venerdì 22 novembre 2024

 

SYMPOSIUM BRIDGEWATER STATE UNIVERSITY 18-19 OTTOBRE 2024

 

  Il 18 e 19 ottobre scorso, presso la Bridgewater State University, negli USA, si è tenuto un Symposium dedicato allo scrittore canadese Nino Ricci. Due giorni di incontri in cui Ricci ha letto in anteprima alcune pagine del suo ultimo romanzo, The Love Song of J. Alfred Prufrock, e studenti, studiosi e scrittori hanno letto, commentato e approfondito le tante altre sue opere. Tra loro Gabriella Iacobucci, invitata come traduttrice italiana di Lives of the Saints, il romanzo opera prima che rese famoso lo Scrittore, e poi dell’intera trilogia. Qui di seguito pubblichiamo l’indirizzo di saluto da lei rivolto ai presenti.


 


…I am the Italian translator of the first three novels of Nino Ricci: his debut, "Lives of the Saints " and the two following ones, "In a Glass House " and "Where She Has Gone"…  

TRANSLATING THE WORKS OF NINO RICCI

di Gabriella Iacobucci (versione italiana) 

Sono la traduttrice italiana dei primi tre romanzi di Nino Ricci: quello d’esordio, Lives of The Saints, e i due successivi, In A Glass House e Where She Has Gone. Vengo dal Molise, la terra dalla quale proviene anche Nino Ricci e che è la protagonista di Lives of the Saints. Una piccolissima regione che fotografata dall’alto ha la forma di una farfalla.

L’ultima nata delle venti regioni italiane. Fu istituita, infatti, nel 1964. L’intera regione ha meno di trecentomila abitanti, neanche la metà di Boston, i quali direttamente o indirettamente, attraverso parentele, pettegolezzi o cronache locali, si conoscono quasi tutti. Inoltre, essendo così piccola, è sempre a rischio di essere accorpata a quelle vicine  ̶  si parla spesso di creare delle macroregioni  ̶  e di scomparire.

Quanto alla natura schiva del popolo molisano, al suo proverbiale scetticismo nei confronti del nuovo, non so se siano ancora attuali le parole di Lina Pietravalle, una nostra scrittrice del 900, ma le trovo molto suggestive. La Scrittrice, in un celebre discorso pronunciato nel 1931 a Firenze con altri scrittori provenienti da regioni ricche di storia e di arte, superò il suo imbarazzo iniziale sostenendo che per secoli il Molise -umile, semplice, casto- era stato contadino; che l’atteggiamento di abbandono agli elementi delle cose e del tempo era antichissimo e aveva lasciato tracce profonde nel suo carattere, perciò era riluttante a cambiare. Ma quella che sembrava arretratezza era una scelta di vita, un’antica forma di civiltà. Nasceva da una visione religiosa dell’esistenza, legata alla terra: la terra dà il pane, la terra castiga, la terra accoglie nel suo seno misericordioso alla fine di tutto.

Non è una regione importante nemmeno oggi, e fino a qualche anno fa pochi la conoscevano. Poi qualcuno scrisse un libretto dal titolo provocatorio, IL MOLISE NON ESISTE, e da allora questo non solo è diventato un tormentone, ma anche lo slogan pubblicitario della regione.  Bene, io ci sono nata, nel Molise, e la mia casa di Vinchiaturo, dista un’oretta d’auto da Villa Canale, il paese dove viveva la famiglia Ricci. La Valle del Sole di Vite dei Santi.  Ai tempi in cui ero una ragazzina, però, tra noi e quelli che erano emigrati oltre oceano si era creato un distacco incolmabile.  Erano ormai in un altro mondo, dal quale giungevano solo l’eco di qualche fatto, o i segni di una vita diversa, attraverso le lettere che qualche parente inviava nelle ricorrenze. I dollari di regalo nella busta, i ritratti con le facce lustre, i sorrisi smaglianti e i vestiti all’americana, le case bianche con il prato ben curato. Raramente, di qualcuno non si sapeva più nulla.


