martedì 14 febbraio 2017

Per San Valentino, festa degli innamorati,  Molise d'Autore propone un racconto che descrive l'inizio di un amore. Si tratta di una short story di Licia Canton, autrice italocanadese, e la traduzione è di Gabriella Iacobucci.



Mattino di Pasqua
 di Licia Canton
(trad. di Gabriella Iacobucci)


“Posso tenerti la mano?”  chiese lui dolcemente.

Lei guardò la sua mano, poi quella di lui. Le punte delle loro dita erano distanti solo pochi millimetri mentre sedevano l’uno di fronte all’altro nel caffè di periferia. Quasi si toccavano. Quella di lui era molto più grande . Le unghie della sua erano senza smalto. Guardò l’anello che portava al dito. Aveva il certificato di garanzia nell’ultimo cassetto del comò. Luce, colore, taglio, carati… Sapeva tutto, mancava solo il prezzo.

 “No”. Lui avrebbe visto i suoi occhi dire di sì, se lei lo avesse guardato.  Né l’una né l’altra mano si spostarono.

Si era svegliata molto presto, quella mattina. Voleva rivederlo. Doveva sapere.

“Possiamo incontrarci per un caffè?” Si era armata di coraggio e lo aveva chiamato nell’istante in cui si era svegliata.

“Certo. Dammi solo il tempo di vestirmi” aveva detto lui senza nascondere la sua gioia. “ All’angolo tra  Lacordaire e Bourassa. Ti aspetto lì”.

Dormivano ancora tutti, quando uscì di casa. Si sentiva a disagio a uscire così presto, senza farsi sentire. Andò alla messa delle otto nella chiesa della parrocchia italiana lì vicino. Sapeva che i genitori, le sorelle e il fratello avrebbero trovato da ridire sul fatto che non andava a messa con loro. Proprio lei che  aveva sempre insistito che la famiglia andasse a messa insieme a Natale e Pasqua.  Almeno due volte all’anno, non era chiedere tanto, aveva detto. A messa facevano tutti la comunione e poi c’era il pranzo della festa. Dopo, ciascuno era libero di andarsene dove voleva:  a far visita ai parenti, fuori con gli amici…

Pensò a lui per tutto il tempo. Era una messa breve, c’erano perlopiù  donne anziane, vecchie immigrate. Donne che dovevano tornare a casa a preparare il pranzo di Pasqua, donne che quasi mai andavano a messa con la famiglia.

Alle nove e un quarto lui era già lì, con l’abito grigio scuro, e di nuovo si sentì attratta, come tre giorni prima.

“Sono contento che tu mi abbia chiamato”. La baciò sulle guance. “Sono entrato in crisi di astinenza. Settantadue ore che non ti vedo”.

Il progetto era terminato.  Negli ultimi tre mesi avevano lavorato  con un ritmo febbrile fino a tardi, fianco a fianco. Erano stati concentrati e diligenti. Tra loro non era successo niente, ma qualcosa era cambiato. Era diverso, ora. Come avrebbe fatto a  tornare al lavoro martedì?

“Posso darti un bacio?” aveva chiesto lui piano quando si erano lasciati l’ultima  sera.  Era stata colta alla sprovvista ma non si sorprese.

“No”.  Era rimasta impassibile, il tono professionale  di sempre .

Questo era successo tre giorni prima. Lui aveva semplicemente detto Buona  Pasqua e buonanotte. Sull’autostrada l’aveva seguita  con l’auto fino alla sua uscita, poi l’aveva salutata con un colpo di clacson. Lei  adesso se l’aspettava ogni volta che lavoravano fino a tardi.

“Vuoi un altro caffè?” La domanda la riportò alla realtà del mattino di Pasqua.

“Grazie, basta così. Devo andare ”. Non si mosse. Si sentiva imbarazzata, gli aveva chiesto di vederlo e non sapeva cosa dire. Lo guardò.

