mercoledì 20 giugno 2012


Sabrina Berent Infante 
e la sua scoperta di Casacalenda attraverso gli scritti di Giose Rimanelli


Dal convegno di Casacalenda del 26 maggio 2012


Sabrina Berent Infante vicino a Giose Rimanelli (foto Kerem)

L’incontro di oggi è, per me, l’ultimo in una serie d’incontri piuttosto imprevisti, ma stimolanti e fruttuosi. Finora, durante il mio breve soggiorno nel Molise, tutte le conoscenze che ho fatto, mi hanno suscitato emozioni e ispirazioni, sia personali sia professionali. Gabriella Iacobucci mi ha chiesto di parlare del mio interesse per la scrittura rimanelliana. Devo confessare che alla radice del mio interesse accademico, c’è stata una curiosità personale; un interesse di conoscere meglio, anzi di capire profondamente, un uomo casacalendese. A Firenze è capitato che uno dei miei cari amici fosse un molisano di Casacalenda, venuto a vivere a Firenze all’età di due mesi. Sradicato dal luogo di nascita, soffriva sempre di un forte disagio della non-appartenenza, che gli ha segnato tante cose nella vita, un argomento che riguarda sia il mio amico sia Giose.
Nel 1999, durante i miei studi in letteratura italiana negli Stati Uniti, ho letto la poesia di Giose Estate argento e paglia che mi ha colpito. Mi ci vedevo nel personaggio sulla motocicletta,
nel paese di origine, che parlava la sua madrelingua però con un finto accento non locale, “fingendosi un estraneo”. Capivo bene questo sdoppiamento. Poi, qualche anno dopo, ho letto il primo romanzo di Rimanelli, Tiro al piccione. Quando ho scoperto che l’autore era anche lui di Casacalenda, lo stesso paese del mio amico, mi sono incuriosita di più sulle sue idee del luogo di nascita, i suoi motivi per esserne sfuggito. Notavo molte cose in comune con quello che mi aveva spiegato questo mio amico. Nonostante un forte legame con la terra d’origine, e un amore profondo, tutti e due si ritenevano degli outsider, dei misfit, e degli “irregolari”, per usare termini applicati spesso a Rimanelli. Insomma, attraverso la scrittura di Giose io riuscivo a capire più profondamente alcuni aspetti caratteriali di una persona cui mi ero molto affezionata.
       Ho avuto la fortuna di conoscere Giose di persona cinque anni fa, quando è stato invitato a tenere una conferenza alla mia università. La curiosità di conoscere meglio questo personaggio, così simile sotto molti aspetti al mio amico, insieme alla necessità di scriverne un saggio, mi hanno spinto a chiedergli un’intervista. D’altronde, mi sentivo di conoscere Giose da tempo. In qualche modo, Casacalenda e Giose facevano già parte del mio mito del Molise da un decennio. Ho cominciato a leggere altre sue opere e lì è nato l’interesse più dichiaratamente accademico e l’inizio della mia tesi di dottorato. Mi incuriosiva sempre l’argomento ricorrente della fuga, e come si manifestava in tutte le sue possibili dimensioni (non solo tematiche, ma anche stilistiche) nei suoi romanzi. 
Devo dire che io sono all’inizio della tesi di dottorato e sto ancora formando le mie idee. Vi spiego brevemente le questioni che sto esplorando nelle mie letture.
Tiro al piccione ci racconta le fughe più fondamentali per la sua formazione: la fuga dalla famiglia, dal seminario, dalla guerra, dal Molise, dalla patria. Negli altri primi romanzi, Peccato originale, e Una posizione sociale, vediamo ancora nei personaggi la fuga dai vincoli sociali, dalle emozioni conflittuali, dall’intimità con altre persone, la fuga da un luogo soffocante e dalla chiusura mentale che caratterizza quell’ambiente. Ma in Una posizione sociale vediamo anche una fuga dalle paure infantili, e la fuga dalla linearità narrativa nello stato ipnagogico, cioè il dormiveglia del giovane narratore. Il mestiere del furbo è la fuga dell’intellettuale dall’ambiente avvelenato dell’editoria italiana. In Biglietto di Terza e poi Detroit Blues anni dopo, c’è una fuga dalle rappresentazioni passate in quanto offrono entrambi nuovi approcci alla narrazione dell’esperienza emigratoria. Nella “trilogia americana”, Benedetta in Guysterland, Accademia e The Three-legged one, c’è ancor più notevolmente una fuga dalle tipiche narrative nel mondo “italo-americano”: prima con la parodia della Mafia, e poi la fuga dalle “norme accettabili” e la satira del mondo accademico, la fuga attraverso il sesso, il suicidio, e molte altre. Soprattutto, nei romani più recenti, per esempio Viaggio, Giose sperimenta con tutti gli schemi stilistici e linguistici, il “code-switching” di cui ha già parlato molto la giovane studiosa Anna Maria Milone. Perché questo desiderio di rompere sempre tutti gli schemi? E’ innagabile che nel caso di Giose, la fuga, il girare il mondo, e il continuo crescere e capire il mondo e se stesso sono necessari proprio per il suo spirito di uomo e di scrittore.
       Più probabilmente, deciderò di concentrarmi sul romanzo più recente, Viaggio. In Viaggio vediamo il protagonista-narratore-alter-ego dell’autore, ormai anziano, che fugge con la memoria, attraverso lo stato ipnagogico, che riprende il dormiveglia e il modo di narrare non-lineare di Una posizione sociale. M’interessa il rapporto tra la memoria e l’identità, il raccontare e ri-inventare. Vedo l’atto narrativo del protagonista come forma di fuga, e la scrittura dell’autore come tentativo di ridefinire la storia. Guardano i modi in cui Rimanelli è sempre fuggito (se non attivamente contestato) qualsiasi limite/vincolo/etichetta, analizzerò l’uso del dormiveglia come tecnica narrativa che lo gli permette di rivisitare, ricreare e ri-documentare il proprio passato legando  la soglia dello stato ipnagogico del protagonista allo spazio d’interstizio che ha sempre occupato questo scrittore.
       E’ ovvio che ho un affetto particolare per i Molisani (anche quelli che non abitano più nel Molise): soprattutto questa strana catena di molisani che mi hanno dato l’opportunità di rivedere Giose dopo quasi dieci anni, e di onorarlo insieme ad alcune delle persone che gli sono più care. Sono lieta di essere qui con Giose e tutti voi, studiosi, co-paesani, e cari amici. Prometto di lavorare molto per continuare a onorare Giose come merita, e mi dispiace solo non averlo conosciuto prima.
Sabrina Berent Infante

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