Gabriella Iacobucci legge un testo di MLoreta Giannetti |
I cinque studenti premiati con la Presidente della Fondazione Caradonio-Di Blasio Rosa Marcogliese, il Direttore scolastico Antonio Vesce e il Sindaco di Casacalenda Michele Giambarba |
La Fondazione Caradonio-Di Blasio, ha assegnato agli alunni meritevoli di Casacalenda iscritti al primo anno delle secondarie di I e II grado, 5 borse di studio. Una tradizione quasi centenaria che si è potuta mantenere grazie al consistente lascito della nobildonna Donatina Caradonio di Blasio ̶ il cui testamento è stato aperto nel 1917 ̶ e che le autorità di questa cittadina hanno saputo gestire.
Sono intevenuti la Presidente della
Fondazione, Rosa Marcogliese; il Dirigente scolastico Antonio Vesce e il
Sindaco di Casacalenda, Michele Giambarba.
Inoltre, la giornalista Barbara Bertolini ha parlato del suo libro “E qui, almeno, posso parlare – Et ici, au moins, je peux parler?”. Un libro-verità scritto in due lingue che parla dell’emigrazione italiana in Svizzera, dal Medioevo ai giorni nostri, ma che mette anche in luce un aspetto poco conosciuto come quello dell’inserimento nelle classi di ragazzini che non conoscevano la lingua del posto. Infatti, l’autrice ci racconta del collegio-orfanatrofio “Regina Margherita” del Grand-Saconnex, gestito da suore missionarie, dove bambini di tutta Italia approdavano perché la legge svizzera non consentiva loro, per almeno cinque anni, di poter stare con i genitori.
Il libro può essere consultato qui
Alla fine di questa presentazione, per far capire alle giovani generazioni che cosa significava abbandonare tutto per un bambino, è stata letta una testimonianza, molto emozionante, di una bambina partita da Casacalenda nel 1956 per raggiungere con la mamma e la sorellina il padre emigrato in Canada: "L'ultima notte prima della partenza per l'America" che trascriviamo qui:
Maria Loreta Giannetti che ha lasciato questo scritto sul blog di "Altri Tempi" era presente alla manifestazione.
Inoltre, la giornalista Barbara Bertolini ha parlato del suo libro “E qui, almeno, posso parlare – Et ici, au moins, je peux parler?”. Un libro-verità scritto in due lingue che parla dell’emigrazione italiana in Svizzera, dal Medioevo ai giorni nostri, ma che mette anche in luce un aspetto poco conosciuto come quello dell’inserimento nelle classi di ragazzini che non conoscevano la lingua del posto. Infatti, l’autrice ci racconta del collegio-orfanatrofio “Regina Margherita” del Grand-Saconnex, gestito da suore missionarie, dove bambini di tutta Italia approdavano perché la legge svizzera non consentiva loro, per almeno cinque anni, di poter stare con i genitori.
Il libro può essere consultato qui
Alla fine di questa presentazione, per far capire alle giovani generazioni che cosa significava abbandonare tutto per un bambino, è stata letta una testimonianza, molto emozionante, di una bambina partita da Casacalenda nel 1956 per raggiungere con la mamma e la sorellina il padre emigrato in Canada: "L'ultima notte prima della partenza per l'America" che trascriviamo qui:
"Fine dicembre 1956. Fa
freddo in casa. Domani si parte per Napoli dove prenderemo il bastimento per
l’America. Non riconosco più la mia casa. I mobili sono stati venduti. Sono
rimaste solo tre sedie in mezzo alla cucina e le casse recuperate per la
costruzione del presepio.
Il camino acceso che ci riscalda ci fa un po’ di luce con la sua fiamma.
Fuori è buio. Notte senza stelle. Mia madre mi sembra più grande del solito.
Quando cammina per la cucina, la sua ombra arriva fino al soffitto. Ho paura.
Mia sorella dorme su una cassa che gli fa da culla. La casa la chiudiamo
domani.
Stasera si veglia e si aspettano parenti e amici venuti a salutarci.
Arrivano i nonni, arrivano gli zii e zie. Non sanno dove mettersi; mamma offre
le sedie ai piu anziani e le casse ai più giovani. Nessuno ha voglia di
parlare; si piange solamente. Anche il fuoco tace stasera. Fa freddo e buio.
Tutti di nero vestiti, come ad un funerale. Solamente occhi rossi, solo occhi
bagnati da tante lacrime.
La nonna si mette a parlare a bassa voce con mia madre. Forse gli parla di
mio padre, suo figlio che ci aspetta in America. Ma le lacrime di mamma
aumentano sempre più. Mi avvicino e lei mi prende fra le sue braccia. La prima
volta da tanti mesi.
Fuori una fisarmonica si mette a suonare: una canzone triste poi altre due
e niente più. Si sente il passo del musicista che si allontana. Arriva altra
gente, vicinato, amiche di mia madre, comari e compari: cominciano piano piano
grida di dolore.
Grida di mamma straziata da questa partenza e grida di quelli che rimagono.
Grida delle nonne, delle zie, delle comari. Gli uomini tacciono e fissano il
fuoco del camino, la sigaretta in bocca. Non dicono niente. Dopo un po’ se ne
vanno tutti. «Vi accompagniamo domani alla stazione!».
La cucina si è riscaldata; il fuoco rimane fedele: è lui che ci fa
compagnia fino alla fine della notte.
Mia sorella dorme sempre. Mia madre prepara un lettino fatto di casse di
legno del presepio. Ci mette la grossa coperta verde e mi prende fra le braccia
e lì, distese sulla terra di Betlemme, vicino al fuoco, arriva il sonno. Tutto
ormai è buio intorno a noi."
Maria Loreta Giannetti che ha lasciato questo scritto sul blog di "Altri Tempi" era presente alla manifestazione.
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