Nella ricca galleria di figure femminili create dalla penna di C. M. Russo
entra di diritto un altro, potente personaggio, seguito dalla scrittrice lungo
tutto il percorso della sua esistenza e descritto con sottigliezza psicologia e
perizia narrativa.
E’ Maria, figlia di uno stagnino rimasto vedovo, e tanto malato da non
poter neanche sostenere la sua famiglia. Maria è distante — nel tempo, nel
contesto e nel temperamento — dalle
protagoniste che l’hanno preceduta: donne destinate al potere, aristocratiche
ambiziose, nobildonne animate da rivalità o vinte dalla passione, seduttrici veneziane…
Di fatto questa ragazza di umile condizione economica vive in una piccola
realtà dell’Appennino
centro-meridionale, e la sua vicenda esistenziale si svolge tra il periodo
unitario e quello fascista. Con buona padronanza storica la Russo inquadra un
momento difficile della nostra Storia nazionale, ne rappresenta le
problematiche focalizzando l’arretratezza e la chiusura della società arcaica
di allora, l’analfabetismo generalizzato, la piaga dell’emigrazione, il gap
enorme esistente tra l’agiatezza sfrontata dei “signori” e la miseria non solo
economica, ma sociale e morale della povera gente.
A quest’ultima categoria
appartiene, per l’appunto, Maria, che ha dalla sua un gran senso della dignità
e molta determinazione. Questo radicato amor proprio la spinge a farsi totalmente
carico dei problemi familiari, quindi sarà lei coraggiosamente a portare avanti
la casa, a curare gli animali, ad accudire il padre, aiutare la sorella
sposata, coltivare il fazzoletto di terra di proprietà per poter mettere il
piatto in tavola.
Quando i “signori” della casa grande che domina il borgo le offrono il
lavoro di acquaiola, un lavoro durissimo da portare avanti con ogni stagione,
che la obbligherà a percorrere più volte al giorno tre chilometri di strada
impervia di montagna all’andata e tre al ritorno, con il suo asinello caricato
fino all’inverosimile di acqua presa alla fonte, Maria accetta senza la minima
esitazione, malgrado le chiacchiere del paese.
Fin d’ora si preannuncia il temperamento indomabile di questa donna,
indifferente alle dicerie e alle opinioni del piccolo paese (un lavoro da uomini!), una che è rotta
ad ogni fatica, che non si ferma mai, neanche nel giorno in cui mette al mondo
una bimba.
La mentalità ristretta dei paesani, legati visceralmente alle tradizioni e
ai “principi” che vorrebbero immutabili, la loro rassegnazione fatalistica,
maturata all’ombra dei mille rovesci della vita, sono ben descritti dall’A. in
uno spaccato che evidenzia la soggezione plurisecolare della donna all’uomo e quella
della plebe ai “signori”.
Signori che tuttavia Maria riesce a domare, quando è necessario, e con cui
intreccia rapporti di amicizia, ove lo meritino ai suoi occhi. La crisi irrompe
— ce n’erano tutti i segnali — quando Maria subisce la vergogna e l’offesa di
una violenza carnale.
Macchia che non si sbiadirà mai nella sua psiche, malgrado la silenziosa
solidarietà dei paesani, e che anzi farà diventare la donna ancora più coriacea
e sorda ad ogni manifestazione di pietà umana. A pagare la “colpa”, sarà
proprio la neonata, che, non voluta e mai accettata dalla madre, crescendo la
ricambierà con la stessa moneta: le due donne saranno sempre nemiche. Finché la
nascita della nipotina Linù farà conoscere a Maria, ormai vecchia, l’affetto
incondizionato che solo l’innocenza può dare, e una nuova serenità interiore.
Un sorriso dopo una grama vita di stenti per questa eroina figlia di un’altra
epoca e di un microcosmo cancellato dalla Storia.
L’acquaiola (PIEMME, 2018)
Rita Frattolillo©2019 Tutti i diritti riservati.
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