di Giuseppe Tabasso
L'impulso a scrivere nasce come sfogo, curiosità, fame
e piacere di vita, poi può diventare bisogno, passione e ossessione. Ci s'infila in un tunnel simile a quello
della droga: all'inizio vi si entra per star bene, poi ci si rimane per non
star male. Mi è venuto di pensarlo leggendo il romanzo di Rita Frattolillo, Le
ali del ritorno, che, come racconta l'autrice, ha avuto per molti anni
una gestione complicata, con pagine distrutte, accantonate, riprese e
rielaborate più volte "come un’ossessione che non si riesce a
vincere". Spesso infatti il lavoro dello scrittore (e lo dico da semplice
scrivente) è proprio questo: la riscrittura come parte integrante del processo
creativo. Lo diceva Flaubert: "Scrivere significa riscrivere”.
E queste
pagine della Frattolillo sono scritte e riscritte con un linguaggio chiaro,
scorrevole, tanto da sorprendermi quando mi sono imbattuto nel termine
"sincretico", il più ostico del romanzo. Un romanzo, va subito detto,
che rientra in quel filone illustre e popolare che ci hanno fatto amare autori
come Natalia Ginzburg, Isabelle Allende, Gabriel Garcia Marquez, Emily Bronte:
il genere Saga familiare.
Diario e racconto di un diario, Le ali del
ritorno, non ha struttura lineare, ascendente o discendente, ma circolare e
corale costruita sullo sfondo di interni ed esterni familiari. Un mosaico di
rimembranze, affetti, conflitti, commozioni e ricordi in un gioco di specchi,
di rimandi generazionali e di appartenenze condivise tra madri, sorelle,
figlie, cugini, nonni, padri, zii, mariti e soprattutto nipoti. Una saga
familiare che profuma di provincia sprovincializzata dove circola voglia di
mondo, orgoglio delle radici, cultura come religione e, appunto, scrittura come
"recidiva".
Termine questo che uso non a caso poiché
riflette, come gioco di specchi, l'altra "recidiva", il male che
segna la vita di Livia, la protagonista, e dà al romanzo un'impennata
drammatica. Comincia così, con la "sparviera" in agguato, l'eterno
duello con la vita affrontato con consapevolezza e raccontato da Livia, cioè da
Rita stessa, con esemplare lucidità sdoppiando se stessa "per sembrare
serena ed evitare il tracollo". Racconta una delle nipoti: "Leggere e
scrivere aiutano la nonna a vivere, a dialogare con se stessa e, per guardare
oltre, cercare lo zen distaccandosi dal quotidiano e volando alto estraniandosi
dalle sofferenze." Cioè una metodologia dello spirito che non è un banale
lieto fine.
Nessun commento:
Posta un commento