SYMPOSIUM A BRIDGEWATER

La mia presenza qui, nell’America “how many dreams” descritta in Lives of the Saints, è per me il coronamento simbolico di un viaggio personale, quello iniziato a Toronto nel 1992, quando conobbi Nino Ricci. Ora non amo più fare i viaggi lunghi che facevo una volta, ma non volevo mancare. Sono venuta a questo simposio per rendergli omaggio e testimoniargli la mia amicizia. Perciò ringrazio questa prestigiosa università per avermi invitato.

Anche l’Università di Napoli, dove ho frequentato da ragazza la Facoltà di Lettere e Filosofia, è antica e prestigiosa. In questi mesi festeggia gli 800 anni dalla sua nascita.  La fondò l’imperatore Federico II di Svevia nel 1224 con l’intento di formare la classe dirigente del suo Regno, ed è la prima università europea nata con un decreto laico.

Infine un grazie particolare ad Andrew Holman per la gentilezza e la disponibilità.

IL VIAGGIO IN CANADA

 Nel novembre del 1992 mi recai in Canada per una Settimana della Cultura Molisana. L’obiettivo era quello di creare un ponte tra la nostra piccola regione e il grande Molise che, a seguito dell’emigrazione, viveva in Canada e sparso per il mondo. Il programma prevedeva una serie di incontri e dibattiti con rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni, delle università, della stampa, della letteratura, e fu l’inizio di una vera scoperta. Non solo di un mondo, quello dei nostri emigrati, che per me era rimasto fermo nel tempo e che invece era totalmente cambiato, ma soprattutto di un’infinità di storie in forma di romanzi, racconti, poesie, saggi, autobiografie, che i figli dei vecchi emigrati avevano scritto, e di cui non sapevo. Storie che raccontavano quello che era successo dopo la traversata dell’oceano. Storie di lavoro e di benessere, ma anche di spaesamento, di solitudine, di nostalgia.

  Ad alcuni di questi incontri partecipò un giovane scrittore canadese appena reduce dal grande successo ottenuto con il suo primo romanzo, Lives of the Saints.  Si chiamava Nino Ricci ed era figlio di contadini molisani emigrati. Questa scoperta ci rese molto orgogliosi.

 Più tardi, aprendo le prime pagine del suo libro, provai una curiosa sensazione di sorpresa. Non solo si trattava di una storia ambientata in un paesino del Molise, ma quelle parole americane si schiudevano nella mia mente liberando immagini di un mondo di paese che mi era familiare, con le sue feste, i suoi riti, i santi, i luoghi…  Inoltre l’italiano e il dialetto percorrevano tutto il romanzo inglese.  Nomi di posti, soprannomi, espressioni quotidiane, proverbi, canti religiosi, note canzoni popolari, erano in italiano e in dialetto. In questo universo di paese l’unica cosa estranea sembrava l’inglese. Ma allo stesso tempo, questo ibrido di lingua classica e lingua popolare, questa mescolanza di Inglese e Molisano, produceva un effetto nuovo e sorprendente, strano e affascinante. 

Poi seppi che il libro, uscito nel 90, era stato già tradotto e pubblicato in vari paesi europei. Perfino in Cina. Ma non in Italia, il paese d’origine dell’Autore e della storia.

 Occorreva colmare un vuoto importante. Il resto venne dopo.

E così iniziò l’avventura della traduzione. Non ero tanto fornita di strumenti o di esperienza, quanto animata dal desiderio di esplorare quel libro fino in fondo. Il viaggio fu più lungo del previsto, ricco di emozioni e di scoperte.



