Don De Lillo, I Nomi
di Rita Frattolillo
I Nomi di Don De Lillo è uno di quei romanzi di cui senti l’urgenza di parlare ben prima di arrivare all’ultima pagina, la 376. E che ti lascia soprappensiero per l’impressionante capacità rielaborativa e organizzativa della massa magmatica di conoscenze e di esperienze introiettate dall’Autore, il quale le affida per lo più ai numerosi dialoghi che strutturano l’opera.
Sin dall’incipit si colgono l’ineluttabilità e la casualità che governano gli uomini, i cui brandelli di esistenze in bilico nel vortice di vite sradicate – come in certe ballate medievali - sono sfiorati dal protagonista James Axton, allo stesso modo in cui le onde incessantemente lambiscono e lasciano la riva.
Il lavoro ingarbugliato di James, ex scrittore con base ad Atene in qualità di analista di rischio per una compagnia assicurativa americana, se da una parte non allevia la sua complicata solitudine di padre privato del figlio Tap e di marito profondamente legato alla ex moglie Kathryn – che ama di più per il fatto di vivere separati - , dall’altra lo fa incrociare con gente multinazionalizzata che ha girato il pianeta e con cui si ritrova, in incontri ufficiali e non, a bere drink e scambiare conversari alla Jonesco sui massimi sistemi o su banalità, trattate sempre come massimi sistemi.
Il fatto è che la vita altrui brulica e corre tra un atterraggio d’aereo e l’altro in posti dai nomi profondamente evocatori: Amman, il Mani nel Peloponneso, Gerusalemme, Bombay, Lahore, mentre James sente che la sua vita gli scorre tra le mani e non riesce ad afferrarla. “Mi elude, mi sfugge”- confida al direttore degli scavi Owen -, così come, pur viaggiando per lavoro , si convince che i luoghi gli sfuggano, di non viaggiare “mai all’interno di essi”, a differenza di altre persone, che passano il tempo ad acquisire il “senso” del posto oppure a impararne il ritmo.
E invece proprio di un viaggio “all’interno” si tratta, dal momento che le descrizioni dei tanti luoghi esotici toccati da James fanno respirare l’atmosfera irripetibile che emanano, i colori e gli odori, ne catturano l’essenza magica, quasi che l’A. ne avesse prima succhiato, masticato la sostanza.
Ma non è tutto, perché questo newyorkese di origine molisana, mentalmente distante dagli italiani, che nomina distrattamente in tutto il romanzo solo un paio di volte, sente nelle carni il fascino dell’ellenismo – indimenticabile la descrizione dell’Acropoli che significativamente apre e chiude la storia – e prova un arcano “senso” verso le antiche civiltà affacciate sul Mediterraneo. E allora sono pagine straordinarie in cui affiora un io profondamente soggiogato dalla reminiscenza di un passato comune, e dall’archetipo di una vita dedita alla contemplazione di un mitico ideale atemporale di natura armonia bellezza.
Un io che è anche profondamente soggiogato - quasi ossessionato - dalle lingue, dal potere trainante dei suoni delle parole, dai nomi delle cose che si conoscono e soprattutto da imparare.
Fin dal titolo del romanzo il pensiero era corso a Proust, alle pagine della Recherche dedicate ai nomi, e quest’opera di De Lillo si qualifica ulteriormente per l’attenzione speciale a questo tema, esplorato con sottigliezza ed originalità in diversi momenti.
Non è certo un caso che Owen, poliglotta sulle tracce di epigrafi antiche, diventi una figura centrale verso lo snodo conclusivo della storia, e non è un caso che la setta assassina - che attrae Owen, James e il regista Frank Volterra fino a “inseguire” le orme del culto omicida - si chiami “I nomi”(in greco Ta Onòmata), né che il rituale omicida contempli il legame alfabetico tra i nomi delle vittime e il posto del crimine.
E d’altronde questo romanzo (che è del 1982 ma è stato pubblicato in Italia solo nel 1990) mette in risalto lo stile notevole di De Lillo, la sua scrittura raffinata e selvaggia, che non disdegna gli ossìmori, gli accostamenti inattesi, che mischia descrizione fisica e caratteriale, una scrittura, infine, a couches sovrapposte, capace di intrecciare pensiero (desiderio) e parole divergenti. Insomma, I nomi è una lettura imperdibile per la forza immaginativa che sprigionano le pagine, l’intelligenza vivida, la profondità dei sentimenti e l’abilità creativa di De Lillo.
interessante recensione..terro' presente
RispondiEliminaho letto rumore bianco di de lillo e mi era piaciuto molto