mercoledì 14 marzo 2018

Intervista alla scrittrice Elvira DELMONACO ROLL




di Barbara Bertolini


Sono capitata su ”La Morgia indiscreta” di Elvira Delmonaco Roll per puro caso. Ero alla Mondadori di Campobasso e stavo scegliendo libri per bambini quando il mio sguardo è stato attratto dall’immagine della copertina di uno dei libri esposti: la Morgia di Pietracupa. Qualunque cosa avesse scritto l’autore di quel libro l’avrei comperato perché parlava di uno dei posti più suggestivi e intriganti per me, probabilmente quel sasso era qualcosa scaturito da visioni ataviche celate nel profondo della memoria.
E l’acquisto non mi ha delusa. Effettivamente, leggendo il libro ho avuto la sensazione di ritornare ai romanzi classici del passato, a quelli che mi hanno appassionata nella mia gioventù, alle belle storie paesane dove i sentimenti erano autentici, la gente semplice e la natura ancora incontaminata.
A questa scrittrice talentuosa voglio chiedere:

So che sei nata a Napoli, che cosa ti lega al Molise?


Elvira:   Sono nata, ho studiato e vissuto a Napoli, ma sono anche molisana  per il sangue  che mi scorre nelle vene, per educazione e per scelta.  Ho sempre riconosciuto il mio retaggio molisano, l'ho accettato come un dato di fatto così come ho accettato che  la Morgia, le valli molisane, il loro profumo, la loro bellezza mi entrassero dentro, modificando la mia percezione della natura e il mio modo di vivere.

Barbara: Chi è Elvira Delmonaco Roll? Cosa è rimasto di molisano in lei?

E:  Definirmi non è facile, ci ho provato tutta la vita. Sono come un mosaico con molte tessere che continuo a scoprire, come quella recente di autrice. Sono cresciuta all'insegna del dualismo, in bilico tra due educazioni, due luoghi che sentivo “casa”, con due sorelle “grandi” molto dotate, (Aurora, la più grande, con un CV di grande prestigio, oggi è una storica con diverse pubblicazioni al suo attivo), per cui spesso ho sviluppato incertezze e inquietudini che hanno reso angosciose le mie scelte e mi hanno spinto a lasciare la  mia casa per poi goderne al ritorno. Ho vissuto un'infanzia felice in una famiglia in cui mia madre mi ha fatto respirare cultura fin dai miei primi anni, sollecitando ed educando la mia mente. Nella mia casa infantile si  preparavano recite, si scrivevano commedie, si leggevano poesie e libri, si commentava e si analizzava e non ci si annoiava mai. Questa era la parte napoletana della mia educazione, ma c'era anche quella molisana a me meno gradita che veniva impartita dalla mia prozia pietracupese che viveva con noi durante gli inverni. Rigida, severa, con una vita travagliata alle spalle, mi ha insegnato i lavori di casa, mi ha terrorizzato con il suo credo in un Dio punitivo e mi ha insegnato ad amare il Molise. Ogni anno, dopo il mare, passavo il mese di agosto a Pietracupa e lì viaggiavo a ritroso nel tempo in un mondo culturale fatto di tradizioni. Pensavo, da bambina, che questo mondo sarebbe rimasto sempre così, ma invece era come una bolla pronta a scoppiare ed io l'ho visto disintegrarsi e non mi è piaciuto il cambiamento. Per più di dieci anni non sono tornata in paese, troppo occupata nei miei viaggi, nei miei studi prima e nell'insegnamento dopo, troppo presa dal mio essere donna moderna, efficiente, impegnata e indipendente. Sono tornata a Pietracupa solo dopo il mio matrimonio e mio marito ha deciso di costruire la nostra  casa in campagna, sul rudere di un vecchio casino che si pensa sia stato quello del famigerato don Peppo di cui ho parlato nei miei libri. Il  legame col mio Molise si è consolidato anno dopo anno, anche perché i miei cari oggi dormono a Pietracupa insieme ai miei antenati paterni e lì dormirò anche io, riunita alla mia famiglia.

