domenica 14 dicembre 2014

Quest’anno, con la pubblicazione di due volumetti dedicati alla nostra più importante scrittrice, si è nuovamente  parlato di Lina Pietravalle. Ed è con un pezzo su Lina Pietravalle che chiudiamo il 2014.


Gabriella Iacobucciautrice dell’opera insieme a Renato Lalli, ricorda qui  la straordinaria circostanza in cui per la prima volta parlò di Lina Pietravalle alla comunità molisana di Toronto
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Istituto Cultura di Montréal (T. Colantonio, G. Iacobucci, N. Ricci e E. Rossetti dell'Università Mc Gill)

Ventidue anni fa, nel novembre del 1992, si svolse in Canada un’ importante settimana della cultura molisana organizzata dalla Federazione delle Associazioni Molisane dell’Ontario e intitolata Incontri sulla letteratura e la cultura molisana. L’intento era quello di creare una speciale occasione, la prima, di un confronto diretto tra i protagonisti della cultura nord americana e italiana accomunati dalle medesime radici molisane. La Settimana fu una straordinaria esperienza culturale e umana. La delegazione italiana, costituita da un gruppo di rappresentanti di spicco della società molisana tra cui docenti universitari, politici, imprenditori, scrittori, giornalisti, si incontrò con docenti, politici, imprenditori scrittori e giornalisti residenti in Canada e negli Stati Uniti.
Ci accolsero importanti istituzioni canadesi quali le Università di Toronto, York e Hamilton e l’Istituto Italiano di Cultura, parteciparono organi di informazione, reti televisive,  le associazioni. Gli incontri ci permisero di verificare il livello di crescita e di consapevolezza della comunità italiana dell’Ontario e definirono le linee generali di una nuova moderna funzione della cultura molisana, che uscisse dalla ripetitività e dai rischi dell’isolamento e, soprattutto,lo facesse con il coinvolgimento delle nuove generazioni.




Tra i temi proposti a quel convegno, “l’impatto vissuto tra la cultura originaria e i diversi contesti nord americani in cui gli emigrati erano andati a vivere, il contrasto tra la memoria di un Molise mitico e arcaico e il Molise storico e reale, come si trasferiva alle loro opere e alla loro attività l’esperienza delle diverse generazioni di emigranti molisani in Canada e nel Nord America, cosa restava della cultura molisana e del Molise… E infine, “quale Molise proporre  alle nuove generazioni , ai figli dei canadesi di origine molisana”.
Istituto cultura di Montréal, delegazione molisana

Da poco mi ero occupata di Lina Pietravalle, e pensai che nessuno come lei aveva saputo così mirabilmente evocare nei suoi racconti l’immagine di quel Molise mitico e arcaico di cui parlava il programma. Perciò al convegno decisi di portare il ricordo di lei, a quelli della mia generazione che forse l’avevano letta e avrebbero avuto caro il ritrovarla, e a quei giovani molisani del Canada che non la conoscevano né conoscevano il suo Molise barbaro e gentile.


IL MOLISE DI LINA PIETRAVALLE

[…]  ho anch’io lasciato il Molise più di venti anni fa, e tante cose le avevo dimenticate, ma un giorno, invitata a scrivere di un autore molisano per Rai Tre, riscoprii Lina Pietravalle, e lei in cambio mi fece riscoprire il Molise. Quindi a questo  convegno io porto il ricordo della scrittrice che meglio ha saputo raccontarci un Molise arcaico e mitico forse ancora vivo nel ricordo di quelli che sono partiti tanti anni fa e la cui memoria  vogliamo lasciare in eredità ai loro figli affinché non vada dispersa.