SCOPERTE
 Vite dei Santi fu pubblicato dall’editore calabrese Monteleone due anni dopo, nel 1994.  Era una bella traduzione, e una bella edizione, ne fui molto contenta. Seguì Where She Has Gone, nel 2000, pubblicato dall’Editore Fazi di Roma, e Infine tradussi anche In a Glass House, sempre per Fazi. L’intera trilogia, finalmente ricomposta, uscì nel 2004 in un volume unico intitolato La Terra del ritorno. Fu allora che mi resi conto di una cosa importante.

In Italia le storie degli emigranti non occupavano un posto nelle nostre antologie. Pochi scrittori italiani si occupavano di storie così lontane da loro.  La trilogia di Ricci finalmente apriva la strada alla conoscenza di un mondo che ci apparteneva ma che avevamo perso di vista Ci raccontava ‘l’altra metà della nostra storia’. La partenza per il Canada, il difficile inserimento nel nuovo paese, la nostalgia per il mondo lasciato alle spalle… Partenza, esilio, ritorno. Inoltre l’intensità drammatica e la partecipazione umana con le quali Ricci narrava le vicende della generazione dei suoi genitori, la qualità alta della sua scrittura, rendevano quella storia emblematica.  Mi ero nutrita alla lettura dei poemi omerici sin dalle scuole medie, e mi ricordò quelle storie antiche. Pensai alla trilogia di Ricci come a ‘un moderno romanzo epico dell’emigrazione’. Questo scrittore italo canadese, rappresentante di una cultura nata dall’incontro di quelle due civiltà, colmava quella lacuna nella nostra letteratura.

LA LINGUA DEL RITORNO
 - Nel frattempo avevo scoperto quanto fosse appassionante e difficile il lavoro di tradurre, e quanto fosse avvilente constatare come era ignorato o sottovalutato sia dai lettori che dagli stessi editori.                                   

Ero diventata consapevole dell’importante ruolo di mediatori culturali dei traduttori. Solo la traduzione, infatti, permetteva alle opere letterarie di continuare a viaggiare nel mondo.

 Per tanti scrittori italocanadesi con i quali nel frattempo ero entrata in contatto, inoltre, la traduzione italiana diventava il mezzo per recuperare una lingua che avevano perduta partendo, e per farsi riconoscere nel paese di origine. La chiamai, poeticamente, ‘La lingua del ritorno’.  



 TRADURRE IN ITALIANO. MECCANISMI SEGRETI

La cosa che mi piaceva di più, quando ero insegnante di italiano, era la sintassi del periodo. Per spiegare il periodo ai ragazzi usavo l’immagine di un grande albero frondoso, con il tronco, i rami grandi, e i piccoli che si partivano da questi. E mi piace, scrivendo, usare frasi complesse in cui la proposizione principale e quelle secondarie si compongono in modo vario e non lineare per mettere in evidenza un concetto oppure un altro. Come in uno spartito musicale. E tra le cose che mi sorpresero, in Ricci, ci furono anche questi suoi periodi lunghi e articolati che somigliavano a quelli degli scrittori italiani del 900. Mi sembravano talmente perfetti, che li avrei resi nel modo più fedele possibile.

Per l’edizione economica della Trilogia, nel 2004, l’editore mi chiese se potevo rinnovare e sveltire un po’ la prosa dei tre romanzi. Non me la sentivo di rimetterci le mani, temevo di snaturare lo stile dell’Autore semplificando un pensiero che segue i moti dell’animo, si addentra in un mondo di sensazioni e sentimenti che lui cerca di chiarire a se stesso descrivendoli. Me la cavai modificando qualcosa, dove era possibile, e feci una versione leggermente diversa del bellissimo incipit di Lives of the Saints

If this story has a beginning, a moment at which a single gesture broke the surface of events like a stone thrown into the sea, the ripples cresting away endlessly, then that beginning occurred on a hot July day in the year 1960, in the village of Valle del Sole, when my mother was bitten by a snake.

