venerdì 12 novembre 2021

La civiltà della tavola



di  Gabriella IACOBUCCI


Il nome così solenne dell'associazione, Accademia Italiana della Cucina, mi ha sempre messo un po’ a disagio. Con quelle persone ad esempio che mi chiedevano se era una scuola di cucina, e alle quali dovevo dire che assolutamente no, si trattava di una importante istituzione culturale, e quindi descriverne pazientemente le origini e le finalità, e spiegare che questo nome esprimeva il grande valore simbolico che i fondatori intendevano attribuire alla cucina della nostra tradizione. Quello che invece mi piace molto è il nome della rivista, Civiltà della Tavola. Parole che riconosco come familiari: “civiltà”, “tavola”… Mi vengono in mente quando vedo una bella tavola apparecchiata con gusto, semplice o ricercata che sia, o al contrario un’altra sulla quale stoviglie e cibo sembrano trovarsi lì per caso, e lo stesso i commensali.  
Mi ricordano la mia infanzia, quando mia madre e le sue amiche, giovani spose, si scambiavano ricette di cucina, quelle tradizionali e quelle più alla moda che venivano da fuori e che le riviste e i libri di casa di allora consigliavano. Conservo ancora, e lo uso,  un ‘Libro di casa’ del 1956 che, oltre al menù del giorno e a consigli sul bucato, sulle diete, sulla salute, sul giardinaggio e tant’altro, dedica intere pagine alle regole di galateo della famiglia e della tavola: come  scrivere una partecipazione di nozze, come preparare un ricevimento per la Prima Comunione, qual’ è la corretta progressione delle pietanze in un pranzo… Regalandole il libro una cara amica di mamma aveva scritto nella dedica “I mariti si prendono per la gola”… 
Ma più gelosamente  conservo un quaderno ormai logoro sulla cui copertina, con calligrafia chiara ed elegante, è scritto: Ricettario, Anno 1946. E dentro, (a riprova della molteplicità delle provenienze), accanto alla ricetta dei biscotti col cremore o a quella dei pepatelli, mia madre aveva inserito quella di una crema turca e di un latte portoghese,  e accanto alla ricetta dell’antipasto all’italiana quella di una particolare insalata russa non solo buona ma bellissima da vedere.  Mamma era dotata di uno spiccato senso artistico, e la presentava che sembrava una torta, ricoperta di gialla maionese e decorata con geometrie e fiori di ortaggi dai colori vivaci. La faceva ogni anno in occasione dell’onomastico di papà, alla Madonna del Carmine, quando preparava una cena in suo onore e invitava i suoi amici di Vinchiaturo, una cena per soli uomini. Pare che una sera uno dei commensali, forse un po’ perplesso, ma volendo essere compito, nell’accomiatarsi esclamò:  ”… e complimenti, signora,  per la bella pizza dolce!” .

La mia educazione alimentare si formò quindi con mia madre, che veniva da un collegio di suore di Cremona dove a colazione, raccontava, le davano latte e polenta, e con una mia zia che più tardi, quando nacque mio fratello, venne dal paese a stare da noi per aiutarla, e che sapeva impastare il pane, fare le fettuccine e i cavatelli, e a Carnevale ci friggeva le chiacchiere. Mia madre era maestra, e i primi anni insegnava in una scuola di campagna di una contrada di Vinchiaturo dove andava ogni mattina in bicicletta, e quando tornava, con i bambini piccoli, non aveva molto tempo. Ricordo però che dietro la porta della cucina aveva affisso un foglio con il menu per la settimana: lunedì spaghetti al burro, venerdì baccalà, sabato brodo di carne, domenica pasta al sugo, braciola, contorno di peperoni arrostiti… Io invidiavo le mie cuginette perché le mamme facevano dolci e manicaretti. In compenso però la mia già allora seguiva i moderni dettami della scienza alimentare, infatti usava pochi grassi, niente fritti, e si prendeva cura così  della salute della sua famiglia. L’arrivo di zia Anna, come dicevo, segnò per noi una svolta, ma fu anche l’inizio di un periodo di piccoli conflitti e rivalità tra sorelle che partivano proprio dai fornelli… In quella fase della mia vita non esistevano i ristoranti. Questi apparvero nelle nostre abitudini familiari solo molto più tardi. C’erano poche trattorie nei dintorni dove si andava in certe occasioni con i parenti, e dove mio padre finalmente poteva ordinare le lasagne e le salsicce alla brace…

