di Gabriella IACOBUCCI
La mia
educazione alimentare si formò quindi con mia madre, che veniva da un collegio
di suore di Cremona dove a colazione, raccontava, le davano latte e polenta, e con
una mia zia che più tardi, quando nacque mio fratello, venne dal paese a stare
da noi per aiutarla, e che sapeva impastare il pane, fare le fettuccine e i cavatelli,
e a Carnevale ci friggeva le chiacchiere. Mia madre era maestra, e i primi anni
insegnava in una scuola di campagna di una contrada di Vinchiaturo dove andava
ogni mattina in bicicletta, e quando tornava, con i bambini piccoli, non aveva
molto tempo. Ricordo però che dietro la porta della cucina aveva affisso un
foglio con il menu per la settimana: lunedì spaghetti al burro, venerdì
baccalà, sabato brodo di carne, domenica pasta al sugo, braciola, contorno di
peperoni arrostiti… Io invidiavo le mie cuginette perché le mamme facevano
dolci e manicaretti. In compenso però la mia già allora seguiva i moderni dettami
della scienza alimentare, infatti usava pochi grassi, niente fritti, e si
prendeva cura così della salute della
sua famiglia. L’arrivo di zia Anna, come dicevo, segnò per noi una svolta, ma
fu anche l’inizio di un periodo di piccoli conflitti e rivalità tra sorelle che
partivano proprio dai fornelli… In quella fase della mia vita non esistevano i
ristoranti. Questi apparvero nelle nostre abitudini familiari solo molto più
tardi. C’erano poche trattorie nei dintorni dove si andava in certe occasioni
con i parenti, e dove mio padre finalmente poteva ordinare le lasagne e le salsicce
alla brace…
In
seguito, quando la storia della mia vita si separò da quella della mia famiglia
e mi trasferii a Roma, negli anni Settanta, mi aspettava un mondo nuovo e una
rivoluzione culturale in atto. Anche le
mie abitudini alimentari subirono dei cambiamenti e risentirono di nuovi
influssi. Ci fu la scoperta delle trattorie romane, dei cibi del Ghetto, delle
cantine dei Castelli dove andavamo nelle calde serate estive, dei borghi del
Lazio che esploravamo la domenica. Avevo
amici nuovi e molti erano stranieri. Persone
che di solito avevano molto viaggiato e che si erano stabilite a Roma per
motivi di studio o di lavoro, o per una libera scelta. Ritt, Helga e Pauline avevano sposato un
italiano. I pranzi tra noi, quindi, riservavano sempre delle sorprese. Ci si
scambiava non solo ricette dei propri paesi, ma anche libri di cucina. A una
coppia inglese innamorata dell’Italia, Robin e Coralie, regalai un classico, il
libro dell’Artusi, e loro ricambiarono con un bellissimo libro di una popolare cuoca
inglese che conteneva ricette per ogni giorno dell’anno e per ogni ricorrenza
ed era illustrato con splendide e invitanti foto a colori. Era intitolato Every
Day Cook Book. Perché, mi chiedevo sfogliandolo, ci avevano inculcato l’idea che
la nostra cucina era l’unica al mondo? Trovavo molto interessanti i libri
inglesi, perché raccontavano di un paese che grazie alla sua storia coloniale
aveva elaborato una cultura del cibo varia e interessante. Erano letture affascinanti, che aprivano una
finestra su paesi e costumi a me finora sconosciuti. Ne conservo uno in cui Elizabeth David, un’ esperta inglese appassionata cultrice di cucina mediterranea
e orientale, dedicava un intero capitolo all’arte del picnic. Qui, tratta da Provence di Ford Madox Ford del 1938, riporta la descrizione di un pantagruelico
picnic provenzale:
“[…] La
scena si svolgeva in una di quelle meravigliose calanques lungo la costa
marsigliese, una spiaggetta
accessibile solo alle barche; tutto il banchetto venne cucinato sul posto, in
grossi calderoni, all’ombra dei pini.
