giovedì 26 marzo 2009

Sabino D'Acunto e il suo mondo letterario

Sabino D’Acunto ha ricevuto molti apprezzamenti dai nostri lettori. Pubblichiamo ora una critica di Mariolina Perpetua sulla vasta produzione letteraria dello scrittore isernino:


 


 


“La realtà non è talvolta la condizione di ciò che è, ma di ciò che appare, così come accade con le immagini riflesse in uno specchio”.


Dopo aver letto  i lavori di Sabino d’Acunto, niente appare più vero del pensiero, di pirandelliana memoria, scritto dallo stesso autore in premessa a “Una manciata di miglio ed altri racconti”.


Il nostro, infatti, trae spunto, dal reale circostante e, con tratti misurati ed allo stesso tempo efficaci, trasfigura nel mondo oggettivo del verosimile personaggi, luoghi e situazioni più vicini al suo vissuto.


Con sobrietà  e con una certa raffinatezza che lo contraddistingueva anche nelle vita di tutti i giorni, riesce  ad eternare la quotidianità, creando “quadretti” di grande familiarità, che pur nella loro semplice naturalezza, emozionano il lettore : “zia Luisella” di Colle Cioffi (da “Lettere dal Molise”) diventa la zia per  “antonomasia”, la zia di tutti,   e così  “paziente”, “affaccendata” e “prodiga di attenzioni” impersona il sano mondo contadino molisano, diventando “termine di riferimento di valori umani dispersi o dimenticati”, (G. Iovine), che “d’Acunto si porta in fondo all’anima” (Sardelli).


Luoghi ed uomini della sua terra sono ancora  protagonisti di “Elegia  molisana” (da “Ricordo è amore”) , in cui  ritorna l’orgoglio dell’appartenenza alla sua gente forte,  determinata e coraggiosa (..buona è la mia gente)  anche se segnata da un amaro destino di miseria e di rinunce che la porterà all’emigrazione (….Non si piangono  morti qui ma vivi!/  Uomini vanno col fardello  carico/ di stracci e di illusioni, chissà dove./ Partono!/...). Triste è la partenza,   triste e melanconico il ricordo di luoghi un tempo diversamente animati (Come vorrei lungo i tuoi tratturi…).


E la poesia si fa elegia  nel suono dei versi e delle parole, di sapiente misura  classica,  e “nella drammaticità  davvero non comune” (Rosato) delle situazioni.


Attaccamento alla propria terra e alle proprie cose , ai ricordi  “dei tempi migliori” è il tema di “La quercia” (da “Il sorriso di Laura”) che  diventa simbolo  di “valori ed ideali” da difendere.


Una lettura più profonda dell’io e della società, infatti, si trova nel d’Acunto narratore che mira a rappresentare il conflitto tra “passato e presente”, tra “natura e “civiltà”, tra “infanzia/vita e maturità/alienazione”. “Le farfalle non volano più “ “è concepito come epicedio della civiltà contadina attraverso l’azione di protagonista che, in una fitta trama di vicende, vive drammaticamente l’esperienze dei cambiamenti politici e civili della società dal fascismo agli anni 70” (Martelli - Faralli).


Tali sono i motivi anche del teatro di d’Acunto  che cerca  di entrare nella psicologia popolare del dopoguerra, ritraendo spesso in chiave comica “la paranoia della roba diffusa nel ceto rurale” (Martelli - Faralli). Da qui nasce “Mo ‘ze sposa Celesctrino”  (1945) che successivo a “E’ menuto Celesctrino” ripropone il primo lavoro, di autori diversi, aggiornato ai cambiamenti sociali del dopoguerra.


Ma il d’Acunto migliore, a mio avviso, è quello che propone la tematica intimistica, “tematica di struggente e umbratile scavo interiore, in cui tensione sentimentale, ricordo e meditazione religiosa costituiscono gli elementi più ricorrenti e persuasivi” (Martelli - Faralli). E siamo a “I Giorni indefiniti” in cui riflessi foscoliani, leopardiani, carducciani, pascoliani nonché d’Annunziani si fondono per dare un risultato d’eccellenza: “Una favola bella/ nel silenzio remoto tu racchiudi/ solitudine amica/… Tutta una vita ho speso per un sogno/ e per un sogno meditando ancora/  strade percorro e strade/…con la malinconia per compagna:/ un duro patimento l’esser nati/… Forse amandoti t’odio,/ solitudine amara/…” (da “Solitudine”). “Nell’incerto risveglio delle cose/ riecco un altro giorno che percorre/ altro triste domani./ Ieri un ricordo, oggi un’illusione;/ domani un sogno breve/ che l’alba sciuperà” ( “Alba”).


Pare di respirare, spesso nei versi, il profumo dei luoghi e di poter  riappropriarsi dello scandire del tempo o dell’evolversi delle stagioni, emozioni e sentimenti soffusi spesso di un velo di tristezza per le speranze ed i sogni svaniti.  (“Dice la  primavera”, “Il Tempo e questa inutile avventura”, “Chi sei tu che ritorni”).


La tensione intimistico/religiosa è più che mai espressa in “Non mi stare lontano “ E ancora “Dov’è la mia fede”, “Proteggimi, o Signore”, “Resta con me, Signore .


Si può trarre spunto dai pochi versi: “Non mi stare lontano, mio Dio,/…In tutte le cose ti vedo/ nel Tutto e nel nulla tu sei /Della tua voce millenari silenzi son colmi…per capire il vero sentire dell’autore, lo smarrimento umano di fronte all’incommensurabile, la richiesta profonda e sincera di aiuto.


Mi piace concludere con “Concedi la tua pace” che l’intensità del contenuto  eleva a lirica e che il palpito segreto dell’animo trasforma in preghiera: “Signore,/ fa’ che risplenda ancora la Tua luce/ nel mio cuore assetato di bene/ed all’anima mia in catene/concedi la Tua pace. /Che il soggiogato tuo spirito s’apra a un miraggio di quiete/ serena or che spenta è per sempre la sete/ d’ogni speranza terrena./ E sulla zolla,/ o Signore,/ dalla mia spoglia nutrita,/ sbocci a ricordo un fiore:/ dischiusa la corolla/ a un sorriso di stelle/ come l’anima mia sopita/ ed azzurra/ come il mio sogno/ invano sognato”. 


 


 


   Mariolina Perpetua               

1 commento:

  1. Grazie per questa bella esposizione, non potevo trovare di meglio per la mia ricerca!

    Maria Pia

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