In seguito, quando la storia della mia vita si separò da quella della mia famiglia e mi trasferii a Roma, negli anni Settanta, mi aspettava un mondo nuovo e una rivoluzione culturale in atto.  Anche le mie abitudini alimentari subirono dei cambiamenti e risentirono di nuovi influssi. Ci fu la scoperta delle trattorie romane, dei cibi del Ghetto, delle cantine dei Castelli dove andavamo nelle calde serate estive, dei borghi del Lazio che esploravamo la domenica.  Avevo amici nuovi e molti erano stranieri.  Persone che di solito avevano molto viaggiato e che si erano stabilite a Roma per motivi di studio o di lavoro, o per una libera scelta.  Ritt, Helga e Pauline avevano sposato un italiano. I pranzi tra noi, quindi, riservavano sempre delle sorprese. Ci si scambiava non solo ricette dei propri paesi, ma anche libri di cucina. A una coppia inglese innamorata dell’Italia, Robin e Coralie, regalai un classico, il libro dell’Artusi, e loro ricambiarono con un bellissimo libro di una popolare cuoca inglese che conteneva ricette per ogni giorno dell’anno e per ogni ricorrenza ed era illustrato con splendide e invitanti foto a colori. Era intitolato Every Day Cook Book. Perché, mi chiedevo sfogliandolo, ci avevano inculcato l’idea che la nostra cucina era l’unica al mondo? Trovavo molto interessanti i libri inglesi, perché raccontavano di un paese che grazie alla sua storia coloniale aveva elaborato una cultura del cibo varia e interessante.  Erano letture affascinanti, che aprivano una finestra su paesi e costumi a me finora sconosciuti. Ne conservo uno in cui  Elizabeth David, un’ esperta  inglese appassionata cultrice di cucina mediterranea e orientale, dedicava un intero capitolo all’arte del picnic.  Qui, tratta da Provence di Ford Madox Ford del 1938, riporta la descrizione di un pantagruelico picnic provenzale:

 “[…] La scena si svolgeva in una di quelle meravigliose calanques lungo la costa marsigliese, una spiaggetta accessibile solo alle barche; tutto il banchetto venne cucinato sul posto, in grossi calderoni, all’ombra dei pini. Ben sessantun bottiglie di vino vennero consumate da sedici adulti e da uno sciame di bambini; venticinque chili di bouillabasse, dodici polli cotti nel vino con tutte le erbe aromatizzanti possibili e immaginabili, l’insalata di un piatto grande quanto la ruota di un carro, formaggi cremosi dolci con una salsa a base di grappa (marc) ed erbe dolci, e un mucchio di mele, pesche, fichi, uva che avrebbe potuto coprire letteralmente un uomo…

E qui invece riporta la descrizione di un picnic indiano, cui fu invitato nel 1937 dal Marajà di Jaipur, del pittore americano Charles Baskerville:

“Ieri abbiamo trascorso tutta la giornata all’aperto…un camioncino carico di vivande e bottiglie seguiva la nostra automobile… una delle cose che apprezzo maggiormente in questi picnic è il pesce fritto freddo. Oltre ai cibi europei c’è sempre qualche piatto indiano…curry freddo di testa di cinghiale (senza occhi) o foglie di spinaci ben pepati fritti nella pastella… naturalmente non manca mai una cesta piena di bottiglie di whisky, di birra, di sidro, di bevande varie e d’acqua.”

