra dell'osteria, che immaginiamo poco luminosa, ma ricca di profumi e di personaggi, evocativa di antichi sapori. Enzo Nocera ce la presenta con le parole di un bambino, ma la guarda con acuti occhi di adulto, e ci fa immaginare perfino il cassettone del secondo piano - dove c'era l'alloggio di famiglia - in cui erano custodite le camicie immacolate che nonna Marietta si cambiava anche due volte al giorno. Si, ci viene voglia di prendere in mano il volume, anche per l'intreccio tra cronaca e Storia che stimola quelli che non hanno vissuto quel periodo e chi l'ha attraversato da adolescente. Continua così Presidente!
RispondiEliminaGrazie Gabriella per avermi fatto rivivere una storia non vissuta direttamente, ma indirettamente attraverso la scrittura di mio padre, ma che per me è un rituffarmi nei ricordi di vita vissuta di una parte di me che sento dentro e presente, come se nulla fosse successo e come se nulla fosse andato. Dalle tue parole sgorga l'affetto e la stima che avevi per lui e che lui ricambiava. Ti ringrazio di cuore, sperando in altri ricordi ancora così vivi e belli...
RispondiEliminaA Fabrizio Nocera. Grazie, Fabrizio, le tue parole mi commuovono. Hai parlato di "far rivivere", e un libro può compiere questo miracolo. E se Manzoni contava sui suoi "venticinque lettori", da oggi Enzo ne ha almeno dieci in più, come puoi constatare dai commenti...
EliminaChiudo gli occhi e mi tuffo in una lettura che subito mi coinvolge come un brano musicale che evoca all'istante i ricordi, il passo sulla neve è quello che mi piace in modo particolare e mi riporta agli inverni della mia infanzia, freddi, lunghi e nevosi come raramente avviene di recente, grazie Gabriella per avermi fatto scoprire questo autore che conoscevo solo come autore degli Almanacchi del Molise. Il tempo , con appunto le sue stagioni, le lune e i calendari legati ad una civiltà contadina , il buon cibo "a km zero" maturato e consumato nei giorni e nei mesi giusti e questa incredibile Osteria, vero luogo del cuore , sono i protagonisti di storie in cui ci ritroviamo e che serbiamo con grande piacere nella mente. Vincenza Pede
RispondiEliminaGabriella, complimenti ancora per il lavoro che stai compiendo nel riportare alla memoria perle di testi introvabili. I tuoi "libri dimenticati" sono come i frutti della nostra terra: dimenticati, ma indimenticabili per sapore, profumi e ricordi che suscitano.
RispondiEliminaun paragone bellissimo!
EliminaUn bellissimo romanzo il"Lunario dell'osteria" da leggere e da ristampare se non si dovesse trovare in libreria. Il racconto da evocativo ed intimista dei ricordi dell'autore diventa corale nella rappresentazione della vita di un paese Molise in un preciso momento storico. Gabriella, grazie per avermelo fatto conoscere.
RispondiEliminaRingrazio Gabriella per aver proposto la lettura di un libro con l'olfatto, il gusto e l'udito. Leggendo si risentono i rumori, gli odori ed i sapori delle nostre cucine semplici,che sono sempre riuscite a dare gusti rassicuranti e fantasiosi anche quando la follia della politica ha cercato di sopprimere i sensi.Un libro da tenere nella libreria di casa. Complimenti
RispondiEliminaA Mauro Tedino, che tra i suoi impegni legali trova sempre tempo e spazio per le cose belle, un grazie particolare per questo commento.
RispondiEliminaAvevo sette anni quando siamo venuti a Roma con la mia famiglia da Domodossola dove abbiamo vissuto fino al 1946. Non avendo casa siamo stati dai miei nonni di Ferentino dove era nato mio padre. Ricordo bene che mamma cucinava con il carbone e si faceva il pane. La carne era a tavola solo una volta alla settimana, si mangiavano melanzane alla parmigiana, zucchine ripiene di mozzarella, mozzarella in carrozza, e molta frutta. Lì faceva freddo e a letto ci si scaldava con il "prete". Noi,che avevamo patito la fame, eravamo felici… Io e mio fratello ricordiamo con nostalgia quei tempi in cui avevamo i nostri genitori che abbiamo perso molto presto. La guerra è stata una brutta esperienza che ci ha segnato nell'anima, ma eravamo insieme. Avrei voluto leggere questo libro per intero, ma già i pochi brani citati nella scheda mi hanno ricordato quei tempi. Le scene sono così ben descritte che all'improvviso ci si ritrova immersi in quell'atmosfera che risveglia i nostri ricordi...
RispondiEliminaGabriella, grazie per averci resi partecipi di questo lavoro che ha suscitato in noi enorme interesse nell'Autore e un forte desiderio di leggere il libro (che però presumibilmente non è più trovabile in libreria. Ma in questo caso potremo certamente contare nel prestito della tua copia quando saremo a Campobasso). Complimenti. Continua a portare alla luce altre perle della letteratura molisana e rendicene partecipi come hai fatto ora. Grazie ancora e un caro abbraccio. Angela e Gennaro.