B: Questa è la tua prima opera?

E. Ho scritto tre anni fa il mio primo libro L'ombra della Morgia, cinque racconti che partono dal 1960 e che vanno a ritroso di cento anni per ritornare al 1980, in una struttura circolare non chiusa, quasi un romanzo della memoria, di cui i racconti sono i capitoli. L'ho scritto per una delle tante scommesse con me stessa, per vedere se ero capace, spinta, sollecitata e sfidata da un mio caro amico che ha avuto più fiducia in me di quanto ne avessi io, e nella scrittura ho riversato il mondo pietracupese che mi porto dentro e che voglio venga ricordato nella sua cruda realtà di fatica, sofferenza, coraggio, determinazione, quando il peccato più grave poteva non essere una colpa, mentre la più piccola delle trasgressioni poteva diventare imperdonabile.

B: I tuoi ricordi di questa terra sono antichi. I primi anni ’50 nell’Italia rurale si viveva come nel Medioevo. E’ per questo che hai potuto ambientare un romanzo a metà dell’Ottocento in modo così realistico?

E: La Pietracupa dei miei primi anni di vita era apparentemente immobile nel tempo, cristallizzata in un modo di vivere che sembrava non essere scalfito dal progresso, ma in effetti non era così. Cominciava già a essere minato alla base proprio da noi che passavamo le vacanze in paese, venendo dalla città, noi che non rispettavamo la divisione in chiesa tra uomini e donne, che andavamo a passeggio maschi e femmine insieme, noi ragazze che portavamo i pantaloni e leggevamo libri invece di lavorare ai ricami e all'uncinetto. L'isolamento secolare era stato rotto, il mondo esterno cominciava a filtrare e a inquinare un modo di pensare atavico. Ho descritto questo passaggio dal vecchio al nuovo in uno dei racconti del mio primo libro, ma non è questo mondo culturale in procinto di essere annientato quello di cui parlo nel mio secondo libro. Nella Morgia Indiscreta ho descritto una cultura che ho imparato a conoscere attraverso i racconti della tradizione orale della gente del paese, storie che sono sparite nell'ondata dilagante del moderno stile di vita, disperse nel mare dell'emigrazione. L'ultima depositaria di questa cultura è sparita qualche mese fa a 104 anni. Con lei è effettivamente morto un intero mondo culturale, un modo di vedere le cose che è durato secoli per sparire in un trentennio.

B: Come ti è venuta l’idea di realizzare un “giallo”?

E: Quando ho iniziato a scrivere La Morgia indiscreta non pensavo di scrivere un “giallo”, ma  di raccontare una storia che mi era stata narrata molto tempo fa dalla mia prozia, allora novantenne, che fino a quel  momento ne aveva conservato il segreto perché toccava la sua famiglia. Nel corso degli anni questo assassinio mi è tornato in mente di tanto in tanto e già prima di scrivere i miei racconti avevo deciso che prima o poi avrei rotto il velo di un silenzio secolare. Per me è stata una nuova sfida da affrontare, ho scritto e riscritto, perché la storia mi prendeva la mano, come un cavallo che scalpita e tira per raggiungere la stalla il più presto possibile, mentre io volevo guardare il panorama e non solo il sentiero davanti a me... Alla fine mi sono sentita sufficientemente soddisfatta di aver detto quello che volevo dire, di aver portato sotto la luce gli aspetti della vita ottocentesca di un paese che coi suoi credo comportamentali ha  molto  spesso permesso al male di annidarsi dietro le porte chiuse. Del  resto, dove abita l'uomo, abita anche il male.

B: L’intreccio, studiato con maestria, cattura il lettore che vuole sapere, come per qualsiasi giallo, come va a finire questa storia. Ma effettivamente siamo lontani dall’impeto messo nei romanzi attuali, il tuo libro lascia al lettore il tempo di assaporare le cose, non gli metti fretta.  Siamo in un periodo, invece (Unità d’Italia), dove nel Molise si svolgevano fatti cruenti. La viabilità era difficile perché c’erano grosse probabilità di incontrare feroci briganti. E’ una scelta dettata dalla tuo modo di essere quello di non rappresentare la violenza?