Inoltre ero libera ormai di viaggiare all’estero e sempre, in occasione di questi viaggi, amavo visitare mercati, mangiare secondo le consuetudini locali, parlarne con la gente del posto, e scoprire la varietà, le diversità e le affinità che rendevano così sorprendente e affascinante la cucina del mondo e dissipavano molti dei miei pregiudizi provinciali.

Di tutto questo oggi, insieme alle belle foto e i bei ricordi, mi resta la nuova consapevolezza acquisita allora.

 Molti anni dopo, finita la stagione dei viaggi, avrei ripreso i contatti con il Molise, e proprio qui, in questa piccola regione dove ero nata e dove credevo non ci fosse nulla da scoprire, avrei invece fatto un nuovo viaggio di scoperta e percorso l’ultima tappa della mia educazione alimentare. Anche stavolta veicolo importante di questa conoscenza furono i libri, e tanti scrittori molisani che divennero miei amici. Fu attraverso di loro e con loro che entrai in contatto con la mia regione e con il suo cibo.  Mi immersi nella calda atmosfera di un’osteria di paese del 900 leggendo “Il lunario dell’Osteria” di Enzo Nocera, o in una odorosa cucina di Casacalenda durante il rito della pasta e fagioli col cotechino leggendo “Omicidio in un paese di cacciatori” di Pietro Corsi…  Mi resi conto, inoltre, che la nostra cucina così semplice non era rimasta chiusa nei ristretti confini della regione, ma era andata anch’essa per il mondo insieme ai nostri emigranti. Un caso tra tutti, il più illustre, è proprio quello di Pietro Corsi, e lo racconta lui stesso nel suo romanzo autobiografico L’Odore del mare. Da commissario di bordo di una delle più grandi compagnie americane di navi da crociera, la Princess Cruises, Pietro Corsi operò negli anni Sessanta la sua personale rivoluzione  introducendo cucina e stile italiano nella ristorazione di bordo. Da allora, sulle eleganti tavole dei ristoranti di quelle fantasmagoriche navi, e insieme ai piatti più sofisticati dell’alta cucina, fecero la loro comparsa quelli semplici e buoni della nostra tradizione.  


Sono approdata all’Accademia alcuni anni fa, prima come ospite, e poi, dopo qualche tempo, iscritta. Le finalità dell’Associazione non le sentivo veramente mie.  Il cibo, “spreco di pochi e penuria di molti”, come lo definisce in un suo libro l’amico antropologo Vito Teti, era quello che mi faceva pensare. Mi sentivo più portata per un’associazione che si occupasse della fame, che non per una che presupponeva in fondo l’abbondanza. Quello che mi attirava, però, della vita accademica, era la convivialità, non solo come occasione di piacere, di benessere, di incontro, ma anche per tutto quello che vi girava intorno: la ricerca del ristorante, la scelta del menù secondo il tema dell’anno, l’individuazione dei soggetti da premiare… Questo significava conoscere ristoratori, macellai, pastai, pasticcieri, visitare mulini, caseifici, conservifici. E soprattutto, grazie a piccoli e grandi convegni -anche virtuali in tempo di pandemia- era un viaggio nella regione attraverso la storia del cibo. La transumanza, i conventi, l’arte sacra, le feste religiose, le sagre paesane…

Tutto questo, e altro, ho imparato a riconoscere e apprezzare in questi anni, grazie alla passione, al lavoro e all’iniziativa di delegati che hanno dato ognuno un’impronta diversa e importante alla vita della nostra Delegazione.

Ho constatato con meraviglia che negli ultimi anni l’Accademia ha messo radici in tutto il mondo. Giungono resoconti di conviviali ed eventi dal Giappone, dalla Rep. Popolare Cinese, dall’Australia, da Chicago, da Tel Aviv, da Singapore… Penso che sarà proprio questa crescente e capillare diffusione a darle una nuova vitalità. Oggi è la salute -del cibo, dell’ambiente e nostra- uno dei problemi più impellenti, e l’Accademia, con le sue delegazioni sparse sul territorio italiano e fuori, si trova nella posizione ideale per raccogliere anche questa istanza e farla sua.

