Per San Valentino, festa degli innamorati,
Molise d'Autore propone un racconto che descrive l'inizio di un
amore. Si tratta di una short story di Licia Canton, autrice italocanadese, e la traduzione è di Gabriella Iacobucci.
Mattino di Pasqua
di Licia Canton
(trad. di Gabriella Iacobucci)
Lei guardò la sua mano, poi quella
di lui. Le punte delle loro dita erano distanti solo pochi millimetri mentre
sedevano l’uno di fronte all’altro nel caffè di periferia. Quasi si toccavano. Quella
di lui era molto più grande . Le unghie della sua erano senza smalto. Guardò
l’anello che portava al dito. Aveva il certificato di garanzia nell’ultimo
cassetto del comò. Luce, colore, taglio, carati… Sapeva tutto, mancava solo il
prezzo.
“No”. Lui avrebbe visto i suoi occhi dire di
sì, se lei lo avesse guardato. Né l’una
né l’altra mano si spostarono.
Si era svegliata molto presto,
quella mattina. Voleva rivederlo. Doveva sapere.
“Possiamo incontrarci per un
caffè?” Si era armata di coraggio e lo aveva chiamato nell’istante in cui si
era svegliata.
“Certo. Dammi solo il tempo di
vestirmi” aveva detto lui senza nascondere la sua gioia. “ All’angolo tra Lacordaire e Bourassa. Ti aspetto lì”.
Dormivano ancora tutti, quando
uscì di casa. Si sentiva a disagio a uscire così presto, senza farsi sentire.
Andò alla messa delle otto nella chiesa della parrocchia italiana lì vicino.
Sapeva che i genitori, le sorelle e il fratello avrebbero trovato da ridire sul
fatto che non andava a messa con loro. Proprio lei che aveva sempre insistito che la famiglia andasse
a messa insieme a Natale e Pasqua.
Almeno due volte all’anno, non era chiedere tanto, aveva detto. A messa facevano
tutti la comunione e poi c’era il pranzo della festa. Dopo, ciascuno era libero
di andarsene dove voleva: a far visita
ai parenti, fuori con gli amici…
Pensò a lui per tutto il tempo.
Era una messa breve, c’erano perlopiù donne
anziane, vecchie immigrate. Donne che dovevano tornare a casa a preparare il
pranzo di Pasqua, donne che quasi mai andavano a messa con la famiglia.
Alle nove e un quarto lui era già
lì, con l’abito grigio scuro, e di nuovo si sentì attratta, come tre giorni
prima.
“Sono contento che tu mi abbia
chiamato”. La baciò sulle guance. “Sono entrato in crisi di astinenza. Settantadue
ore che non ti vedo”.
Il progetto era terminato. Negli ultimi tre mesi avevano lavorato con un ritmo febbrile fino a tardi, fianco a
fianco. Erano stati concentrati e diligenti. Tra loro non era successo niente, ma
qualcosa era cambiato. Era diverso, ora. Come avrebbe fatto a tornare al lavoro martedì?
“Posso darti un bacio?” aveva chiesto
lui piano quando si erano lasciati l’ultima
sera. Era stata colta alla
sprovvista ma non si sorprese.
“No”. Era rimasta impassibile, il tono
professionale di sempre .
Questo era successo tre giorni
prima. Lui aveva semplicemente detto Buona
Pasqua e buonanotte. Sull’autostrada l’aveva seguita con l’auto fino alla sua uscita, poi l’aveva
salutata con un colpo di clacson. Lei adesso se l’aspettava ogni volta che
lavoravano fino a tardi.
“Vuoi un altro caffè?” La domanda
la riportò alla realtà del mattino di Pasqua.
“Grazie, basta così. Devo andare ”.
Non si mosse. Si sentiva imbarazzata, gli aveva chiesto di vederlo e non sapeva
cosa dire. Lo guardò.
