mercoledì 23 maggio 2018

E’ scomparso Nicola Iacobacci, poeta totale e cosmico


di Rita Frattolillo


Sabato scorso 19 maggio è scomparso, a 82 anni, dopo una lunga malattia, Nicola Iacobacci, nato a Toro nel 1935 e dal 1944 residente a Campobasso con la famiglia. Dopo una parentesi nella scuola come docente di francese, si era dedicato interamente ad una intensa e variegata attività letteraria che si è tradotta in decine di pubblicazioni, di cui alcune trasmesse dalla Rai, come il dramma Il lupo tra le lamiere (1983) e l'opera teatrale La giacca a doppio petto (1987). Altre sono state tradotte in spagnolo (da Michele Castelli dell'U. di Caracas, Poesias del1977 e La piedra azul turquì del 1980) e in francese (La volontà d'essere/Volonté d'être, 1990, edizione bilingue con traduzione francese di Patrice Dyerval Angelini dell'U. di Nizza).
Autore  anche di saggi critici e letterari e di antologie scolastiche, Iacobacci è poeta profondo e ispirato che ha attirato l’attenzione di critici importanti come Bàrberi Squarotti e trovato consensi in ambito nazionale e internazionale.  Molti de suoi libri sono ispirati al paese natale, ai suoi abitanti, ai suoi usi e alle sue tradizioni. Alcuni titoli rimandano direttamente al suo paese, come la raccolta di poesie Coste San Rocco (La Prora, Milano 1974), o come  Sotto il barbacane (La Prora, Milano 1976). Toro è anche lo scenario in cui si svolge il romanzo La tela dei giorni (Liguori, Napoli 1987), il cui titolo originario era Calata Pozzilli.
 E’ poesia totale e cosmica, quella che scorre nei versi di Iacobacci, che di sicuro ha solcato molti sentieri lungamente sedimentati. Totale perché restituisce un’atmosfera nella sua pienezza di sensazioni sinestetiche, dalle visive alle olfattive, e cosmica perché la meditazione raccolta e intensa del poeta sull’esistenza vibra e trova nuovi accenti dentro di noi. Mosso da una concezione personalissima dell’universo, Iacobacci vive, palpita e soffre come e con “l’anonimo ciottolo o la bionda spiga”. Tutto soffre, dalla pietra al ramo, e l’uomo, impastato con la stessa materia delle altre creature, è accomunato intimamente ad esse nella sofferenza, ma anche nella speranza.
Se basta un fremito d’ali a rianimare il suo cuore, è perché le inquietudini e le angosce trovano tregua nella muta interazione tra il poeta e la natura. La vita può deludere, certo, ma anche sorprendere:
“Fiori gialli, rossi/il ramo che si sveglia dopo il lungo inverno/ i tuoi occhi di luna”.
Non per questo il poeta si abbandona alle illusioni, anzi è sempre presente a se stesso, attento ai suoi trasalimenti, a cogliere la dignitosa consapevolezza della fragilità umana, che suggella con versi lapidari e bagliori d’immagini. Poeta “naturale”, nel senso che la sua scrittura è polla che sgorga prepotente e incontaminata. Dove il lettore si inoltra sorpreso tra versi baluginanti e pensieri taglienti come lame.
E ora? Non potremo più chiedergli di “scavare/pietre spezzate con le mani/ come il pane per il canto dei giorni”.  

Tratto da  Il diavolo senza corna” La prora, Milano  1982:

LA MIA OMBRA

Ho smesso di riempire le pagine di segni e schemi
Di come vorrei che fosse la vita;
quei fogli sono allineai come bianchi piccioni
che lasciano in autunno merli e feritoie
e si aggrappano agli orli della vasca
dove il mangime ha il colore del granturco.

Ma non è più autunno.
Le chiome squadrate dei colpi secchi della roncola
sono appena sfiorare dal sole
dietro il palazzo dipinto di giallo canarino.

Giorni a dispetto del freddo di ogni anno
che stringe la città con le sue bianche catene di neve
e gli alberi diventano statue con le braccia mozzate
e la scorza staccata a scaglie dai colpi di scalpello.

Ascolto le parole d’un amico,
poi l’amico diventa la mia ombra
che mi segue docile, un passo dopo l’altro
sulle piastrelle d’asfalto.
°°°
STANCHEZZA
Mi lascerei coprire di foglie come la strada
sulla quale passa l’uomo che può cambiare il mondo.

Mi lascerei coprire di pioggia
immerso nell’acqua del mare
per sentire il cielo poggiato sui capelli
°°°
PAESAGGIO MOLISANO

Non è questa la terra dove la talpa
scambia gli occhi con la coda
e il flauto appende al cavo del traliccio
la lievità del passero ubriaco

Qui i lupi saltano sui fuochi piantati nella neve
a guardia di paesi arroccati sulle montagne;

la solitudine e il vento sulle scale di pietra.

Nicola Iacobacci

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