E comunque vada - l’ho capito raccontando la mia piccola esperienza- il cambiamento è già nel viaggio…

(Pubblicato nel libro ""Una scommessa per il futuro" di Ernesto Di Pietro)

                                                                                        G.I.

5 commenti:

  1. Grazie per l'incantevole articolo. La lingua, i ricordi, le riflessioni, mi hanno rapita.
    Desidero proprio ringraziarti:sei magica.

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  2. Dear Gabriella, what a wonderful personal essay. Beautiful memories that anyone can take enjoy in reading.I feel privileged to have known you, and even more now that you've shared part of your life journey. Leaving you place where you grew up and returning to it after a rich life away-- then re-discovering/discovering and embracing all that the place has to offer. All your experiences with friends from other countries, your love of creating unforgettable friendships and experiences. What a majestic life journey!
    I smiled when I read about the sesemelli. I have been making them the last few years, from my mother's recipe; the transmutanza, I just finished reading a book with the main character a young man who went on the transmutanza. (maybe the word doesn't mean what I think it means. But it was a marvellous story.
    And yes, the recipes of la cucina regionale have travelled all over the world.Certainly in Canada. These recipes have been shared between immigrants from different regions, but also to non-Italians. Restaurants have come up offering those regional foods, much loved by the general public.
    We need to hear more stories from you, Gabriella...
    Thanks so much for having sent me the link.
    Keep well,
    Delia

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  3. Complimenti Gabriella per la tua interessantissima e gradevolissima presentazione. Quanto è importante il cibo nella nostra vita. Come giustamente dice Feuerbach siamo quello che mangiamo e mangiare bene fa pensare meglio.Leggendo il tuo scritto ho ritrovato e assaporato con l'immaginazione il sapore delle pietanze buone della storia gastronomica della mia vita Dalla cucina semplice e contadina della nonna che essendo vissuta a Marsiglia aveva aggiunto alle ricette tradizionali alcune pietanze tipiche della cucina francese, alle pietanze più o meno elaborate gustate da adulta durante viaggi in Italia o all'estero. Condivido pienamente quanto dici in merito all'accademia della cucina che offre preziose occasioni di connubio tra convivialità e cultura gastronomica, artistica e storica. Sono incontri che uniscono alla scoperta del gusto della ricca tradizione gastronomica molisana, l'esplorazione dei reperti storici e artistici, spesso dimenticati del nostro territorio .
    Con il tuo stile magico, Gabriella riesci ad esprimere con efficacia l'importanza della conoscenza e della preparazione ,attraverso la lettura di libri di autori molisani, per entrare in contatto più stretto con la terra di Molise ed il suo cibo.
    Mi affascina la chiarezza con la quale tu indichi nella cultura il mezzo per vivere e godere pienamente della vita in tutti i suoi aspetti.
    Grazie
    Ernestina Simeone

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  4. Ho letto con grande interesse il tuo esauriente articolo sia sull'Accademia della cucina che sulla descrizioni dei piatti tradizionali e vari altri.Tanta emozione ho sentito quando hai fatto riferimento ai ricordi d'infanzia, mi sono sentita coinvolta, tanto da farmi venir voglia di conoscere meglio il Molise. Mi hai regalato un bel momentoe, mi raccomando, continua a scrivere di cultura, cibo, libri ecc ecc Brava Gabriella, congratulazioni.

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    1. Grazie, Pauline (l'amica canadese Pauline Langloise) , per il gentilissimo commento. Esso mi lusinga particolarmente visto che tu sei una di quelle amiche dai gusti raffinati, che hanno girato il mondo, e con le quali ho potuto avere scambi sempre proficui stando a Roma.

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