E: La storia dei briganti intorno a Pietracupa è piuttosto ricca, ma si riferisce più al periodo a cavallo tra il diciottesimo e diciannovesimo secolo,  che alla metà del 1800. Quando inizia il mio racconto i  briganti  di Trivento,  i Quici, i Vasile, i Landi, erano già spariti da tempo dalle strade, insieme a Francesco Brindisi e Anselmo  Matteucci, sempre di Trivento,  venuti a Pietracupa qualche anno dopo, al servizio  del potente arciprete di Pietracupa, don Giuseppenicola Carnevale detto don Peppo.  A metà secolo le strade erano abbastanza sicure intorno a Pietracupa che attraversava un periodo di calma e che, avendo relazioni solo coi paese più vicini, ignorava come nelle cittadine del Molise si diffondesse il malcontento e si affermassero idee che giungevano come echi passando attraverso i filtri della distanza e del sentito dire.  Il paese rimase indisturbato anche dopo lo sbarco di Garibaldi, quando il Molise si spaccò in due, tra garibaldini e sostenitori dei Borboni. Sotto la Morgia  non si seppe, se non parecchio tempo dopo, che Francesco II aveva chiamato alle armi tutti i molisani fedeli promettendo una ricca ricompensa, per cui nessun pietracupese lasciò la sua casa e mentre contadini e briganti insieme si precipitavano a formare l'”esercito dei cafoni”, e come locuste si abbattevano su Isernia, il 30 settembre 1860 , saccheggiandola, violentando e uccidendo, Pietracupa rimase in disparte a prepararsi all'inverno. Solo quando questo esercito malandato fu sconfitto, e le bande di briganti presero a spadroneggiare,  Pietracupa rimase coinvolta,  perché venne a stabilirsi nella zona il brigante Nicola Martelli, caporale dell'esercito dei cafoni, detto Cola Martill, di cui mio padre parlava quando ero piccola. Come molti sbandati del distrutto esercito dei cafoni, si era allontanato per sfuggire all'esercito inviato a ristabilire l'ordine  e si era dato al brigantaggio tra  Pietracupa, Torella e Bagnoli. Per due anni rubò, inasprendo gli animi dei paesani già poverissimi e quando per puro caso, fu catturato da un pietracupese, gli fu fatto un ridicolo processo e fu fucilato. In effetti si trattò di un linciaggio e ne parlo nella seconda parte del mio libro. Avrei potuto soffermarmi di più sugli aspetti del brigantaggio, ma ho preferito non aprire una pagina che per quanto affascinante mi avrebbe portato fuori strada e ne ho parlato solo quando si è intrecciato alla mia storia. Non ho indugiato nella descrizione dei diversi atti di violenza per una mia pruderie, ma perché  non ho ritenuto necessario soffermarmi su  particolari cruenti che secondo me non avrebbero aggiunto niente alla narrazione. Per la stessa ragione, quando ho parlato di stupro, ho preferito non scendere in descrizioni più dettagliate. Ho pensato che avrebbero nociuto all'atmosfera del racconto dove tutto era scandalo e niente lo era.

B: Io personalmente, questo l’ho apprezzato.  Il tuo libro sta avendo un grande successo editoriale, dopo Francoforte e Londra sarà anche alla fiera del libro al Metropolitan Pavillon di New York. Verrà tradotto in inglese?

E. Finora non ho pensato a una eventuale traduzione. Non pensavo di andare così lontano.  Ovviamente, se La Morgia Indiscreta dovesse essere tradotto e andasse ancora più lontano, ne sarei felice. In ogni caso per me va bene così, sono contenta che il mio lavoro piaccia, che Pietracupa  vada in giro per il mondo attraverso le mie parole, ma  sono soprattutto contenta di essere riuscita a comunicare con il lettore e penso che questo sia la meta di tutti coloro che scrivono.

