Dissonanze e contrasti
di Rita Frattolillo
La
potente produzione artistica – pittorica e incisoria – di Antonio Pettinicchi, classe 1925, per il forte impatto esercitato
sui fruitori ha suscitato sin dagli inizi reazioni appassionate da parte di
pubblico e critica. Il più delle volte
feroce dissenso, oppure semplice sfavore, raramente condivisione. Faceva
“specie” anzitutto che il pittore portasse alla ribalta gli ultimi, la gente
diseredata e misera, ai margini della vita sociale, abbrutita dal lavoro e
segnata dalla fatica; e che lo facesse con un linguaggio espressivo mai visto
prima, distante anni luce dalla rappresentazione consolatoria e rassicurante della
classe borghese a cui aveva assuefatto la pittura accademica e tradizionale. Era tutto troppo:
troppo l’attaccamento viscerale del pittore alla sua terra, alla molisanità, e “troppa” era la maniera in
cui quell’attaccamento si traduceva sulla tela. Fatto sta che la
rappresentazione artistica firmata da Pettinicchi generava un invincibile,
insuperabile e continuo scontro tra l’artista, coerente con se stesso, e il
paludato ambiente locale, sclerotizzato in una visione antistorica
tanto del territorio quanto degli stilemi artistici.
Probabilmente è anche
per questa sorda quanto evidente “dissonanza” che giornalisti, studiosi
dell’arte e critici, negli anni, hanno consumato i classici fiumi di inchiostro
a tentare di capire, di spiegare, di interpretare l’opera pittorica e incisoria
di Pettinicchi lasciando sullo sfondo la storia dell’uomo.
Parallelamente alla crescita del prestigio da lui acquisito in ambito nazionale si sono intanto andati via via moltiplicando i contributi critici e le monografie stilati da nomi di grande richiamo, né sono mancati studi di artisti e intellettuali locali incentrati sull’evoluzione delle arti visive nel Molise dove, immancabilmente, a stagliarsi per il suo rilievo indiscutibile è in ogni caso la figura del Nostro.
Parallelamente alla crescita del prestigio da lui acquisito in ambito nazionale si sono intanto andati via via moltiplicando i contributi critici e le monografie stilati da nomi di grande richiamo, né sono mancati studi di artisti e intellettuali locali incentrati sull’evoluzione delle arti visive nel Molise dove, immancabilmente, a stagliarsi per il suo rilievo indiscutibile è in ogni caso la figura del Nostro.
Ma il focus portato sulla
produzione artistica ha di nuovo, fatalmente, lasciato in ombra – del tutto o in parte – le vicende vissute dall’uomo Pettinicchi. A
colmare questo vuoto arriva ora un lavoro serio e meditato, costato due anni
di ricerche, ben strutturato e ottimamente documentato. Patrocinato dalla Regione, dalla Provincia e
dal Comune di Campobasso, il volume Dissonanze e
contrasti, L’eroica visione di un
pittore contemporaneo (pp.
237, Campobasso, Palladino editore, 40 euro), che si avvale anche della
testimonianza affettuosa del figlio dell’Artista, Paolo, è firmato dalla
giovane studiosa che ha già dato buone prove di sé, Silvia Valente.
Nel suo viaggio a
ritroso nel tempo, l’Autrice ripercorre le tappe fondamentali che hanno
contraddistinto la formazione di Pettinicchi, a cominciare dagli anni fecondi
vissuti presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove il Nostro si diplomò
nel 1950 accogliendo in sé l’esempio dirompente del suo maestro Emilio Notte. Seguendo
il fil rouge della ricostruzione
biografica dell’Artista nell’ottica della
sua crescita artistica, la Valente indaga con strumenti adeguati sui
riferimenti, i modelli e le ascendenze che il maestro di Lucito ha assimilato e
fatto propri, piegandoli alla propria visione del mondo e dell’uomo. Riferimenti,
modelli e ascendenze – dalla picassiana Guernica a Renato Guttuso a Francis Bacon – che l’Autrice analizza con padronanza e misura, dando il
giusto risalto al disorientamento provato dal pittore al suo rientro da Napoli,
quando toccò con mano la complessiva arretratezza culturale della regione. Il
duro impatto di Pettinicchi con l’ambiente locale fa sì che la vicenda umana e
artistica del pittore si intrecci con la storia cultuale, sociale e artistica
dell’intera regione, calata a sua volta nel contesto nazionale. Sono
pagine fondamentali, inscritte a pieno titolo nella Storia
dell’Arte del Molise, quelle in cui Silvia Valente mette a fuoco e passa sistematicamente
in rassegna tutto il travaglio dei “contestatori” e i reiterati tentativi di
rinnovamento, spesso maldestri, portati avanti dai pittori della nuova
generazione.
Nell’affresco ampio e
articolato della seconda metà del secolo scorso dipinto dalla Valente, alla
figura di Pettinicchi – riservato e schivo, dei cui lutti familiari nulla trapela, malgrado il peso e
la ripercussione che hanno indubbiamente avuto nella genesi e nelle dinamiche
della sua opera – si affiancano tutte
quelle personalità, a cominciare da Antonio Cirino con il suo Sottobosco, che a vario titolo hanno cercato
di smuovere le acque nella “provincia addormentata” e refrattaria, tentato di
cambiare le cose, scrivendo la cifra artistica del Molise attuale, da Scarano a Giame a Venditti a Massa a Marotta a Genua a Fratianni a Mastropaolo, per citarne solo alcuni. Nel ritessere la trama degli
ultimi quaranta cinquant’anni, la Valente evidenzia la svolta, nel 1960,
rappresentata dall’istituzione del Premio nazionale Termoli, che finalmente
allinea il Molise all’Italia e all’Europa, anche se certi ambienti nostrani continueranno per un
pezzo ad accettare “con riserva” un artista geniale riconosciuto anche
all’estero, le cui opere sono custodite
in istituzioni prestigiose come il museo Puskin di Mosca, il castello Sforza di
Milano e gli Uffizi di Firenze.
La seconda, corposa sezione del volume è incentrata
sull’itinerario tracciato dalla ricerca di Pettinicchi nella sua narrazione
poetica, e sulla “lettura”, sia in chiave emotiva che critica, dei temi pittorici
e incisori raffigurati dal maestro. La Valente scandaglia con passione e grande
sensibilità molte opere, e analizza puntualmente, tra l’altro, il Ciclo
di Dresda, il Ciclo
di Gustav Malher, i numerosi Autoritratti,
il Ciclo
della Divina Commedia, che corredano iconograficamente questa parte. L’Autrice,
con il dispiego di varie testimonianze e di contributi critici, “legge” le
opere cercando di individuarne organicamente la filosofia che le sottende, una
filosofia che mette al centro della ricerca l’uomo. L’ultima parte del volume
comprende una selezione iconografica del Ciclo
della Divina Commedia e di altre
opere, e si chiude con la rassegna delle Mostre e l’attenta bibliografia. Un
volume, in definitiva, da tenere sullo scaffale della propria libreria.
© Rita Frattolillo
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