Una biografia di Giuseppe Campolieti ricostruisce la controversa personalità di Ferdinando II di Borbone nel volume «Il re bomba» Mondadori, 2001
Ferdinando II, il Borbone che non voleva «ammuina»
di Ettore Botti
Ferdinando II, il Borbone che non voleva «ammuina» Luigi Settembrini, patriota liberale, pensava tutto il male possibile di Ferdinando II, re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859. Lo accusò di essere «stolto, presuntuoso, avaro, superstizioso» e ha lasciato nei suoi scritti una descrizione ultimativa: «Vero tipo dei Borboni, stupidamente crudeli e superbi, egli è inetto a ogni cosa, vuol fare ogni cosa e la guasta; sdegnoso dei consigli, incapace di farsi un amico, si fa disprezzare anche da quei pochissimi ai quali fa bene». Ma davvero la personalità dell' ultimo importante sovrano napoletano (il suo successore Francesco II, Franceschiello, restò sul trono appena il tempo necessario per perderlo definitivamente) era un coacervo d' infamia e di difetti? E il soprannome di «re bomba», con il quale è passato alla storia per la dura repressione dei moti quarantotteschi, non lascia spazio ad alcuno spiraglio positivo per quanto riguarda la direzione del governo e dell' amministrazione? Giuseppe Campolieti, che dedicò un libro all' altro Ferdinando, nonno di questo, cerca d' indagare sulla cattiva fama del protagonista della nuova biografia e rileva come vi abbia contribuito in maniera pesante il soffio della propaganda, alimentato senza tregua dai nemici giurati, inglesi, e dai nemici interessati, i Savoia, che puntavano a soppiantarlo. In tutta la penisola e fuori si diffusero libelli fiammeggianti, portatori di manipolazioni e falsità costruite «a fin di bene», ossia per aprire il cammino verso libertà e diritti civili. E la storiografia postunitaria ha fatto, notoriamente, il resto. Sulla testa di «re bomba», certo, rimane un peccato a posteriori culturalmente e politicamente mortale: il penultimo dei Borboni di Napoli era un convinto assolutista. Proprio come lo zar suo amico, credeva che tra la repubblica e la monarchia assoluta non ci fosse alcuna via mediana, se non vacanza di potere, confusione di responsabilità e di ruoli, pericolosa «ammuina». Messo alle strette, accettò la Costituzione per opportunismo tattico, non diversamente da altri titolari di corona che però, più tardi, ebbero la sorte d' essere considerati liberali precocemente illuminati. E non v' è dubbio che soffocò nel sangue i tentativi di sollevazione, in particolare con il lungo bombardamento di Messina, ma in base alle statistiche riferite da Campolieti le esecuzioni decretate nello stesso periodo, tra l' indifferenza internazionale, a Torino e nel Lombardo Veneto erano più numerose di quelle che attirarono sulle Due Sicilie l' anatema delle potenze e dell' intellettualità. Ferdinando II fece cannoneggiare i rivoltosi siciliani per ragion di Stato, perché l' indipendenza e l' integrità del regno erano punti per lui indiscutibili, tuttavia la sua indole non era violenta né crudele. Così come non era un uomo avido o un maniaco dello sfarzo e dell' etichetta, secondo i canoni classici dei despoti. Per l' autore di questo nuovo capitolo di revisione, reso vivo e brillante dallo scenario napoletano, il Borbone più vituperato amava, anzi, profondamente i sudditi e sentiva il problema delle loro condizioni come la più importante e sincera aspirazione sua personale. Colmò il debito pubblico, ridusse più volte tasse e gabelle, s' adoperò per la modernizzazione, di cui il famoso primo treno Napoli-Portici non fu che un esempio clamoroso. Ferdinando II regnante, l' aratro, il telaio e l' incudine, come si diceva allora, rimasero quasi sempre in fervente attività. L' economia, insomma, come si direbbe oggi, tirava. Lo sviluppo, sia pur imperfetto, andava avanti. E non si può dire, purtroppo, che il secolo e mezzo quasi interamente trascorso sia riuscito fino ad oggi a renderlo perfetto.
(8 luglio 2001) - Corriere della Sera