Lina Pietravalle, di cui ricorre in questi anni il centenario della nascita, è la scrittrice di origine molisana che negli anni trenta, con i suoi libri di racconti, inserì il Molise nel panorama della letteratura italiana facendolo uscire dal ristretto ambito dei confini regionali. nata da un’antica famiglia di Salcito nel 1890 - il padre fu una personalità di spicco nella storia del Molise - in realtà visse tra Roma e Napoli, e lì cominciò a scrivere novelle per vari quotidiani.  La critica  cominciò a interessarsi a lei, però, soltanto quando uscirono i suoi racconti molisani. Incontrarono molto favore, e la casa ed. Mondadori pubblicò I racconti della terra nel 1924. Seguirono Il fatterello, Storie di paese, il romanzo Le catene e Marcia nuziale  (Bompiani) nel 32.
La scrittrice Lina Pietravalle

Parte della critica degli anni trenta la denigrò o non la capì, alcuni parlarono di ”variopinto folclore”, la definirono dannunziana o verista, quando il suo, invece, è un linguaggio del tutto originale. Bene disse Goffredo Bellonci puntualizzando che la scrittrice aveva sì letto il Verga, la Serao e D’Annunzio, ma era cresciuta in tempi postimpressionisti, i tempi del cubismo e dell’espressionismo. 
I critici più illustri ne intesero l’originalità e la forza di narratrice, sottolinearono lo stile ardito e poetico con cui seppe rappresentare i miti e le figure della sua terra. Le sue infatti sono tutte storie del Molise, di un Molise lontano e ormai dimenticato. Questa donna, che pure visse altrove, vantava un legame appassionato e orgoglioso con questa terra, che era la terra della sua famiglia e dove sempre ritornava.

Descritti con un linguaggio ricco d’immagini ed espressioni prese dalle parlate locali e trasferite lì come preziosi trofei, nelle sue pagine compaiono contadini sapienti, femmine appassionate, pastori primitivi.

I personaggi dei suoi racconti hanno i nomi significativi di Donato, Amicodonato, Fiorangelo; sono nomi fioriti come Miliarosa o, come in una litania, Rosa Diletta, Rosa Amata, e poi Incoronata, Laudata, Custoda…

Questi personaggi dai nomi così importanti sono tutti di paesi come Bagnoli del Trigno, Fossalto, Capracotta, Pietrabbondante, Schiavi, Pescolanciano, o di villaggi piccolissimi e di contrade, e parlano un italiano dialettizzato o il dialetto. Sono personaggi indimenticabili, che hanno, al di là dell’apparente rozzezza, una vita interiore assolutamente sorprendente.

Le donne, in particolar modo, le quali rivelano spesso un’intelligenza istintiva, forza d’animo, una sapienza che non nasce dall’istruzione.
Come la suocera, che la P. descrive in uno dei suoi racconti più belli. Donna mite e decorosa, che non sapeva né leggere né scrivere e si commuoveva fino alle lacrime quando sentiva raccontare le storie d’amore e di vendetta de I reali di Francia e sospirava “chi sa leggere non è povero!”

O la nonna Angiolina, che quando il marito critica il fratello perché spende tutti i suoi averi per far studiare i figli (“perché non gli compra le pecore e li manda in Puglia!”) gli tiene testa arditamente: “Chi può volare voli! il cervello è libero, e chi ha denari conta e chi ha cervello volta!”

Personaggi di donne appassionate, che travolgono gli uomini, ma caste come possono essere soltanto le forze della natura. Donne che anche quando diventano cittadine serbano l’innato pudore della loro razza, come Marion, la quale in uno scompartimento ferroviario è pronta a darsi al compagno di viaggio ma poi lo fa uscire quando deve rammendarsi una calza che le si era sfilata sul ginocchio…

I personaggi maschili sono spesso dei tiranni, come il suocero, sindaco di un paesino dell’alto Molise, descritto come un capo tribù violento ma sentimentale, e persuaso di essere un uomo giusto, che al figlio dice “il padre  è padrone”, e ai paesani e schiavi ricorda “chi è mazza adda vatte”. Un giorno si mise a fabbricare una cappella mortuaria al camposanto, e quando qualcuno, timorosamente, osò dirgli che il suolo era del comune, rispose: “Il comune è mio e se lo voglio ci metto le mine”.

