SYMPOSIUM BRIDGEWATER STATE UNIVERSITY 18-19 OTTOBRE 2024
Il 18 e 19 ottobre scorso, presso la Bridgewater State University, negli USA, si è tenuto un Symposium dedicato allo scrittore canadese Nino Ricci. Due giorni di incontri in cui Ricci ha letto in anteprima alcune pagine del suo ultimo romanzo, The Love Song of J. Alfred Prufrock, e studenti, studiosi e scrittori hanno letto, commentato e approfondito le tante altre sue opere. Tra loro Gabriella Iacobucci, invitata come traduttrice italiana di Lives of the Saints, il romanzo opera prima che rese famoso lo Scrittore, e poi dell’intera trilogia. Qui di seguito pubblichiamo l’indirizzo di saluto da lei rivolto ai presenti.
TRANSLATING
THE WORKS OF NINO RICCI
di Gabriella Iacobucci (versione italiana)
Sono la traduttrice italiana dei primi tre romanzi di Nino Ricci: quello d’esordio, Lives of The Saints, e i due successivi, In A Glass House e Where She Has Gone. Vengo dal Molise, la terra dalla quale proviene anche Nino Ricci e che è la protagonista di Lives of the Saints. Una piccolissima regione che fotografata dall’alto ha la forma di una farfalla.
L’ultima nata delle venti regioni italiane. Fu istituita, infatti, nel 1964. L’intera regione ha meno di trecentomila abitanti, neanche la metà di Boston, i quali direttamente o indirettamente, attraverso parentele, pettegolezzi o cronache locali, si conoscono quasi tutti. Inoltre, essendo così piccola, è sempre a rischio di essere accorpata a quelle vicine ̶ si parla spesso di creare delle macroregioni ̶ e di scomparire.Quanto alla natura schiva
del popolo molisano, al suo proverbiale scetticismo nei confronti del nuovo,
non so se siano ancora attuali le parole di Lina Pietravalle, una nostra
scrittrice del 900, ma le trovo molto suggestive. La Scrittrice, in un celebre
discorso pronunciato nel 1931 a Firenze con altri scrittori provenienti da
regioni ricche di storia e di arte, superò il suo imbarazzo iniziale sostenendo
che per secoli il Molise -umile, semplice, casto- era stato contadino; che
l’atteggiamento di abbandono agli elementi delle cose e del tempo
era antichissimo e aveva lasciato tracce profonde nel suo carattere, perciò era
riluttante a cambiare. Ma quella che sembrava arretratezza era una scelta
di vita, un’antica forma di civiltà. Nasceva da una visione religiosa
dell’esistenza, legata alla terra: la terra dà il pane, la terra castiga, la
terra accoglie nel suo seno misericordioso alla fine di tutto.
Non è una regione
importante nemmeno oggi, e fino a qualche anno fa pochi la conoscevano. Poi
qualcuno scrisse un libretto dal titolo provocatorio, IL MOLISE NON ESISTE, e
da allora questo non solo è diventato un tormentone, ma anche lo slogan
pubblicitario della regione. Bene, io ci
sono nata, nel Molise, e la mia casa di Vinchiaturo, dista un’oretta d’auto da
Villa Canale, il paese dove viveva la famiglia Ricci. La Valle del Sole di Vite
dei Santi. Ai tempi in cui ero una
ragazzina, però, tra noi e quelli che erano emigrati oltre oceano si era creato
un distacco incolmabile. Erano ormai in
un altro mondo, dal quale giungevano solo l’eco di qualche fatto, o i segni di
una vita diversa, attraverso le lettere che qualche parente inviava nelle
ricorrenze. I dollari di regalo nella busta, i ritratti con le facce lustre, i
sorrisi smaglianti e i vestiti all’americana, le case bianche con il prato ben
curato. Raramente, di qualcuno non si sapeva più nulla.