Ecco la mia prima versione:

(Monteleone Editore, 1994)

Se questa storia ha avuto un inizio, il momento, cioè, in cui un gesto ruppe la superficie degli eventi come una pietra gettata nel mare, le piccole onde increspate rincorrendosi senza fine, allora quell’inizio fu in una calda giornata di luglio del 1960, nel paese di Valle del Sole, quando mia madre fu morsa da una serpe”.

E la seconda, dieci anni dopo:

( Fazi Editore, 2004)

Se ogni storia ha un inizio, un momento, cioè, in cui un gesto rompe la superficie degli eventi come una pietra gettata nel mare, e le piccole onde increspate si rincorrono senza fine, questa ebbe inizio in una calda giornata di luglio del 1960, nel paese di Valle del Sole, quando mia madre fu morsa da una serpe”.

 Nella prima, Ricci inchioda subito l’attenzione del lettore sulla storia che sta per iniziare, “If this story has a beginning”, e la mia traduzione ricalca fedelmente l’originale fino alla fine. Compreso il gerundio di ‘cresting away”, in italiano “rincorrendosi”, dove il modo indefinito del verbo viene rinforzato dal ”senza fine”, endlessly.

Nella seconda versione, la prima parte della frase funge da premessa, e crea un’attesa: “Se ogni storia ha un inizio…”. Il gerundio Cresting away diventa un indicativo:” e le piccole onde… si rincorrono senza fine E solo in ultimo compare la parola “questa”, (this story), e l’attenzione viene ricondotta sulla storia che si sta per raccontare. Si tratta, in fondo, di un banale espediente retorico…

Oggi trovo che siano entrambe interessanti, ma ricordo che allora cambiai la prima versione controvoglia.

Mi piaceva il gerundio!

Quest’altro invece è un piccolo esempio di come certe soluzioni, a volte cercate per giorni, vengono alla mente del traduttore all’improvviso, non si sa per quale meccanismo segreto.

Il romanzo Where She Has Gone inizia con una premessa in cui l’Autore immagina che la misteriosa figura femminile del titolo, She, dica “Tell me a story”. Raccontami una storia. (Ritorna anche qui il motivo della storia, come nel primo romanzo: “Se questa storia ha un inizio”…) E l’Autore immagina due storie: quella di una madre e un figlio che vivevano soli in un paesino del sud e di un vecchio castagno abbandonato, e quella della fattoria del padre in Canada. Anche lì c’è un vecchio castagno che non dà frutti da anni ma che una primavera, alla fine della sua esistenza, miracolosamente rifiorisce, come per lasciare un piccolo messaggio di speranza.  Una metafora della loro storia? Infatti lei chiede: Did it happen that way? “Le cose andarono veramente così?”. E lui risponde:

[…] And the yes and the no, the precision things took on in the plain world, would not have mattered so much, only the story, that bit of hope.

In Italiano:

[…] E come fu e come non fu che andarono esattamente le cose nella realtà, questo non ha tanta importanza, soltanto la storia, quella sì, quel piccolo segno di speranza.

And the yes and the no. Come tradurlo?  L’espressione “ E come fu e come non fu” mi venne in mente senza rifletterci. Da dove? Mi chiesi. Forse da un vecchio bagaglio dimenticato di letture colte, come  Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, dove il protagonista, immaginando di raccontare di sé a uno sconosciuto, sintetizza gli avvenimenti di una vita così: “E come fu e come non fu…”. Una citazione d’autore, dunque.  Ma anche l’eco lontana di racconti popolari, quelli narrati  accanto al camino, dove la formula  E come fu e come non fu concludeva spesso la narrazione.