B: Ti aspettavi questo successo?  Sei pronta per un prossimo libro?

E: Quando ho affidato alle stampe il mio lavoro ho incrociato le dita, pronta ad accettare commenti negativi, ma per fortuna non è andata così ed ho avuto molti consensi che mi hanno gratificata. Onestamente ci speravo perché non è vero che si scrive per se stessi, si scrive anche per il lettore, altrimenti non si pubblica il proprio lavoro. Pubblicare vuol dire darsi al parere di chi legge, accettare che si  giudichi l'autore insieme alla sua opera e questo è il difficile, almeno per me, ma a ogni riscontro positivo, io tiro un sospiro di sollievo ed è una gran bella sensazione. Ho in mente un nuovo libro per terminare la trilogia della Morgia e ho cominciato a scrivere, ma non penso che questo lavoro sarà pubblicato prima del prossimo anno.

B. Anche tu, come molte scrittrici, vieni dal mondo della scuola che, in questo periodo, non se la passa troppo bene con tanti giovani che abbandonano gli studi per rimanere a casa senza fare nulla. Secondo te, qual è il peggior nemico dello studio?

E: Ho amato molto la scuola e le ho dato la mia completa dedizione. Discendente da generazioni di educatori, sono stata una brava docente e lo dico con orgoglio. Tutta la mia vita ho avuto insicurezze e dubbi su tante cose, ma su questo no, ho sempre avuto la coscienza di svolgere un ottimo lavoro. Ho dato molto ai miei ragazzi, e ho ricevuto dalle mie difficili classi tanto quanto ho dato e grazie a loro posso guardarmi indietro e dirmi che la mia vita non è stata un inutile spreco di energie. Ho avuto la fortuna di insegnare per anni in istituti professionali sperimentali in zone travagliate come, ad esempio, Scampia a Napoli. Ho insegnato giovanissima in licei problematici come quelli di Giugliano e di Somma Vesuviana e le mie prime esperienze  le ho avute nelle allora classi differenziali.  Mi sono occupata di dispersione scolastica, di ricerca di una metodologia innovativa, di consulenza, di collaborazione con le famiglie, di integrazione, di orientamento, di formazione per docenti formatori e per questo non posso dare una risposta breve ed esauriente a una domanda molto complessa che tocca problemi già gravi prima che andassi in pensione. In breve posso dire solo che se lo Stato non si occupa della scuola con competenza e non la smette di girare in tondo come una mosca presa in trappola in un bicchiere di vetro, anche la scuola girerà in tondo senza trovare una via d'uscita. La cecità di uno stato che non parte dalla realtà sociale da cui proviene la maggior parte degli studenti, che non offre sbocchi lavorativi, che taglia fondi e fa decreti su programmi fallimentari scopiazzati da nazioni con realtà diverse, fa la cecità di una scuola che si distacca sempre più dai bisogni delle nuove generazioni e che si regge solo sulla dedizione e competenza di molti docenti. Mi fermo qui, prima di lasciarmi trascinare dall'argomento a dire più di quanto sarebbe opportuno.

B: Grazie Elvira per questi bellissimi commenti che mettono in luce anche la tua grande umanità.



CHI E’ ELVIRA DELMONACO ROLL?
E’ nata a Napoli alla fine del Secondo conflitto mondiale da madre napoletana e padre di origine molisana. Ha studiato sia in Italia che all’estero, laureandosi in Lingua e Letteratura francese, lingua che ha poi insegnato nella scuola superiore fino al pensionamento. Ad ispirare i suoi romanzi è il paesino molisano del padre, Pietracupa, che l’ha sempre affascinata. Il giallo, La Morgia indiscreta è la sua seconda opera. La prima, pubblicata nel 2015, L’ombra della Morgia, raccoglie cinque racconti, sempre ambientati a Pietracupa e che vanno a ritroso nel tempo.



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