Sabato scorso
19 maggio è scomparso, a 82 anni, dopo una lunga malattia, Nicola Iacobacci,
nato a Toro nel 1935 e dal 1944 residente a Campobasso con la famiglia. Dopo
una parentesi nella scuola come docente di francese, si era dedicato
interamente ad una intensa e variegata attività letteraria che si è tradotta in
decine di pubblicazioni, di cui alcune trasmesse dalla Rai, come il dramma Il
lupo tra le lamiere (1983) e l'opera teatrale La giacca a doppio petto
(1987). Altre sono state tradotte in spagnolo (da Michele Castelli dell'U. di
Caracas, Poesias del1977 e La piedra azul turquì del 1980) e in
francese (La volontà d'essere/Volonté d'être, 1990, edizione bilingue
con traduzione francese di Patrice Dyerval Angelini dell'U. di Nizza).
Autore anche di saggi critici e letterari e di
antologie scolastiche, Iacobacci è poeta profondo e ispirato che ha attirato
l’attenzione di critici importanti come Bàrberi Squarotti e trovato consensi in
ambito nazionale e internazionale. Molti de suoi libri sono ispirati al
paese natale, ai suoi abitanti, ai suoi usi e alle sue tradizioni. Alcuni
titoli rimandano direttamente al suo paese, come la raccolta di poesie Coste
San Rocco (La Prora, Milano 1974), o come Sotto il barbacane (La Prora, Milano 1976). Toro è anche
lo scenario in cui si svolge il romanzo La tela dei giorni (Liguori, Napoli 1987), il cui titolo
originario era Calata Pozzilli.
E’ poesia totale e cosmica, quella che scorre
nei versi di Iacobacci, che di sicuro ha solcato molti sentieri lungamente
sedimentati. Totale perché restituisce un’atmosfera nella sua pienezza di
sensazioni sinestetiche, dalle visive alle olfattive, e cosmica perché la
meditazione raccolta e intensa del poeta sull’esistenza vibra e trova nuovi
accenti dentro di noi. Mosso da una concezione personalissima dell’universo,
Iacobacci vive, palpita e soffre come e con “l’anonimo ciottolo o la bionda
spiga”. Tutto soffre, dalla pietra al ramo, e l’uomo, impastato con la stessa
materia delle altre creature, è accomunato intimamente ad esse nella
sofferenza, ma anche nella speranza.
Se basta un fremito
d’ali a rianimare il suo cuore, è perché le inquietudini e le angosce trovano
tregua nella muta interazione tra il poeta e la natura. La vita può deludere,
certo, ma anche sorprendere:
“Fiori gialli,
rossi/il ramo che si sveglia dopo il lungo inverno/ i tuoi occhi di luna”.
Non per questo il
poeta si abbandona alle illusioni, anzi è sempre presente a se stesso, attento
ai suoi trasalimenti, a cogliere la dignitosa consapevolezza della fragilità
umana, che suggella con versi lapidari e bagliori d’immagini. Poeta “naturale”,
nel senso che la sua scrittura è polla che sgorga prepotente e incontaminata. Dove
il lettore si inoltra sorpreso tra versi baluginanti e pensieri taglienti come
lame.
E ora? Non potremo
più chiedergli di “scavare/pietre spezzate con le mani/ come il pane per il
canto dei giorni”.
Tratto da “Il diavolo senza
corna” La prora, Milano 1982:
LA MIA OMBRA
Ho smesso di riempire le pagine di
segni e schemi
Di come vorrei che fosse la vita;
quei fogli sono allineai come bianchi
piccioni
che lasciano in autunno merli e
feritoie
e si aggrappano agli orli della vasca
dove il mangime ha il colore del
granturco.
Ma non è più autunno.
Le chiome squadrate dei colpi secchi
della roncola
sono appena sfiorare dal sole
dietro il palazzo dipinto di giallo
canarino.
Giorni a dispetto del freddo di ogni
anno
che stringe la città con le sue
bianche catene di neve
e gli alberi diventano statue con le
braccia mozzate
e la scorza staccata a scaglie dai
colpi di scalpello.
Ascolto le parole d’un amico,
poi l’amico diventa la mia ombra
che mi segue docile, un passo dopo
l’altro
sulle piastrelle d’asfalto.
°°°
STANCHEZZA
Mi lascerei coprire di foglie come la
strada
sulla quale passa l’uomo che può
cambiare il mondo.
Mi lascerei coprire di pioggia
immerso nell’acqua del mare
per sentire il cielo poggiato sui
capelli
°°°
PAESAGGIO MOLISANO
Non è questa la terra dove la talpa
scambia gli occhi con la coda
e il flauto appende al cavo del
traliccio
la lievità del passero ubriaco
Qui i lupi saltano sui fuochi piantati
nella neve
a guardia di paesi arroccati sulle
montagne;
la solitudine e il vento sulle scale
di pietra.
Nicola
Iacobacci
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