“Perché non potevi dormire?”. La voce di lui era gentile, quasi apprensiva.

Non poteva dirlo. Era rimasta stesa nel letto pensando alla sua carnagione scura, al suo corpo lungo e magro. Aveva immaginato come sarebbe stato stringerlo contro il petto, schiudere le sue labbra piene   e scure. Aveva pensato al calore che si sprigionava dal suo sorriso e ai suoi gesti così premurosi.  Aveva  preparato gli gnocchi con la ricetta della madre e li aveva portati sul lavoro per la loro ultima cena insieme. Aveva versato del Rosso Piceno – un rosso perfetto per gnocchi e cime di rapa, aveva detto- nei calici a stelo lungo che si era portato da casa. Avrebbe voluto un Tocai Friulano, un bianco, ma poi, spiegava, avrebbe dovuto metterlo in fresco nel frigorifero della sala pranzo. Avevano mangiato nell’ufficio di lei. Fino a quel momento lei aveva sempre odiato le cime di rapa.

“Vedo che la domenica mattina non sei una gran parlatrice,” disse con un sorriso. “Neanch’io ho potuto dormire, se questo ti può consolare.”

Lei ridacchiò.

“Io penso che lo sappiamo tutti e due perché non abbiamo potuto dormire, vero?” Adesso era serio. Mise la mano sulla sua.

“No. Per favore. No”. Ritirò la mano nel grembo. E’ una cosa veramente stupida, pensò. Avrebbe voluto prendergli la mano. Avrebbe voluto baciarlo.  Solo che non poteva deludere tutti, no?

“Che fai oggi?” chiese lui.

Lei diede un’occhiata intorno alle facce insonnolite che facevano  colazione a metà mattinata. Bagels e philadelphia. Uova, all’occhio di bue. Tanto caffè. Per chiunque altro era una domenica normale, un giorno di riposo.  Nessun altro si era vestito per la Pasqua. Lui era l’unico in giacca e cravatta, e appariva fuori posto. Per gli altri avventori, loro erano una coppia che stava litigando.

Le faceva male guardarlo. Si mise a fissare un punto dentro la tazza vuota. Lui invece la guardava apertamente. In attesa.

“Pranzo a casa con la famiglia. Poi nel pomeriggio andrò a trovare i miei futuri suoceri. Arrivano dei parenti da fuori”. Era a disagio. Tra due mesi si sarebbe sposata. Lui lo sapeva.

“Ah, sì, certo. La Pasqua è per la famiglia”, disse lui.  “Per quelli che ce l’hanno. E per quelli che credono”.  Non doveva spiegargli  l’importanza della famiglia e delle visite ai parenti il giorno di Pasqua . Era stato educato da genitori italiani, come lei. Solo che lui aveva fatto uno sforzo  consapevole per rompere con le tradizioni e le usanze religiose. Viveva per conto suo in un quartiere francofono, e si cucinava da solo.  Cucina italiana, con le ricette di sua madre. Sorrise a quel pensiero.

“Sorridi?  A che pensi?”

“Oh…  pensavo agli gnocchi con le cime di rapa”, disse. “Sei un gran cuoco”.

“Sono contento che ti siano piaciuti”, disse lui. “Posso  rivederti  stasera?”

“Non mi sembra giusto”.

“Ma sei qui, adesso”. Era stato molto paziente. Lei sperava che capisse.

“Sì”.  Lo guardò. I suoi occhi erano scuri e appassionati. Pensò che non poteva più lavorare con lui.

“Se ti va di parlare chiamami”, le disse quando si separarono nel parcheggio. “Sarò a casa”.
Con i suoi non fu molto loquace  durante il pranzo. Le fecero qualche domanda  sul perché era uscita così presto la mattina.

“Dovevo avere delle risposte”, disse.

Più tardi chiamò il fidanzato per dire che non sarebbe andata.


***

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