Nel racconto Il  padre, invece, protagonista è il vecchio e decrepito Reginaldo. Tutti speravano da anni che crepasse, parte dei figli erano emigrati in America per sfuggire alla sua legge inflessibile, ma questo despota biblico continuava a vivere e, quando i paesani passavano davanti alla sua casa e gli chiedevano “oi ta’, quanno te mori?”, rispondeva: “L’eia da chiude i’ la casa!” la devo chiudere io la casa. E alla fine del racconto, davanti al corpo del figlio che ha ucciso nell’ira con un colpo di vanga perché  si è ribellato alla sua legge, alla folla che lo assale urlandogli “oi ta’ cane rognoso, quando schiatti?” ripete: “L’eia da chiude i’ la casa.”

Sullo sfondo delle storie della Pietravalle è sempre presente la realtà drammatica dell’emigrazione. La scrittrice racconta un episodio che tra i primi colpì la sua fantasia nella fanciullezza, e che le diede un’idea magica di questa terra. Fu alla stazione di Boiano:

Era il periodo dell’emigrazione in America, e nel Molise partirono in tanti. Fu mentre aspettava il treno che assistette a una scena stupefacente: “… una giovane donna con la mappa chiarita di Boiano che pareva una colomba rigida ad ali spiegate, si avanzava ermetica come una madonna bizantina con gli occhi di cerasa nera frangiati d’impetuose lacrime. Si staccava essa da un gruppo di vecchie e giovani, mute, le mani sul cuore o in capo, in attitudini estatiche di cordoglio , e a poca distanza era la carovana degli uomini, aggrondati, gialli come la disperazione. Mosse rigida incontro al treno, poi vedendolo giungere alzò le braccia e cominciò a gridare con una voce acuta e straziata che pareva tirasse l’aria per i lembi: “ Femmine, eccolo lu mariuolo! femmine, eccolo lu traditore!”  e dal coro intanto partivano le promesse e le querele: “Se possano cecare quest’occhi se io ti scordo! la carne che se ne va, che stracciacore!”

Con grande stupore sentì per la prima volta chiamare i figli e i mariti prezioso, pregiato, amico bene, bene consolato…

Gli uomini che andavano lontano, da parte loro, rimanevano attaccatissimi alle loro origini e alla donna del proprio sangue, l’unica che potesse intenderne il carattere taciturno, timido, fiero. Perciò, anche arricchiti, ritornavano all’aria “gentile”, come chiamavano l’aria del paese natio, per scegliere la femmina, e quando non era possibile, sposando per procura una donna sconosciuta ma che, parlando la lingua materna, li riavvicinava al cuore della patria lontana. La ritornata, che la P. cita nel romanzo Le catene, è appunto un canto di nostalgia e di malattia:

Ti vengo a riverire, ingarofanata,
la ritornata mia ti consaluta.
Ora per ora aio domandato,
dismenticare a voi non ho potuto,
ora per ora un carcere di pene,
e ritornato sono alle catene.

L’America è comunque una specie di leitmotiv: Carliuccio che se ne vuole tornare in America per sfuggire alle reti della passione della suocera. I figli di Reginaldo, che vedono nell’America la libertà dalla soggezione paterna, Diodata, che sfoggia un vestito color aria mandatole dall’America da un suo spasimante. A Tonino il cipollaro, che chiede dove sia la madre che lo ha abbandonato da piccolo, dicono “in America…” . l’America è un altro luogo mitico, reso ancor più mitico dalla lontananza.

