Dopo gli incontri di lettura “Natale con Lina Pietravalle” a Ripabottoni, ci è stato inviato questo pezzo:
tesi di laurea
di
Annamaria Mastropietro
Una fortunosa coincidenza mi ha fatto intercettare il 29 dicembre 2011 un servizio del TG regionale. Oggetto: Molise d’autore - Lina Pietravalle. L’incontro ha avuto luogo a Ripabottoni, sponsor l’Associazione culturale “Tito Barbieri”.
Una sinapsi e, voilà, è riaffiorato il ricordo, ormai più che rimosso, di una tesi di laurea.
Mi rivedo, anni ’80, Federico II di Napoli, Dipartimento di Italianistica, accettare l’equazione: molisana d’origine = oggetto di indagine: negletta figlia della sua terra, tale Lina Pietravalle.
Era di moda allora mettersi alla prova, sfidare se stessi, tentare con orgoglio l’autonomia e la “bravura” nella scrittura; perciò mi avventurai nella raccolta di “reperti, fonti e pubblicazioni”che riguardassero quest’autrice minore. Minore, sì, tale doveva essere l’autore o l’argomento dei laureandi in letteratura italiana di trenta anni fa, chiamati, in quasi tutti i dipartimenti di Italianistica del territorio nazionale, a cimentarsi all’ombra del motto: Minore è bello. Era a noi riservato un sottobosco letterario - inedito, ci garantivano - cui potevamo accedere, ma entro il quale era difficile perdersi, quasi una selva oscura nella quale rintracciare la diritta via, in realtà una sorta di appendice della letteratura maior, appannaggio esclusivo degli Ordinari del tempo. Assenti Internet, Google, Biblioteca on line, e-book e quant’altro offre oggi la moderna tecnologia, fu lavoro faticato il mio, e il ricordo che ne conservo è legato non tanto all’artista quanto al percorso compiuto per rintracciarne la visibilità, lavoro fisico oltre che letterario. E poi gli incontri, la scoperta di spazi, oltre che di persone; c’erano momenti in cui la materia, l’oggetto diventavano un mero pretesto, obbedienti com’erano ad un unico comandamento: esperire.
Così la frequentazione quasi quotidiana della Biblioteca Nazionale di Napoli, imponente, monumentale, simile per bellezza a tante biblioteche europee - penso a quella di Heidelberg in Germania; la semplice consultazione del catalogo a schede risultava, in principio, un’impresa; e le visite all’emero-teca, di cui non conoscevo, sino ad allora, l’esistenza: un luogo che conservava, rilegati, i quotidiani d’epoca. Li si doveva sfogliare con grande premura, pena il deterioramento, oltre la multa. E quando finalmente emergeva dalla terza pagina un elzeviro della mia conterranea, non lo si poteva mica fotocopiare! Nessun problema; diventavo amanuense, o piccolo scrivano fiorentino di deamicisiana memoria. E poi Roma, gelida mattinata alla biblioteca del Castro Pretorio. Qui i quotidiani d’epoca potevano essere letti su microfilm. Almeno la schiena e le gambe non ne avrebbero risentito!
L’approdo fu un lavoro esegeticamente ben costruito, coincise con la mia vita, cadute e risurrezioni. Duecentocinquanta cartelle per restituire memoria ad una donna, l’arco della cui esistenza fu compreso tra il 1887 e il 1956, il clima storico e letterario che ne affianca la produzione narrativa il Ventennio, la sostanza del suo mondo, etichettato come molisano, calata in una lontananza senza prospettiva; la natura concepita come una forza misteriosa, dominata dal fato, dall’eterno dualismo vita-morte; uno scenario in cui i personaggi combattono una inutile quanto vana battaglia .
Mai giudizio unanime riscosse dalla critica che dimostrò ammirazione sì, ma contemporaneamente fastidio e stanchezza per la riduzione regionalistica e il legame esclusivo ad una cultura locale. Fu una visione intuitiva e lirica, quella della Pietravalle, che esaltò nelle usanze e nel paesaggio aspetti suggestivi, elementi di magia, di favola, in una parola folklore, espresso in bozzetti di maniera.
E il Molise? Terra di sogno e di riposo da una vita senza dubbio più noiosa, quella del collegio torinese nel quale fu educata, terra di evasione dalla frenesia del capoluogo partenopeo e dei salotti della capitale. A rivelarlo lei stessa: “Molte volte mi sono domandata quale destino mi lega misteriosamente dolce e crudele a questa terra nella quale ho vissuto così poco e alla quale pochissimi vincoli oggi mi legano, …”(Molise, Firenze, Nemi, 1931).
Per conto mio l’eredità del faticato percorso da laureanda si concretizza essenzialmente in due traguardi: acquisizione di metodo per una corretta indagine letteraria e presa di distanza da un modo di concepire la realtà quasi fosse immobile, sempre uguale, quasi ritratta su una tela.
Per un motivo fondamentale: la buona letteratura, come anche la buona poesia e il buon cinema - lo insegniamo ai giovani sulla scorta del suggerimento di Edgar Morin - può risultare utilissima ad orientare la vita di ciascuno di noi, poiché opera la semplificazione della complessità della vita umana, condensandola nell’opera d’arte. I testi letterari possono essere considerati “scuole di vita”, “scuole della scoperta di sé”; l’individuo vi riconosce la propria vita attraverso quella dei personaggi di romanzi, novelle o film. Può scoprirvi la rivelazione di aspirazioni, problemi, può farvi emergere le verità ignorate, nascoste, profonde, informi, che porta in sé.☺
annama.mastropietro@tiscali.it
la fonte febbraio 2012
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