“Perché non potevi dormire?”. La
voce di lui era gentile, quasi apprensiva.
Non poteva dirlo. Era rimasta
stesa nel letto pensando alla sua carnagione scura, al suo corpo lungo e magro.
Aveva immaginato come sarebbe stato stringerlo contro il petto, schiudere le
sue labbra piene e scure. Aveva pensato
al calore che si sprigionava dal suo sorriso e ai suoi gesti così premurosi. Aveva
preparato gli gnocchi con la ricetta della madre e li aveva portati sul
lavoro per la loro ultima cena insieme. Aveva versato del Rosso Piceno – un
rosso perfetto per gnocchi e cime di rapa, aveva detto- nei calici a stelo
lungo che si era portato da casa. Avrebbe voluto un Tocai Friulano, un bianco,
ma poi, spiegava, avrebbe dovuto metterlo in fresco nel frigorifero della sala pranzo.
Avevano mangiato nell’ufficio di lei. Fino a quel momento lei aveva sempre odiato
le cime di rapa.
“Vedo che la domenica mattina non
sei una gran parlatrice,” disse con un sorriso. “Neanch’io ho potuto dormire,
se questo ti può consolare.”
Lei ridacchiò.
“Io penso che lo sappiamo tutti e
due perché non abbiamo potuto dormire, vero?” Adesso era serio. Mise la mano
sulla sua.
“No. Per favore. No”. Ritirò la
mano nel grembo. E’ una cosa veramente stupida, pensò. Avrebbe voluto
prendergli la mano. Avrebbe voluto baciarlo.
Solo che non poteva deludere tutti, no?
“Che fai oggi?” chiese lui.
Lei diede un’occhiata intorno
alle facce insonnolite che facevano colazione
a metà mattinata. Bagels e philadelphia. Uova, all’occhio di bue. Tanto caffè.
Per chiunque altro era una domenica normale, un giorno di riposo. Nessun altro si era vestito per la Pasqua.
Lui era l’unico in giacca e cravatta, e appariva fuori posto. Per gli altri
avventori, loro erano una coppia che stava litigando.
Le faceva male guardarlo. Si mise
a fissare un punto dentro la tazza vuota. Lui invece la guardava apertamente.
In attesa.
“Pranzo a casa con la famiglia.
Poi nel pomeriggio andrò a trovare i miei futuri suoceri. Arrivano dei parenti
da fuori”. Era a disagio. Tra due mesi si sarebbe sposata. Lui lo sapeva.
“Ah, sì, certo. La Pasqua è per
la famiglia”, disse lui. “Per quelli che
ce l’hanno. E per quelli che credono”.
Non doveva spiegargli
l’importanza della famiglia e delle visite ai parenti il giorno di
Pasqua . Era stato educato da genitori italiani, come lei. Solo che lui aveva
fatto uno sforzo consapevole per rompere
con le tradizioni e le usanze religiose. Viveva per conto suo in un quartiere
francofono, e si cucinava da solo.
Cucina italiana, con le ricette di sua madre. Sorrise a quel pensiero.
“Sorridi? A che pensi?”
“Oh… pensavo agli gnocchi con le cime di rapa”,
disse. “Sei un gran cuoco”.
“Sono contento che ti siano
piaciuti”, disse lui. “Posso
rivederti stasera?”
“Non mi sembra giusto”.
“Ma sei qui, adesso”. Era stato
molto paziente. Lei sperava che capisse.
“Sì”. Lo guardò. I suoi occhi erano scuri e
appassionati. Pensò che non poteva più lavorare con lui.
“Se ti va di parlare chiamami”,
le disse quando si separarono nel parcheggio. “Sarò a casa”.
Con i suoi non fu molto loquace durante il pranzo. Le fecero qualche
domanda sul perché era uscita così
presto la mattina.
“Dovevo avere delle risposte”, disse.
Più tardi chiamò il fidanzato per
dire che non sarebbe andata.
***
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