Sabino D’Acunto ha ricevuto molti apprezzamenti dai nostri lettori. Pubblichiamo ora una critica di Mariolina Perpetua sulla vasta produzione letteraria dello scrittore isernino:
“La realtà non è talvolta la condizione di ciò che è, ma di ciò che appare, così come accade con le immagini riflesse in uno specchio”.
Dopo aver letto i lavori di Sabino d’Acunto, niente appare più vero del pensiero, di pirandelliana memoria, scritto dallo stesso autore in premessa a “Una manciata di miglio ed altri racconti”.
Il nostro, infatti, trae spunto, dal reale circostante e, con tratti misurati ed allo stesso tempo efficaci, trasfigura nel mondo oggettivo del verosimile personaggi, luoghi e situazioni più vicini al suo vissuto.
Con sobrietà e con una certa raffinatezza che lo contraddistingueva anche nelle vita di tutti i giorni, riesce ad eternare la quotidianità, creando “quadretti” di grande familiarità, che pur nella loro semplice naturalezza, emozionano il lettore : “zia Luisella” di Colle Cioffi (da “Lettere dal Molise”) diventa la zia per “antonomasia”, la zia di tutti, e così “paziente”, “affaccendata” e “prodiga di attenzioni” impersona il sano mondo contadino molisano, diventando “termine di riferimento di valori umani dispersi o dimenticati”, (G. Iovine), che “d’Acunto si porta in fondo all’anima” (Sardelli).
Luoghi ed uomini della sua terra sono ancora protagonisti di “Elegia molisana” (da “Ricordo è amore”) , in cui ritorna l’orgoglio dell’appartenenza alla sua gente forte, determinata e coraggiosa (..buona è la mia gente) anche se segnata da un amaro destino di miseria e di rinunce che la porterà all’emigrazione (….Non si piangono morti qui ma vivi!/ Uomini vanno col fardello carico/ di stracci e di illusioni, chissà dove./ Partono!/...). Triste è la partenza, triste e melanconico il ricordo di luoghi un tempo diversamente animati (Come vorrei lungo i tuoi tratturi…).
E la poesia si fa elegia nel suono dei versi e delle parole, di sapiente misura classica, e “nella drammaticità davvero non comune” (Rosato) delle situazioni.
Attaccamento alla propria terra e alle proprie cose , ai ricordi “dei tempi migliori” è il tema di “La quercia” (da “Il sorriso di Laura”) che diventa simbolo di “valori ed ideali” da difendere.
Una lettura più profonda dell’io e della società, infatti, si trova nel d’Acunto narratore che mira a rappresentare il conflitto tra “passato e presente”, tra “natura e “civiltà”, tra “infanzia/vita e maturità/alienazione”. “Le farfalle non volano più “ “è concepito come epicedio della civiltà contadina attraverso l’azione di protagonista che, in una fitta trama di vicende, vive drammaticamente l’esperienze dei cambiamenti politici e civili della società dal fascismo agli anni
Tali sono i motivi anche del teatro di d’Acunto che cerca di entrare nella psicologia popolare del dopoguerra, ritraendo spesso in chiave comica “la paranoia della roba diffusa nel ceto rurale” (Martelli - Faralli). Da qui nasce “Mo ‘ze sposa Celesctrino” (1945) che successivo a “E’ menuto Celesctrino” ripropone il primo lavoro, di autori diversi, aggiornato ai cambiamenti sociali del dopoguerra.
Ma il d’Acunto migliore, a mio avviso, è quello che propone la tematica intimistica, “tematica di struggente e umbratile scavo interiore, in cui tensione sentimentale, ricordo e meditazione religiosa costituiscono gli elementi più ricorrenti e persuasivi” (Martelli - Faralli). E siamo a “I Giorni indefiniti” in cui riflessi foscoliani, leopardiani, carducciani, pascoliani nonché d’Annunziani si fondono per dare un risultato d’eccellenza: “Una favola bella/ nel silenzio remoto tu racchiudi/ solitudine amica/… Tutta una vita ho speso per un sogno/ e per un sogno meditando ancora/ strade percorro e strade/…con la malinconia per compagna:/ un duro patimento l’esser nati/… Forse amandoti t’odio,/ solitudine amara/…” (da “Solitudine”). “Nell’incerto risveglio delle cose/ riecco un altro giorno che percorre/ altro triste domani./ Ieri un ricordo, oggi un’illusione;/ domani un sogno breve/ che l’alba sciuperà” ( “Alba”).
Pare di respirare, spesso nei versi, il profumo dei luoghi e di poter riappropriarsi dello scandire del tempo o dell’evolversi delle stagioni, emozioni e sentimenti soffusi spesso di un velo di tristezza per le speranze ed i sogni svaniti. (“Dice la primavera”, “Il Tempo e questa inutile avventura”, “Chi sei tu che ritorni”).
La tensione intimistico/religiosa è più che mai espressa in “Non mi stare lontano “ E ancora “Dov’è la mia fede”, “Proteggimi, o Signore”, “Resta con me, Signore .
Si può trarre spunto dai pochi versi: “Non mi stare lontano, mio Dio,/…In tutte le cose ti vedo/ nel Tutto e nel nulla tu sei /Della tua voce millenari silenzi son colmi…per capire il vero sentire dell’autore, lo smarrimento umano di fronte all’incommensurabile, la richiesta profonda e sincera di aiuto.
Mi piace concludere con “Concedi la tua pace” che l’intensità del contenuto eleva a lirica e che il palpito segreto dell’animo trasforma in preghiera: “Signore,/ fa’ che risplenda ancora
Mariolina Perpetua