I TITOLI ITALIANI


Copertina e titolo di un libro esposto nello scaffale di una libreria sono un biglietto da visita importante. Nell’edizione italiana, i primi due titoli ricalcano quelli originali, Vite dei Santi e La casa di vetro. Così nella maggior parte delle edizioni europee. Ricordo che il titolo Vite dei Santi creò all’inizio qualche equivoco. Alcuni in libreria pensarono che si trattasse di una raccolta agiografica. E la prima bella recensione del romanzo e dell’edizione italiana uscì sull’Osservatore Romano, l’organo di stampa del Vaticano… I due titoli sono metafore, si riferiscono a fatti concreti della storia, ma nello stesso tempo ne indicano il valore simbolico. Il primo, il mondo dell’innocenza che Vittorio sta per lasciare, il secondo l’ingresso nell’età adulta in un nuovo mondo. Perciò con entrambi gli editori non ritenemmo opportuno modificarli.

Storia diversa per il terzo, Where She Has Gone. Qui il titolo canadese evocava un’imprecisata figura femminile e un luogo indefinito in cui la stessa è svanita, forse per sempre. Anche qui l’idea di intitolarlo Il Fratello italiano mi venne in mente così, senza riflettere. Fu in un secondo momento che scoprii la serie di connotazioni profonde e complesse di questa scelta istintiva. Mi resi conto, infatti, che mentre il titolo dell’originale canadese poneva l’accento su Rita, in quello italiano l’accento si spostava sul fratello Vittorio. I due titoli quindi non erano l’uno la traduzione dell’altro, ma piuttosto erano complementari. Come la sorella Rita, canadese, e il fratello Vittorio, nato in Italia, così anche i due romanzi, l’originale e la sua traduzione, diventavano le due parti di un’identità unica. O forse erano semplicemente le due anime del libro, quella canadese e quella italiana.

CONCLUSIONE
Assisto stupita al miracolo dei nostri tempi, quello dell’intelligenza artificiale, con il quale probabilmente si tradurrebbero oggi questi romanzi, e ripenso con tenerezza al mio lavoro artigianale di trent’anni fa.  La prima stesura la scrissi a penna su un blocco di quaderni. In seguito comprai una macchina da scrivere Olivetti usata, e quando più avanti ebbi un computer, ricordo che lo stesso Nino mi scrisse “Benvenuta nel ventesimo secolo!”

Il privilegio di essere la voce italiana dei primi romanzi di Ricci, insomma, me lo sono guadagnata sul campo…

Quando traducevo quei romanzi, ero troppo concentrata sulle parole. Ora, finalmente, posso concedermi il lusso di leggerli. In italiano. E, come sempre succede con i classici, quelle pagine hanno il potere di sorprendermi ogni volta. Allora hai fatto un bel lavoro! mi dico.

I libri sono come un territorio sconosciuto: ci puoi entrare e goderne il paesaggio, puoi soffermarti ad ammirare, esaminarne le caratteristiche naturali, fermarti in un luogo a riflettere. Tutto questo e altro ancora sono oggi per me i romanzi di Ricci.





2 commenti:

  1. E' stata una bella sorpresa trovarmi davanti il tuo intervento a Bridgewater, che ho letto subito. Le note e la vista dall'alto de 'la regione che non esiste', che ha la forma di una farfalla. Poi la storia della scoperta di Nino Ricci, dei suoi romanzi, il confronto tra le due traduzioni e infine la risposta dell' Autore And the yes and the no, che non sfigura davanti alla citazione pirandelliana che tu però hai avuto l'abilità di scovare e adattare all'esigenza del testo.
    Last but not least: far sapere agli ascoltatori del Nuovo Mondo che avevano davanti una che si era laureata all'Università di Napoli, fondata nel 1224 dallo Stupor Mundi. Brava! e grazie per avermi portato con te a Boston.

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  2. Bravissima presentazione. Solo la letteratura può rendere le storie e drammi di quella generazione emigrata nelle Americhe e fare conoscere il loro percorso. E per fare conoscere questi percorsi in diverse altre culture e paesi, ci vuole un traduttore che sa come rendere quelle storie in un altra lingua. Direi che i traduttori fanno lavoro di letteratura con gli autori. E grazie Gabriella per questo tuo impegno direi una tua passione per rendere vivi in italiano i romanzi di Ricci.

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