lunedì 2 luglio 2018

Asterischi e parentesi vuote di Costantino Simonelli, recensione





di Rita Frattolillo


E mi accingevo a leggere con la debita attenzione e un pizzico di curiosità Asterischi e parentesi vuote (prefazione e direzione edit. Gianni Spallone) di Costantino Simonelli, quando in prima pagina, la sua dedica “Alla mia prof Rita con stima e affetto” mi ha preso a tradimento, risvegliando un momento del mio, del nostro passato. Come avrei potuto dimenticare quell’unico anno al “Mario Pagano”?

Ma era stata custodita così bene in una nicchia della mia memoria quella scolaresca ginnasiale di adolescenti vivaci e attenti -  tra cui Costantino -  e ora questa dedica funzionava come il “gioco” orientale di carte stropicciate di cui parla Proust, che, se messe in acqua, si gonfiano a ricreare fiori, piazze e persone…





Quell’anno era il mitico ’68, lo tsunami che ha cambiato il mondo e le nostre vite, perché, dopo, nulla è stato più come prima, ma allora non ce ne siamo accorti, nella piatta calma della provincia apparentemente addormentata…

Per me lo tsunami era tutto privato: appena convolata a giuste nozze e casa da mettere su, a Campobasso, nuova realtà tutta da decifrare. E poi: nuova scuola, nuovi studenti, nuovi colleghi; ecco, si affacciano alla mente alcuni volti, quello del preside Biscardi. Mi dico basta… e allora mi immergo nella lettura di Asterischi e parentesi vuote.

 E già il primo racconto mi regala un bell’assaggio di Costantino, capace di tenerezza e ironia, bravo a ricreare un microcosmo arcaico fatto di ingenuità e candore ma anche di furbizia ruspante, dotato di uno sguardo benevolo verso gli oggetti, che anima e fa vivere. Procedendo, rifletto che molto del suo essere medico è penetrato in questi racconti sorprendenti e accattivanti, tanto diversi l’uno dall’altro eppure tanto simili, accomunati da una rara coesione interna e da una intrinseca organicità, dove “tout se tient”.

Il ruolo fa l’uomo, ha scritto qualcuno; e sicuramente Costantino dimostra di essere ben consapevole del proprio ruolo e di quanto ci si aspetta da lui, sempre così lucido e presente, uno che analizza se stesso e gli altri, dimostrando grande capacità introspettiva e di riflessione; stare a contatto quotidianamente con la sofferenza del “prossimo”  lo ha reso duttile, attento osservatore dell’altro, del malato, sì da farlo entrare in sintonia con il mondo sofferente,  cercando le ragioni di certi comportamenti. Uno che a forza di stare a contatto con il dolore, ha maturato gli anticorpi per sopravvivere e si è creato le difese svicolando con l’ironia o virando fino al sarcasmo, ma che è riuscito al tempo stesso a non perdere mai la sua umanità, cogliendo il dritto e il rovescio dei suoi pazienti.

 Certo il mondo dei suoi malati è vario e ricco di tipi  che avranno esaltato il suo spirito acuto di fine interprete dell’animo umano, che il medico scandaglia con discrezione, sapendo rimanere al margine, sulla soglia, senza mai oltrepassarla.

 Passando da un racconto all’altro, spazio in una realtà fatta di contesti e persone molto diversi, tutti autentici, e mi trovo in mezzo a situazioni che ognuno di noi può aver vissuto. Patetici assassini per caso, adolescenti in calore, anziani cafoni, sono  protagonisti vivi e palpitanti, sì, ma accanto a loro si intuisce l’onnipresente A., che con la sua personalità di forte tempra e  notevole equilibrio fa passare i valori forti della famiglia, il profondo senso del rispetto, fa comprendere di essere cresciuto in un solido tessuto sociale, che lui non è e non si sente solo.

I racconti procedono senza una sola sbavatura, su una tastiera espressiva ricca di toni, da quello ricercato, colto e molto strutturato, a quello gergale e popolare; anzi, direi che Costantino “gioca” con la lingua, che gli piace corposa, e sa lavorare di cesello; non disdegna il ricco sapore offerto dalle immissioni dialettali e si diverte con le contorsioni lessicali, come “domesticheria”, “qualunquità, “monacastero”.

Sotto questo aspetto, si può dire che si respira eterodossia, tra queste pagine, dove si passa facilmente dai piani nobili agli scantinati. Sia per il come degli argomenti descritti, talora tra il grottesco e il surreale, sia per il registro linguistico utilizzato.

A proposito di piani alti, diversi sono i racconti che mi hanno suscitato particolare emozione, facendoni sentire “in mezzo”,  ma l’acme del coinvolgimento l’ho toccato con Monet in paradiso e Tumore di mamma, seppure di tematica e ispirazione ben diverse. Il primo: ritrovare le mie stesse sensazioni, descritte tanto finemente, su Giverny, le ninfee, Monet , di cui  ho un vero culto, ha avuto su di me un effetto catartico riconciliandomi con il mondo intero. Il secondo: la fine dolorosa della madre di Costantino, tristemente simile alla via crucis vissuta da molti di noi per la propria,  è deflagrata dentro di me, e l’ho condivisa con tutto il cuore; ho anche notato che solo con l’irrompere di quella tragedia  il doc ha perso per un attimo  la sua granitica lucidità e tra le righe  ho percepito come uno sbandamento; ma, persino qui, mostrando la capacità estrema di saper discernere tra il medico e il figlio.

Per chiudere, avevo lasciato il “mio” Costantino cristallizzato nella fase adolescenziale, e me lo ritrovo surclassato da un uomo vissuto, che sa come va il mondo, disincantato,  da uno scrittore intenso ed efficace!
Rita Frattollillo©2018 tutti i diritti riservati 

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