Ben sessantun bottiglie di vino vennero consumate da sedici adulti e da uno
sciame di bambini; venticinque chili
di bouillabasse, dodici polli cotti nel vino con tutte le erbe aromatizzanti
possibili e immaginabili, l’insalata di un piatto grande quanto la ruota di un
carro, formaggi cremosi dolci con una salsa a base di grappa (marc) ed erbe
dolci, e un mucchio di mele, pesche, fichi, uva che avrebbe potuto coprire
letteralmente un uomo…
E qui invece
riporta la descrizione di un picnic indiano, cui fu invitato nel 1937 dal Marajà
di Jaipur, del pittore americano Charles Baskerville:
“Ieri abbiamo trascorso tutta la giornata
all’aperto…un camioncino carico di vivande e bottiglie seguiva la nostra
automobile… una delle cose che apprezzo maggiormente in questi picnic è il
pesce fritto freddo. Oltre ai cibi europei c’è sempre qualche piatto
indiano…curry freddo di testa di cinghiale (senza occhi) o foglie di spinaci
ben pepati fritti nella pastella… naturalmente non manca mai una cesta piena di
bottiglie di whisky, di birra, di sidro, di bevande varie e d’acqua.”
Inoltre
ero libera ormai di viaggiare all’estero e sempre, in occasione di questi viaggi,
amavo visitare mercati, mangiare secondo le consuetudini locali, parlarne con
la gente del posto, e scoprire la varietà, le diversità e le affinità che
rendevano così sorprendente e affascinante la cucina del mondo e dissipavano molti
dei miei pregiudizi provinciali.
Di
tutto questo oggi, insieme alle belle foto e i bei ricordi, mi resta la nuova
consapevolezza acquisita allora.
Molti anni dopo, finita la stagione dei viaggi,
avrei ripreso i contatti con il Molise, e proprio qui, in questa piccola
regione dove ero nata e dove credevo non ci fosse nulla da scoprire, avrei invece
fatto un nuovo viaggio di scoperta e percorso l’ultima tappa della mia
educazione alimentare. Anche stavolta veicolo importante di questa conoscenza furono
i libri, e tanti scrittori molisani che divennero miei amici. Fu attraverso di
loro e con loro che entrai in contatto con la mia regione e con il suo cibo. Mi immersi nella calda atmosfera di un’osteria
di paese del 900 leggendo “Il lunario dell’Osteria” di Enzo Nocera, o in una
odorosa cucina di Casacalenda durante il rito della pasta e fagioli col cotechino
leggendo “Omicidio in un paese di cacciatori” di Pietro Corsi… Mi resi conto, inoltre, che la nostra cucina
così semplice non era rimasta chiusa nei ristretti confini della regione, ma
era andata anch’essa per il mondo insieme ai nostri emigranti. Un caso tra tutti,
il più illustre, è proprio quello di Pietro Corsi, e lo racconta lui stesso nel
suo romanzo autobiografico L’Odore del mare. Da commissario di bordo di una
delle più grandi compagnie americane di navi da crociera, la Princess Cruises,
Pietro Corsi operò negli anni Sessanta la sua personale rivoluzione introducendo cucina e stile italiano nella
ristorazione di bordo. Da allora, sulle eleganti tavole dei ristoranti di
quelle fantasmagoriche navi, e insieme ai piatti più sofisticati dell’alta
cucina, fecero la loro comparsa quelli semplici e buoni della nostra tradizione.
Tutto
questo, e altro, ho imparato a riconoscere e apprezzare in questi anni, grazie
alla passione, al lavoro e all’iniziativa di delegati che hanno dato ognuno
un’impronta diversa e importante alla vita della nostra Delegazione.
