Per Elvira Tirone Santilli
di
Rita Frattolillo
Lo
scorso maggio si è spenta a Campobasso Elvira Tirone Santilli, una delle voci
letterarie più significative del
Novecento molisano. Elvira si è spenta serenamente come era vissuta. La sua
lunga esistenza è stata ricca di affetti familiari, piena di successi
professionali come docente, e di sinceri apprezzamenti per la qualità della sua
attività culturale. Certo, come a ognuno di noi, non le erano mancati dolori,
lutti e sofferenze, ma aveva affrontato
ogni ostacolo con fronte serena e passo lieve. Con lo stesso spirito aveva
vissuto i bagliori e i capovolgimenti del Novecento, sforzandosi
incessantemente di comprenderli, pur senza mollare la barra della coerenza e
dell’intimo convincimento.
Sta di fatto che in pieno 1968, in perfetta dissonanza con l’aria che tirava
e le barricate materiali e ideologiche alzate in mezzo mondo, aveva dato alle
stampe il suo primo romanzo, che con voce cristallina e scrittura piana affrontava
un argomento di tutt’altro tenore, mettendo in scena un territorio ai più
misconosciuto – Capracotta e l’Alto Molise - e un mondo di affetti percorso da problematiche familiari e scosso
dai radicali mutamenti imposti dal travaglio bellico. Nelle intense pagine di Oltre la valle (1968, III ristampa 1999)
si coglieva il profondo, assoluto amore della protagonista per la natura e il
suo paese natale, così come affiorava – elemento da non sottovalutare -
l’atteggiamento distintivo di Elvira verso la vita e le cose, ovvero l’esigenza
di far bene, ma con il dono del sorriso, del pizzico di ironia, che, oltre a stemperare
i drammi e a condire la giornata, è sempre segno sicuro di intelligenza. Giunta alla
svolta dei quarant’anni, lei aveva avuto
urgenza di narrare delle sue radici, di soffermarsi sul suo privato -
inquadrato nella più vasta trama della storia
lungo le tappe più importanti del secolo, dagli albori del Fascismo fino
alla ricostruzione del secondo dopoguerra - e lo ha fatto con grande onestà
intellettuale. Dopo Oltre la valle la
sua penna, grazie al suo “cervello a scacchi” non si è fermata più. In
occasione del centenario della battaglia di Dogali ha appuntato la sua
attenzione sul dramma vissuto allora dal prozio del marito Giovanni Tirone
curando la riedizione delle lettere (Un
molisano a Dogali, 1987, ristampa 1988). Si è inoltrata in sentieri da lei
quotidianamente praticati come docente, quando ha intavolato un colloquio con Belzebù, simbolo della nostra cattiva
coscienza, quella che rende incapaci di affrontare le conseguenze delle nostre
scelte (A colloquio con Belzebù, 1991, Premio “Scopri
l’Autore”). Nel 1996, riprendendo il mito di Aracne, ha esaminato il cammino
muliebre verso il riconoscimento delle proprie attitudini nel romanzo Il sentiero di Aracne. La raccolta
poetica L’ora dei sogni, dopo molti
ripensamenti, perché Elvira rimaneva sempre con i piedi ben piantati per terra,
e non presumeva di sé, finalmente ha visto
la luce nel 2005. E poiché “vividi di luce, i richiami allo spirito guizzano
come le minuscole stelle del cui palpito trema il silenzio cupo della notte” si
è sentita sempre spronata alla conoscenza, dandone prova con i suoi meditati
contributi sulla stampa, con il suo fattivo sostegno alle associazioni di cui
ha fatto parte, come la Fidapa, di cui è stata presidente, con la sua presenza
agli incontri culturali. Era anche un voler dire: “Ci sono…”, ma negli ultimi
tempi notavo con tristezza che, pur conservando la figura snella e svelta di sempre, la massa
dei capelli corvini un po’ ribelli che la distingueva tra mille adesso era meno
folta e sembrava troppo docile al pettine. Ci siamo conosciute nel 1969,
quando, fresca di nomina come docente sono giunta all’Istituto Magistrale, e,
sull’onda lunga del successo ottenuto da Oltre
la valle, volli leggerlo subito.
Non mi è capitato spesso di acquistare svariate copie dello stesso libro, ma
quella volta tornai in libreria per farne gradito dono a sorelle e amiche.
Erano tanti i motivi che mi avevano affascinato dell’opera, e alcuni li
espressi in una lettera (mi è più congeniale la penna della parola) alla
collega Elvira; è nata così la nostra lunga amicizia, anche se ondivaga, perché
diverse volte ci siamo perse di vista, ma ci siamo spesso ritrovate davanti a
nuovi interessi da condividere o impegni da portare avanti. Nell’ultima nostra telefonata, io ero in
partenza, aveva scherzato sul suo novantesimo compleanno, festeggiato
nell’affetto della numerosa parentela.
Per attutire il cocente rammarico di non
averla potuta accompagnare all’ultima dimora, ho ripreso in mano qualcuna delle
sue poesie. Che dire? Mi hanno avvolta le immagini della madre giovinetta, le
lucciole della sua infanzia, il suo orgoglio di madre, il suo affetto per i
morti di tutte le guerre civili, il gentile ricordo della suocera, e ogni pagina, illuminando un angolo del suo prezioso
scrigno segreto, mi ha restituito Elvira, rivelandomi, grazie alla ricchezza
del suo sentire, i tanti fili che tessono la trama dorata del suo canto
sommesso e palpitante.
Rita
Frattolillo © Tutti i diritti riservati
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