RispondiEliminaIl romanzo di Enzo Nocera il"Lunario dell'osteria" è un libro che non conoscevo e che acquisterei e leggerei volentieri. Dai brani che tu Gabriella hai selezionato, emerge quella atmosfera magica, calda e protettiva nella quale ogni bambino dovrebbe trascorrere gli anni importantissimi dell'infanzia. La lettura mi ha fatto tornare alla mente le tante storie raccontatemi da mio suocero che, come Nocera, fin da bambino era vissuto in un albergo _osteria di Vinchiaturo. Un microcosmo ricco di personaggi e di aneddoti legati al Molise di un tempo passato non lontano, in cui le fiere, le feste civili e religiose costituivano un momento importante per le piccole comunità. Molto bella è la figura di Marietta "la matta" che al di là dell'appellativo rimanda alla figura di un'imprenditrice, di una donna capace di organizzare tra mille difficoltà la vita della sua Osteria, senza rinunciare alla sua femminilità, cambiando le bianchissime camice anche più volte al giorno.
RispondiEliminaGabriella complimenti e grazie per la tua bella iniziativa. Ernestina.
Con vivo piacere ho letto la seconda proposta dello Scaffale dei libri dimenticati. Non mi sento infatti di parlare di semplice scheda, un termine altamente riduttivo rispetto alla ricchezza dell'articolo. La prof. Iacobucci infatti con una sapiente scelta di pagine e con il suo piacevolissimo modus narrandi ci offre la possibilità di una vera immersione in un mondo della memoria dolce e malinconico, un mondo che non esiste più, se non nel potere magico dei libri.Lo scrittore E. Nocera, che non conoscevo, ha saputo coniugare vari livelli di racconto, con note di interesse antropologico, come la borsetta piena di foto,seppellita con Marietta ; proiezioni della grande storia nel quotidiano dell'umile gente che si vede privata perfino dell'insegne di ferro. Potrei continuare ma la lotta con un pazzo prepotente correttore automatico mi sta distruggendo e mi fermo qui nell'attesa della promessa nuova presentazione e nella speranza di poter leggere l'accattivante romanzo di Nocera.
RispondiEliminaPeccato non poter sapere chi è l'autore di questo commento, ma sono certa
RispondiEliminache chiunque conosca la fatica della scrittura- e qui mi riferisco non solo a Nocera ma anche alla sottoscritta- vorrebbe avere sempre lettori così attenti, qualificati e gentili...
Ti ringrazio per avere ricordato il nostro comune amico Enzo e di averlo sopratutto ricordato attraverso il Lunario dell'osteria.Enzo ha avuto la capacità di interagire con i suoi lettori avvalendosi di una scrittura vivace, colorata e ricca di profumi, quelli di una volta.Carmela di Soccio
RispondiEliminaI ricordi d'infanzia si manifestano come immagini e suoni, ma prima ancora come profumi. Non è solo, come scrive Nocera, il tempo del camino e del ciocco: ricordare come si fa il pane significa ricordarne l'odore. Zia Marietta è associata agli odori, non solo quelli della sua cucina ma anche il profumo di bucato della sua camicetta bianca.
RispondiEliminaNon ho ancora letto l'opera, lo farò. Mi sembra interessante che il recupero memoriale sia affidato alla voce adulta del protagonista-narratore che sa, tuttavia, ancora guardare a quel mondo con gli occhi del bambino. Trapela un senso di innocenza e tenerezza recuperabile solo attraverso il viaggio della mente ai clienti, alla chiusura delle macellerie, ai lupi che ululavano nelle notti d'inverno, alle cipolle.
Bisognerebbe rivalutare il peso della memorialistica e delle narrazioni autobiografiche.
Grazie, Gabriella, per questo suggerimento di lettura.
Gabriella, ancora una volta hai stimolato la mia curiosità. Autore a me sconosciuto, ma da scoprire.
RispondiEliminaGabriella grazie per questa bella iniziativa. Ho molto apprezzato questa lettura, soprattutto la parte sul pane. Mi ha riportato alla mia fanciullezza perché anche mia madre nel mio paese in Calabria faceva dei pani grandi come ruote di biciclette. In più ho visitato Bojano molti anni fa con una mia amica che proviene da lì. Il paese mi è sembrato più grande di come lo avevo pensato.Questa lettura me lo ha fatto vedere con gli occhi della memoria del passato. Molto bella!
RispondiEliminaSerbo un bellissimo ricordo dell'amico Enzo fiero tra gli scaffali pieni dei suoi libri nello studio di Corso Bucci, vera cassaforte delle preziose opere della sua lunga attività editoriale.Il "Lunario dell'osteria" è un lavoro originale che partendo da aspetti antropologici, disegna un particolare quadro della civiltà della cucina molisana e delle sue tradizioni, a lui molto care. Mi resta il cruccio di non aver fatto in tempo a consegnargli il premio G.Nuvoletti 2020 dell'Accademia Italiana della Cucina, per essere stato per decenni un protagonista della cultura molisana sia sotto il profilo della ricerca e della produzione editoriale, sia sotto quello della promozione identitaria del nostro Molise. DELEGATO DI CAMPOBASSO
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