martedì 5 novembre 2019

Nino Ricci sarà oggi ospite d’onore a un convegno internazionale organizzato dall’Università del Molise a Campobasso. Per l’occasione Rita Frattolillo ha riletto il suo romanzo “IL FRATELLO ITALIANO” (Fazi Editore 2000, traduzione Gabriella Iacobucci)



Uscito in italiano nel 2000 per i tipi della Fazi editore, il romanzo  “Il fratello italiano”(“Where she has gone) dello scrittore canadese Nino Ricci, nato a Leamington (Ontario) nel 1958 da contadini lì emigrati da un paesino del Molise,  è il terzo di una trilogia tradotta da Gabriella Jacobucci (“Vite dei santi” Lives of the saints, 1990; “In una casa di vetro” In a glass house, 1997) che lo ha imposto all’attenzione della critica  mondiale.

Il tema è quello dell’emigrazione, ma nessuno dei tre romanzi  ne rappresenta una nostalgica cronaca, poiché  ognuno di essi, nello scorrere della narrazione, analizza e descrive con una scrittura di grande spessore e vigore  espressivo il disagio del protagonista Vittorio Innocente (Victor). Approdato da bambino in Canada - per congiungersi con il padre Mario - dopo una drammatica traversata in nave durante la quale la madre Cristina era morta di parto lasciandogli la neonata, Victor vive nel nuovo mondo una condizione di solitudine profonda.

Non soltanto perché non si intenderà mai con il padre, che non accetterà né il tradimento della moglie  né la piccola bastarda e finirà suicida - ma perché si sente sradicato, avvolto in una specie di limbo, senza un suo passato né un futuro. Estraneo tanto al nuovo mondo quanto a quello vecchio che si è lasciato alle spalle.



In perenne crisi d’identità, Victor vive dunque la sua doppia condizione con un subdolo, distruttivo senso di  alienazione rappresentata da Ricci con minuziosa cesellatura.
 Il legame di protezione viscerale che il protagonista prova per la sorellina Rita, nata su quella nave e poi adottata da una famiglia, si rivela attraversato da oscure pulsioni sessuali che lo sconvolgono distruggendogli la vita.

L’ambiguo, abissale sentimento di amore /attrazione/perdita che allontana e calamita i due fratelli in un gioco psicologico estenuante è descritto e analizzato con rara finezza psicologia dallo scrittore, che riesce a esprimere magistralmente il sotteso subbuglio interiore grazie a un profondo scavo introspettivo, che strato dopo strato arriva fino alla radice dell’oscuro legame.
 Non c’è comunicazione, tra i due fratelli, che sono - tra di loro e nel rapporto con gli altri isole senza ponti, trattenuti nello slancio da un eccesso di riserbo. E i dialoghi sono scarni, vi galleggiano frammenti di pensieri, vi prevale il non-detto.

Quando, in preda al più devastante senso di vuoto e di perdita, Victor, in cerca di risposte, decide di partire per l’Italia alla volta del suo paesino sperduto sull’Appennino, trova anche lì freddezza, estraniamento. I pochi frammenti di memoria che gli vengono a galla non combaciano quasi mai con ambienti e oggetti, pur se rimasti intatti in tutti quegli anni. Neanche i racconti dei testimoni dei fatti passati collimano con le storie come lui le aveva impresse, e “ogni volta che i suoi ricordi vengono smentiti è come se una parte di sé fosse strappata via” (p.181).  Pare dunque che ci siano diverse “possibilità di realtà”.

 Allora memoria e immaginazione sono ricordo e illusione del passato e magari danno la possibilità di riscrivere la realtà.

Alla fine del romanzo troviamo Victor in un’isola della Nigeria.
Mentre, in uno stato onirico, osserva la luna, i suoi riflessi sul mare, le barche, i falò dei pescatori, gli vengono a mente i falò che illuminavano la notte nella valle del suo paese quando era bambino.
Realtà, sogno, oppure memoria?

Quello che importa sembra suggerire in definitiva Ricci non è tanto la realtà dei fatti, ma quello che del passato rimane, le nostre memorie intatte, seppure irreali.

Rita Frattolillo


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