Questo non vorrebbe essere un elogio post mortem, benché i tempi di scrittura sembrino smentire da
principio questa affermazione o pretesa. Va tuttavia riconosciuto che è più
facile elogiare e descrivere un uomo avendone preso le giuste distanze
temporali e spaziali. Scrivo questo pezzo senza essere ancora sicura di
riuscire nell’intento, ma mi piace crogiolarmi nell’illusione di stare
scrivendo qualcosa che Pietro possa leggere senza trovarla stucchevole, senza
dover necessariamente parlare in modo gentile e affettuoso di chi è stato e ora
non è più.
E dunque inizierò col dire ciò che di lui non amavo.
Fumava tanto.
Me ne accorsi subito, sin dal primo nostro incontro in una calda domenica di
settembre a Casacalenda. Preparavo la mia tesi magistrale sul compaesano
Rimanelli. Lo incontrai, 4 anni or sono, nella piazza del paese e insieme
andammo nella sua casina in centro. Appena entrati, neanche il tempo di sederci
e mi chiese di fumare. Acconsentii: mi sembrava poco gentile negarlo all’unica
persona che avrebbe potuto aiutarmi. Mi ascoltava e fumava; ogni tanto
interveniva per correggere qualche considerazione. Parlammo a lungo a tal punto
che chiese a qualcun altro di accompagnare sua moglie Elsa a Messa; mi sentii
in colpa per averlo trattenuto, ma lui mi disse: «È così raro poter parlare di
Giose; anche se non l’hai conosciuto mi sembra lo conosca meglio di tanti». Lo
riempii di domande, quasi incalzandolo, mentre lui continuava a fumare seduto
sul divanetto, di fronte a me, con le gambe accavallate, imperturbabile con la
sigaretta stretta tra i polpastrelli gialli.
Continuò a
fumare negli incontri che seguirono, al chiuso o per strada, sempre d’estate e
sempre nel segno della calma, propria di chi ha imparato dal mare ad ascoltare meditare
elaborare.
Fumò anche
durante la registrazione del video su L’amapola
della Sierra Madre (Ed. Memori, 2015), l’ultimo libro che ha presentato in
Molise.
G. Iacobucci, P. Corsi, M. Di Brigida |
Non ho mai compreso, poi, l’ostinazione con cui ‘seguiva il sole’
o forse l’ho sempre invidiata. Un uomo
di mare e viaggi, con il senso dell’avventura inciso a chiare lettere che non
ha smesso di rincorrere i luoghi, i fusi orari e se stesso. A chi ha giovato
tutto questo viaggiare, mi chiedo.
Pietro amava le divagazioni: me ne accorgo ora mentre scorro con
la mente a ritroso le occasioni di incontro, rileggo le interviste e le mail. Raccontava
aneddoti ed episodi simil-divertenti, passava da un argomento all’altro e poi
ritrovava sempre il filo nei suoi discorsi, la stella polare nei suoi viaggi.
Sulle prime non amai questo divergere continuo, poi l’ho apprezzato e fatto
mio. Per scelte di vita, inclinazione professionale e umana non avrebbe potuto
dare alle sue risposte un diverso stile perché il suo parlare aveva la patina
di credibilità di viaggiatore e conoscitore del mondo e degli uomini.
È stato un piacere confrontarsi con lui nel primo incontro quando
da Rimanelli passammo a parlare di Elsa Morante, Pavese, Moravia. Mi deliziò
con gli aneddoti degli anni romani e capii che non era troppo diverso da Giose
o da chi, come loro, aveva preso il mare o la strada. Era per lui un modo, in
fondo, per parlare di sé e sentirsi meno solo, per dare al suo ‘esserci’ un’illusione
di stabilità. Sarà forse questo il motivo per cui continuava ostinatamente a
rientrare al suo paese ogni estate.
Negli incontri successivi, sempre di più imparai da lui: grande ascoltatore, foriero di buone notizie, gioviale, mai annoiato, lettore interessato, giornalista improvvisato in Canada, scrittore per passione.
Rileggendo queste poche righe mi sono accorta di non aver elencato
più di due o tre difetti di Pietro e che essi sconfinano nei suoi pregi. Pietro
è stato uomo equilibrato, non ha mai smesso di inseguire le sue passioni e il
suo esempio avrà lungo corso.
Ma, ora che i suoi córsi divergono dai nostri, ora che le notti di
luna piena sono terribilmente più lunghe, ora che tutti noi sentiamo di aver
perso la giusta combinazione che ci apra ai segreti dell’amicizia, non possiamo
che cercarlo sui pontili delle sue navi, nelle fredde strade canadesi, nella
piazza del suo paese, sull’Altipiano messicano fra i campi di papaveri. E mi
tornano alla mente le parole con cui descrive Maria, figlia del protagonista Don
Bartolo ne L’amapola della Sierra Madre:
Fu così che il suo innocente mondo del Sàbalo cominciò ad essere
popolato da fantasmi i quali, anche se non nobili perché lei non aveva mai
sentito parlare di nobiltà nel suo paese, erano pur sempre presenti.
Cominciarono con l’annunciarsi nei sogni, e quando si convinse della loro
esistenza finì col vederli. Di notte li sentiva camminare per i corridoi della
casa grande, nel cortile, nei magazzini, nel salone della scuola e spesso
restava sveglia per interminabili ore spiandoli dalla porta semiaperta affinché
non si accorgessero di lei, perché sperava di potersi confrontare con loro e
chiedere spiegazioni sul perché della loro ambigua e scomoda situazione.
Sentiremo
anche noi fantasmi camminare di notte, in cortile; resteremo svegli, anche noi,
a spiarli. Sperando di incontrarti, proveremo a confrontarci con te per
chiederti ancora tante cose.
E sicuramente
fumerai, anche ora, da anima-fantasma, nel salottino di casa o nel cortile di
don Bartolo o mentre viaggi su rotte sconosciute a noi terreni, su navi da
crociera, aerei internazionali o strade polverose di una Mazatlan celeste. Così
sia.
Mariella Di Brigida©2017
Tutti i diritti riservati
* Mariella Di Brigida negli ultimi anni ha conosciuto e collaborato con Pietro Corsi.
* Mariella Di Brigida negli ultimi anni ha conosciuto e collaborato con Pietro Corsi.
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