Sabrina Berent Infante
e la sua scoperta di Casacalenda attraverso gli scritti di Giose Rimanelli
Dal convegno di Casacalenda del 26 maggio 2012
Dal convegno di Casacalenda del 26 maggio 2012
Sabrina Berent Infante vicino a Giose Rimanelli (foto Kerem)
Nel 1999, durante
i miei studi in letteratura italiana negli Stati Uniti, ho letto la poesia di
Giose Estate argento e paglia che mi
ha colpito. Mi ci vedevo nel personaggio sulla motocicletta,
nel paese di origine, che parlava la sua madrelingua però con un finto accento non locale, “fingendosi un estraneo”. Capivo bene questo sdoppiamento. Poi, qualche anno dopo, ho letto il primo romanzo di Rimanelli, Tiro al piccione. Quando ho scoperto che l’autore era anche lui di Casacalenda, lo stesso paese del mio amico, mi sono incuriosita di più sulle sue idee del luogo di nascita, i suoi motivi per esserne sfuggito. Notavo molte cose in comune con quello che mi aveva spiegato questo mio amico. Nonostante un forte legame con la terra d’origine, e un amore profondo, tutti e due si ritenevano degli outsider, dei misfit, e degli “irregolari”, per usare termini applicati spesso a Rimanelli. Insomma, attraverso la scrittura di Giose io riuscivo a capire più profondamente alcuni aspetti caratteriali di una persona cui mi ero molto affezionata.
nel paese di origine, che parlava la sua madrelingua però con un finto accento non locale, “fingendosi un estraneo”. Capivo bene questo sdoppiamento. Poi, qualche anno dopo, ho letto il primo romanzo di Rimanelli, Tiro al piccione. Quando ho scoperto che l’autore era anche lui di Casacalenda, lo stesso paese del mio amico, mi sono incuriosita di più sulle sue idee del luogo di nascita, i suoi motivi per esserne sfuggito. Notavo molte cose in comune con quello che mi aveva spiegato questo mio amico. Nonostante un forte legame con la terra d’origine, e un amore profondo, tutti e due si ritenevano degli outsider, dei misfit, e degli “irregolari”, per usare termini applicati spesso a Rimanelli. Insomma, attraverso la scrittura di Giose io riuscivo a capire più profondamente alcuni aspetti caratteriali di una persona cui mi ero molto affezionata.
Ho avuto la fortuna di conoscere Giose
di persona cinque anni fa, quando è stato invitato a tenere una conferenza alla
mia università. La curiosità di conoscere meglio questo personaggio, così
simile sotto molti aspetti al mio amico, insieme alla necessità di scriverne un
saggio, mi hanno spinto a chiedergli un’intervista. D’altronde, mi sentivo di
conoscere Giose da tempo. In qualche modo, Casacalenda e Giose facevano già
parte del mio mito del Molise da un decennio. Ho cominciato a leggere altre sue
opere e lì è nato l’interesse più dichiaratamente accademico e l’inizio della
mia tesi di dottorato. Mi incuriosiva sempre l’argomento ricorrente della fuga,
e come si manifestava in tutte le sue possibili dimensioni (non solo tematiche,
ma anche stilistiche) nei suoi romanzi.
Devo dire che io sono all’inizio della tesi di dottorato e sto ancora formando le mie idee. Vi spiego brevemente le questioni che sto esplorando nelle mie letture.
Devo dire che io sono all’inizio della tesi di dottorato e sto ancora formando le mie idee. Vi spiego brevemente le questioni che sto esplorando nelle mie letture.
Tiro al piccione ci racconta le fughe più
fondamentali per la sua formazione: la fuga dalla famiglia, dal seminario,
dalla guerra, dal Molise, dalla patria. Negli altri primi romanzi, Peccato originale, e Una posizione sociale, vediamo ancora
nei personaggi la fuga dai vincoli sociali, dalle emozioni conflittuali,
dall’intimità con altre persone, la fuga da un luogo soffocante e dalla
chiusura mentale che caratterizza quell’ambiente. Ma in Una posizione sociale vediamo anche una fuga dalle paure infantili,
e la fuga dalla linearità narrativa nello stato ipnagogico, cioè il dormiveglia
del giovane narratore. Il mestiere del furbo
è la fuga dell’intellettuale dall’ambiente avvelenato dell’editoria italiana.
In Biglietto di Terza e poi Detroit Blues anni dopo, c’è una fuga
dalle rappresentazioni passate in quanto offrono entrambi nuovi approcci alla
narrazione dell’esperienza emigratoria. Nella “trilogia americana”, Benedetta in Guysterland, Accademia e The Three-legged one, c’è ancor più
notevolmente una fuga dalle tipiche narrative nel mondo “italo-americano”:
prima con la parodia della Mafia, e poi la fuga dalle “norme accettabili” e la
satira del mondo accademico, la fuga attraverso il sesso, il suicidio, e molte
altre. Soprattutto, nei romani più recenti, per esempio Viaggio, Giose sperimenta con tutti gli schemi stilistici e
linguistici, il “code-switching” di cui ha già parlato molto la giovane
studiosa Anna Maria Milone. Perché questo desiderio di rompere sempre tutti gli
schemi? E’ innagabile che nel caso di Giose, la fuga, il girare il mondo, e il
continuo crescere e capire il mondo e se stesso sono necessari proprio per il
suo spirito di uomo e di scrittore.
Più probabilmente, deciderò di
concentrarmi sul romanzo più recente, Viaggio.
In Viaggio vediamo il
protagonista-narratore-alter-ego dell’autore, ormai anziano, che fugge con la
memoria, attraverso lo stato ipnagogico, che riprende il dormiveglia e il modo
di narrare non-lineare di Una posizione
sociale. M’interessa il rapporto tra la memoria e l’identità, il raccontare
e ri-inventare. Vedo l’atto narrativo del protagonista come forma di fuga, e la
scrittura dell’autore come tentativo di ridefinire la storia. Guardano i modi
in cui Rimanelli è sempre fuggito (se non attivamente contestato) qualsiasi
limite/vincolo/etichetta, analizzerò l’uso del dormiveglia come tecnica
narrativa che lo gli permette di rivisitare, ricreare e ri-documentare il
proprio passato legando la soglia dello
stato ipnagogico del protagonista allo spazio d’interstizio che ha sempre
occupato questo scrittore.
E’ ovvio che ho un affetto particolare
per i Molisani (anche quelli che non abitano più nel Molise): soprattutto
questa strana catena di molisani che mi hanno dato l’opportunità di rivedere
Giose dopo quasi dieci anni, e di onorarlo insieme ad alcune delle persone che
gli sono più care. Sono lieta di essere qui con Giose e tutti voi, studiosi,
co-paesani, e cari amici. Prometto di lavorare molto per continuare a onorare
Giose come merita, e mi dispiace solo non averlo conosciuto prima.
Sabrina Berent Infante
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