La mia presenza qui,
nell’America “how many dreams” descritta in Lives of the Saints, è per me il
coronamento simbolico di un viaggio personale, quello iniziato a Toronto nel
1992, quando conobbi Nino Ricci. Ora non amo più fare i viaggi lunghi che facevo
una volta, ma non volevo mancare. Sono venuta a questo simposio per rendergli
omaggio e testimoniargli la mia amicizia. Perciò ringrazio questa prestigiosa
università per avermi invitato.
Anche l’Università di
Napoli, dove ho frequentato da ragazza la Facoltà di Lettere e Filosofia, è
antica e prestigiosa. In questi mesi festeggia gli 800 anni dalla sua
nascita. La fondò l’imperatore Federico
II di Svevia nel 1224 con l’intento di formare la classe dirigente del suo
Regno, ed è la prima università europea nata con un decreto laico.
Infine un grazie particolare ad Andrew Holman per la gentilezza e la disponibilità.
IL
VIAGGIO IN CANADA
Nel novembre del 1992 mi recai in Canada per una
Settimana della Cultura Molisana. L’obiettivo era quello di creare un ponte tra
la nostra piccola regione e il grande Molise che, a seguito dell’emigrazione,
viveva in Canada e sparso per il mondo. Il programma prevedeva una serie di
incontri e dibattiti con rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni,
delle università, della stampa, della letteratura, e fu l’inizio di una vera
scoperta. Non solo di un mondo, quello dei nostri emigrati, che per me era
rimasto fermo nel tempo e che invece era totalmente cambiato, ma soprattutto di
un’infinità di storie in forma di romanzi, racconti, poesie, saggi,
autobiografie, che i figli dei vecchi emigrati avevano scritto, e di cui non
sapevo. Storie che raccontavano quello che era successo dopo la traversata
dell’oceano. Storie di lavoro e di benessere, ma anche di spaesamento, di
solitudine, di nostalgia.
Ad alcuni di questi incontri partecipò un
giovane scrittore canadese appena reduce dal grande successo ottenuto con il
suo primo romanzo, Lives of the Saints.
Si chiamava Nino Ricci ed era figlio di contadini molisani emigrati.
Questa scoperta ci rese molto orgogliosi.
Più tardi, aprendo le prime pagine del suo
libro, provai una curiosa sensazione di sorpresa. Non solo si trattava di una
storia ambientata in un paesino del Molise, ma quelle parole americane si
schiudevano nella mia mente liberando immagini di un mondo di paese che mi era
familiare, con le sue feste, i suoi riti, i santi, i luoghi… Inoltre l’italiano e il dialetto percorrevano
tutto il romanzo inglese. Nomi di posti,
soprannomi, espressioni quotidiane, proverbi, canti religiosi, note canzoni
popolari, erano in italiano e in dialetto. In questo universo di paese l’unica
cosa estranea sembrava l’inglese. Ma allo stesso tempo, questo ibrido di lingua
classica e lingua popolare, questa mescolanza di Inglese e Molisano, produceva
un effetto nuovo e sorprendente, strano e affascinante.
Poi seppi che il libro,
uscito nel 90, era stato già tradotto e pubblicato in vari paesi europei.
Perfino in Cina. Ma non in Italia, il paese d’origine dell’Autore e della
storia.
Occorreva colmare un vuoto importante. Il
resto venne dopo.
E così iniziò l’avventura della traduzione. Non ero tanto fornita di strumenti o di esperienza, quanto animata dal desiderio di esplorare quel libro fino in fondo. Il viaggio fu più lungo del previsto, ricco di emozioni e di scoperte.
SCOPERTE
Vite dei Santi fu pubblicato dall’editore
calabrese Monteleone due anni dopo, nel 1994.
Era una bella traduzione, e una bella edizione, ne fui molto contenta.