Ho
constatato con meraviglia che negli ultimi anni l’Accademia ha messo radici in
tutto il mondo. Giungono resoconti di conviviali ed eventi dal Giappone, dalla
Rep. Popolare Cinese, dall’Australia, da Chicago, da Tel Aviv, da Singapore… Penso
che sarà proprio questa crescente e capillare diffusione a darle una nuova
vitalità. Oggi è la salute -del cibo, dell’ambiente e nostra- uno dei problemi
più impellenti, e l’Accademia, con le sue delegazioni sparse sul territorio
italiano e fuori, si trova nella posizione ideale per raccogliere anche questa
istanza e farla sua.
E
comunque vada - l’ho capito raccontando la mia piccola esperienza- il
cambiamento è già nel viaggio…
(Pubblicato nel libro ""Una scommessa per il futuro" di Ernesto Di Pietro)
G.I.
Grazie per l'incantevole articolo. La lingua, i ricordi, le riflessioni, mi hanno rapita.
RispondiEliminaDesidero proprio ringraziarti:sei magica.
Dear Gabriella, what a wonderful personal essay. Beautiful memories that anyone can take enjoy in reading.I feel privileged to have known you, and even more now that you've shared part of your life journey. Leaving you place where you grew up and returning to it after a rich life away-- then re-discovering/discovering and embracing all that the place has to offer. All your experiences with friends from other countries, your love of creating unforgettable friendships and experiences. What a majestic life journey!
RispondiEliminaI smiled when I read about the sesemelli. I have been making them the last few years, from my mother's recipe; the transmutanza, I just finished reading a book with the main character a young man who went on the transmutanza. (maybe the word doesn't mean what I think it means. But it was a marvellous story.
And yes, the recipes of la cucina regionale have travelled all over the world.Certainly in Canada. These recipes have been shared between immigrants from different regions, but also to non-Italians. Restaurants have come up offering those regional foods, much loved by the general public.
We need to hear more stories from you, Gabriella...
Thanks so much for having sent me the link.
Keep well,
Delia
Complimenti Gabriella per la tua interessantissima e gradevolissima presentazione. Quanto è importante il cibo nella nostra vita. Come giustamente dice Feuerbach siamo quello che mangiamo e mangiare bene fa pensare meglio.Leggendo il tuo scritto ho ritrovato e assaporato con l'immaginazione il sapore delle pietanze buone della storia gastronomica della mia vita Dalla cucina semplice e contadina della nonna che essendo vissuta a Marsiglia aveva aggiunto alle ricette tradizionali alcune pietanze tipiche della cucina francese, alle pietanze più o meno elaborate gustate da adulta durante viaggi in Italia o all'estero. Condivido pienamente quanto dici in merito all'accademia della cucina che offre preziose occasioni di connubio tra convivialità e cultura gastronomica, artistica e storica. Sono incontri che uniscono alla scoperta del gusto della ricca tradizione gastronomica molisana, l'esplorazione dei reperti storici e artistici, spesso dimenticati del nostro territorio .
RispondiEliminaCon il tuo stile magico, Gabriella riesci ad esprimere con efficacia l'importanza della conoscenza e della preparazione ,attraverso la lettura di libri di autori molisani, per entrare in contatto più stretto con la terra di Molise ed il suo cibo.
Mi affascina la chiarezza con la quale tu indichi nella cultura il mezzo per vivere e godere pienamente della vita in tutti i suoi aspetti.
Grazie
Ernestina Simeone
Ho letto con grande interesse il tuo esauriente articolo sia sull'Accademia della cucina che sulla descrizioni dei piatti tradizionali e vari altri.Tanta emozione ho sentito quando hai fatto riferimento ai ricordi d'infanzia, mi sono sentita coinvolta, tanto da farmi venir voglia di conoscere meglio il Molise. Mi hai regalato un bel momentoe, mi raccomando, continua a scrivere di cultura, cibo, libri ecc ecc Brava Gabriella, congratulazioni.
RispondiEliminaGrazie, Pauline (l'amica canadese Pauline Langloise) , per il gentilissimo commento. Esso mi lusinga particolarmente visto che tu sei una di quelle amiche dai gusti raffinati, che hanno girato il mondo, e con le quali ho potuto avere scambi sempre proficui stando a Roma.
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