Forse avete capito che la tentazione di raccontarvele tutte, queste storie del Molise, di farvi entrare in quel mondo che lei mi ha fatto conoscere, è grande.
Chi di voi ha mai visto la valle del Trigno con i suoi occhi, “piena di vapori all’alba”, e intorno “i paesi, arrampicati e sparsi sui greppi, così belli, nello splendore quieto dell’aria, pensosi e attoniti come saggi che ascoltano il fluir casto dell’ora… e d’intorno, su e giù per le scogliere dei monti, Duronia, Trivento, Pietracupa, Pietrabbondante, Agnone…”

E chi di voi non vorrebbe risentire le voci dei pastori che chiamano le pecore zire’, zire’, sorelle…
Molti di voi avranno mangiato la pigna, a Pasqua, ma non era certo uguale a quella della zia Gioconda, che in onore dello sposo novello ne fece una con quaranta uova e tre chili di mandorle e poi il giorno del sabato santo la trovò con tutte le uova scavate nella polpa e svenne dal dolore, ma non si seppe mai chi  era stato l’artefice dell’infamia…

Ma mi fermo qui. Questo mondo è così affascinante nella prosa della scrittrice che ci sembra quasi un peccato scomporlo per andare a vedere cosa c’è sotto. Verrebbe voglia di non farlo. Non usando i suoi racconti, almeno. Ma in questo convegno ci siamo posti delle domande:
Esiste un contrasto tra la memoria e l’immagine di un Molise mitico e arcaico e il Molise storico e reale?

E’ lo stesso Molise. Ci sono la miseria, l’ignoranza, la sopraffazione, le malattie, tutto quello che spinse molti a emigrare in cerca di una vita migliore. Quello che cambia è il modo di guardarlo. L.P. lo vede con gli occhi del rimpianto, come un’età felice della sua vita, il luogo dove erano nati e vissuti i suoi genitori, dove aveva trascorso la sua fanciullezza. E’ evidente che è colpita dalla bellezza di quel mondo più che dai problemi sociali. Anzi per lei il signore è signore e il contadino è contadino, e va bene così.

Qualunque realtà, anche la più cruda, quando assurge a mito si trasforma. I miti greci  sono in gran parte storie di violenza e di sangue, ma quelle sofferenze non ci coinvolgono più, si sono purificate nel mito.

In questa realtà sociale che abbiamo detto, che è la realtà di un mondo contadino da secoli, la gente ha  una visione religiosa dell’esistenza, legata alla terra: la terra dà il pane, la terra castiga, la terra accoglie nel suo seno misericordioso dopo la morte.

La vita viene vissuta seguendo una filosofia dettata da un’esperienza secolare tradotta e tramandata attraverso i proverbi,  brevi epigrammi con i quali i contadini suggeriscono norme di comportamento antiche. Nelle storie della Pietravalle essi parlano appunto con un linguaggio pieno di allegorie, di motivi sentenziosi e oratori. “L’aratro è cieco, la zappa è femmina guardatora”, “il signore canta ma il cafone schianta”, “tardi venga e pesante”, detto della parola…

In essi si possono rintracciare alcune caratteristiche specifiche di questa società: l’attaccamento ai propri usi e costumi, l’importanza della famiglia e del vicinato, della natura. Il principio dell’autorità collegato con l’età, la diffidenza, la solidarietà, l’autosufficienza familiare tutt’al più spartita con la parentela e con i vicini. Rimangono invece limitate la sfera dell’azione e del cambiamento. L’atteggiamento di abbandono agli elementi delle cose e del tempo qui è antichissima.

Noi che viviamo lontano ci siamo guadagnati – sia pure faticosamente  ̶  il privilegio di aver conosciuto un mondo diverso e di poter fare dei confronti. Nella civiltà urbana, in Italia, i valori della solidarietà, della partecipazione alla vita del gruppo, il sentimento così forte della natura, si sono persi. Nel Molise, forse proprio grazie alla  riluttanza a cambiare e alla lentezza di cui parla la Pietravalle, sopravvivono nel carattere della gente.

Quale Molise quindi proporre oggi alle nuove generazioni, che sono alla ricerca di valori nuovi o alla riscoperta dei vecchi?

Volevamo che esse sapessero.  A loro stabilire se sono ancora validi e fino a che punto.

Settimana della cultura molisana
Toronto, 23-28 novembre 1992
Intervento di Gabriella Iacobucci ©2014

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