Seguì Where She Has Gone, nel 2000, pubblicato dall’Editore Fazi di Roma, e
Infine tradussi anche In a Glass House, sempre per Fazi. L’intera trilogia,
finalmente ricomposta, uscì nel 2004 in un volume unico intitolato La Terra del
ritorno. Fu allora che mi resi conto di una cosa importante.
In Italia le storie degli emigranti non occupavano un posto nelle nostre antologie. Pochi scrittori italiani si occupavano di storie così lontane da loro. La trilogia di Ricci finalmente apriva la strada alla conoscenza di un mondo che ci apparteneva ma che avevamo perso di vista Ci raccontava ‘l’altra metà della nostra storia’. La partenza per il Canada, il difficile inserimento nel nuovo paese, la nostalgia per il mondo lasciato alle spalle… Partenza, esilio, ritorno. Inoltre l’intensità drammatica e la partecipazione umana con le quali Ricci narrava le vicende della generazione dei suoi genitori, la qualità alta della sua scrittura, rendevano quella storia emblematica. Mi ero nutrita alla lettura dei poemi omerici sin dalle scuole medie, e mi ricordò quelle storie antiche. Pensai alla trilogia di Ricci come a ‘un moderno romanzo epico dell’emigrazione’. Questo scrittore italo canadese, rappresentante di una cultura nata dall’incontro di quelle due civiltà, colmava quella lacuna nella nostra letteratura.
LA LINGUA DEL RITORNO
- Nel frattempo avevo scoperto quanto fosse
appassionante e difficile il lavoro di tradurre, e quanto fosse avvilente
constatare come era ignorato o sottovalutato sia dai lettori che dagli stessi
editori.
Ero diventata consapevole dell’importante ruolo di
mediatori culturali dei traduttori. Solo la traduzione, infatti, permetteva
alle opere letterarie di continuare a viaggiare nel mondo.
Per tanti
scrittori italocanadesi con i quali nel frattempo ero entrata in contatto,
inoltre, la traduzione italiana diventava il mezzo per recuperare una lingua
che avevano perduta partendo, e per farsi riconoscere nel paese di origine. La
chiamai, poeticamente, ‘La lingua del ritorno’.
TRADURRE IN ITALIANO. MECCANISMI SEGRETI
La cosa che mi piaceva di
più, quando ero insegnante di italiano, era la sintassi del periodo. Per
spiegare il periodo ai ragazzi usavo l’immagine di un grande albero frondoso,
con il tronco, i rami grandi, e i piccoli che si partivano da questi. E mi piace,
scrivendo, usare frasi complesse in cui la proposizione principale e quelle
secondarie si compongono in modo vario e non lineare per mettere in evidenza un
concetto oppure un altro. Come in uno spartito musicale. E tra le cose che mi
sorpresero, in Ricci, ci furono anche questi suoi periodi lunghi e articolati
che somigliavano a quelli degli scrittori italiani del 900. Mi sembravano
talmente perfetti, che li avrei resi nel modo più fedele possibile.
Per l’edizione economica
della Trilogia, nel 2004, l’editore mi chiese se potevo rinnovare e sveltire un
po’ la prosa dei tre romanzi. Non me la sentivo di rimetterci le mani, temevo
di snaturare lo stile dell’Autore semplificando un pensiero che segue i moti
dell’animo, si addentra in un mondo di sensazioni e sentimenti che lui cerca di
chiarire a se stesso descrivendoli. Me la cavai modificando qualcosa, dove era
possibile, e feci una versione leggermente diversa del bellissimo incipit di Lives
of the Saints…
If
this story has a beginning, a moment at which a single gesture broke the
surface of events like a stone thrown into the sea, the ripples cresting away
endlessly, then that beginning occurred on a hot July day in the year 1960, in
the village of Valle del Sole, when my mother was bitten by a snake.
Ecco la mia prima
versione:
(Monteleone Editore,
1994)
“Se questa storia ha
avuto un inizio, il momento, cioè, in cui un gesto ruppe la superficie degli
eventi come una pietra gettata nel mare, le piccole onde increspate
rincorrendosi senza fine, allora quell’inizio fu in una calda giornata di
luglio del 1960, nel paese di Valle del Sole, quando mia madre fu morsa da una
serpe”.
E la seconda, dieci anni
dopo:
( Fazi Editore, 2004)
“Se ogni storia ha un
inizio, un momento, cioè, in cui un gesto rompe la superficie degli eventi come
una pietra gettata nel mare, e le piccole onde increspate si rincorrono senza
fine, questa ebbe inizio in una calda giornata di luglio del 1960, nel paese di
Valle del Sole, quando mia madre fu morsa da una serpe”.
Nella prima, Ricci inchioda subito
l’attenzione del lettore sulla storia che sta per iniziare, “If this
story has a beginning”, e la mia traduzione ricalca fedelmente l’originale
fino alla fine. Compreso il gerundio di ‘cresting away”, in italiano
“rincorrendosi”, dove il modo indefinito del verbo viene rinforzato dal
”senza fine”, endlessly.
Nella seconda versione,
la prima parte della frase funge da premessa, e crea un’attesa: “Se
ogni storia ha un inizio…”. Il gerundio Cresting away diventa un
indicativo:” e le piccole onde… si rincorrono senza fine” E solo
in ultimo compare la parola “questa”, (this story), e l’attenzione viene
ricondotta sulla storia che si sta per raccontare. Si tratta, in fondo, di
un banale espediente retorico…
Oggi trovo che siano
entrambe interessanti, ma ricordo che allora cambiai la prima versione
controvoglia.
Mi piaceva il gerundio!
Quest’altro invece è un piccolo
esempio di come certe soluzioni, a volte cercate per giorni, vengono alla mente
del traduttore all’improvviso, non si sa per quale meccanismo segreto.
Il romanzo Where She Has
Gone inizia con una premessa in cui l’Autore immagina che la misteriosa figura
femminile del titolo, She, dica “Tell me a story”. Raccontami una
storia. (Ritorna anche qui il motivo della storia, come nel primo romanzo: “Se
questa storia ha un inizio”…) E l’Autore immagina due storie: quella di una
madre e un figlio che vivevano soli in un paesino del sud e di un vecchio
castagno abbandonato, e quella della fattoria del padre in Canada. Anche lì c’è
un vecchio castagno che non dà frutti da anni ma che una primavera, alla fine
della sua esistenza, miracolosamente rifiorisce, come per lasciare un piccolo
messaggio di speranza. Una metafora
della loro storia? Infatti lei chiede: Did it happen that way? “Le
cose andarono veramente così?”. E lui risponde:
[…]
And the yes and the no, the precision things took on in the plain world,
would not have mattered so much, only the story, that bit of hope.
In Italiano:
And the yes and the no. Come tradurlo? L’espressione “ E come fu e come non fu” mi venne in mente senza rifletterci. Da dove? Mi chiesi. Forse da un vecchio bagaglio dimenticato di letture colte, come Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, dove il protagonista, immaginando di raccontare di sé a uno sconosciuto, sintetizza gli avvenimenti di una vita così: “E come fu e come non fu…”. Una citazione d’autore, dunque. Ma anche l’eco lontana di racconti popolari, quelli narrati accanto al camino, dove la formula E come fu e come non fu concludeva spesso la narrazione.
I TITOLI ITALIANI
Copertina e titolo di un libro esposto nello scaffale di una libreria sono un biglietto da visita importante. Nell’edizione italiana, i primi due titoli ricalcano quelli originali, Vite dei Santi e La casa di vetro. Così nella maggior parte delle edizioni europee. Ricordo che il titolo Vite dei Santi creò all’inizio qualche equivoco. Alcuni in libreria pensarono che si trattasse di una raccolta agiografica. E la prima bella recensione del romanzo e dell’edizione italiana uscì sull’Osservatore Romano, l’organo di stampa del Vaticano… I due titoli sono metafore, si riferiscono a fatti concreti della storia, ma nello stesso tempo ne indicano il valore simbolico. Il primo, il mondo dell’innocenza che Vittorio sta per lasciare, il secondo l’ingresso nell’età adulta in un nuovo mondo. Perciò con entrambi gli editori non ritenemmo opportuno modificarli.
Storia diversa per il
terzo, Where She Has Gone. Qui il titolo canadese evocava un’imprecisata figura
femminile e un luogo indefinito in cui la stessa è svanita, forse per sempre.
Anche qui l’idea di intitolarlo Il Fratello italiano mi venne in mente così,
senza riflettere. Fu in un secondo momento che scoprii la serie di connotazioni
profonde e complesse di questa scelta istintiva. Mi resi conto, infatti, che
mentre il titolo dell’originale canadese poneva l’accento su Rita, in quello
italiano l’accento si spostava sul fratello Vittorio. I due titoli quindi non
erano l’uno la traduzione dell’altro, ma piuttosto erano complementari. Come la
sorella Rita, canadese, e il fratello Vittorio, nato in Italia, così anche i
due romanzi, l’originale e la sua traduzione, diventavano le due parti di
un’identità unica. O forse erano semplicemente le due anime del
libro, quella canadese e quella italiana.
CONCLUSIONE
Assisto stupita al miracolo dei nostri tempi, quello dell’intelligenza
artificiale, con il quale probabilmente si tradurrebbero oggi questi romanzi, e
ripenso con tenerezza al mio lavoro artigianale di trent’anni fa. La prima stesura la scrissi a penna su un
blocco di quaderni. In seguito comprai una macchina da scrivere Olivetti usata,
e quando più avanti ebbi un computer, ricordo che lo stesso Nino mi scrisse
“Benvenuta nel ventesimo secolo!”
Il privilegio di essere la voce italiana dei primi
romanzi di Ricci, insomma, me lo sono guadagnata sul campo…
Quando traducevo quei romanzi, ero troppo concentrata
sulle parole. Ora, finalmente, posso concedermi il lusso di leggerli. In
italiano. E, come sempre succede con i classici, quelle pagine hanno il potere
di sorprendermi ogni volta. Allora hai fatto un bel lavoro! mi dico.
I libri sono come un territorio sconosciuto: ci puoi
entrare e goderne il paesaggio, puoi soffermarti ad ammirare, esaminarne le
caratteristiche naturali, fermarti in un luogo a riflettere. Tutto questo e
altro ancora sono oggi per me i romanzi di Ricci.
E' stata una bella sorpresa trovarmi davanti il tuo intervento a Bridgewater, che ho letto subito. Le note e la vista dall'alto de 'la regione che non esiste', che ha la forma di una farfalla. Poi la storia della scoperta di Nino Ricci, dei suoi romanzi, il confronto tra le due traduzioni e infine la risposta dell' Autore And the yes and the no, che non sfigura davanti alla citazione pirandelliana che tu però hai avuto l'abilità di scovare e adattare all'esigenza del testo.
RispondiEliminaLast but not least: far sapere agli ascoltatori del Nuovo Mondo che avevano davanti una che si era laureata all'Università di Napoli, fondata nel 1224 dallo Stupor Mundi. Brava! e grazie per avermi portato con te a Boston.
Bravissima presentazione. Solo la letteratura può rendere le storie e drammi di quella generazione emigrata nelle Americhe e fare conoscere il loro percorso. E per fare conoscere questi percorsi in diverse altre culture e paesi, ci vuole un traduttore che sa come rendere quelle storie in un altra lingua. Direi che i traduttori fanno lavoro di letteratura con gli autori. E grazie Gabriella per questo tuo impegno direi una tua passione per rendere vivi in italiano i romanzi di Ricci.
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