venerdì 22 marzo 2024

A PIETRO CORSI

 





Di Gabriella Iacobucci


Sette anni fa, il 7 marzo 2017, moriva a Los Angeles il geniale scrittore di Casacalenda Pietro Corsi. Una di quelle persone che lasciano un segno in quelli che l’hanno conosciuto e la cui perdita lascia un rimpianto che cresce nel tempo, man mano che  la consapevolezza del loro valore si fa più chiara nella mente.

Prima che la posta elettronica prendesse il sopravvento, mi scriveva ogni tanto delle lettere battute a macchina. Per dirmi dei suoi programmi, dei libri che stava scrivendo, dei personaggi che voleva raccontare, o anche di vicende familiari. Alcune di queste lettere le ho donate alla Biblioteca Caradonio Di Blasio di Casacalenda, insieme a manoscritti e libri di Pietro, nella speranza che contribuiscano alla formazione di un fondo a suo nome. Ce n'è una però che ho conservata, una lettera datata 1 febbraio 1994.



                                                                                ***

Il 17 gennaio 1994 un terremoto colpisce Los Angeles, mentre Pietro Corsi e sua moglie Elsa sono in viaggio per il Messico. Ma a Los Angeles c’è la loro casa, e vive il figlio Giancarlo.  Questa lettera, che Pietro Corsi scrisse agli amici italiani pochi giorni dopo, è un resoconto vivo e drammatico dei fatti accaduti quella notte, in cui riconosciamo a tratti  il tono lieve e disincantato del narratore.  

                                                                       

 Reseda, California, 1 febbraio, 1994

Ai nostri amici italiani, che si chiedono se i “Corsi” sono ancora vivi dopo il terremoto che ha minacciato di distruggere Los Angeles

 

Vi ricordate quando si diceva che la California è l’unico stato, di questo immenso paese, che non ha le quattro stagioni perché è sempre tra primavera ed estate? Ebbene, gli ultimi avvenimenti confermano il contrario. Le quattro stagioni ora ci sono. Solo che si chiamano: “diluvi”, “fuochi”, “rivolte popolari”, “terremoti”.

La notte del terremoto che ha scosso la California cambiando, forse per sempre, la vita di centinaia di migliaia di persone, io ed Elsa eravamo tranquillamente accampati in un albergo di Ciudad Obregon, un’oasi nel deserto di Sonora, quasi ai confini con quello di Sinaloa. L’indomani mattina avremmo ripreso l’autostrada e, passata la linea della demarcazione tropicale a poche decine di chilometri da Mazatlan, saremmo arrivati alla nostra destinazione finale.

Eravamo dunque in albergo. Mentre Elsa metteva le ultime cose in macchina, ho acceso la televisione per vedere e sentire le notizie. Continuava ad incuriosirmi, a preoccuparmi forse, la ribellione zapatista nello stato di Chiapas della quale certamente anche voi avrete sentito parlare. Assieme a Giose Rimanelli e ad un mio amico studente di medicina di Città del Messico, avevo visitato quella zona nel 1961. Già allora era evidente che quella gente non avrebbe potuto continuare a vivere in quelle condizioni, e mi chiedevo perché mai avessero aspettato tanto.

Accesi dunque la televisione, verso le otto del mattino, e con mia grande sorpresa la stazione CNN (notizie ultima ora che ha invaso le case di tutto il mondo) non era più interessata ai guerriglieri del Chiapas. Un cronista gridava: “Terremoto in California – Sharman Oaks distrutta – Los Angeles paralizzata”!

Non potete immaginare la mia costernazione ed il panico di mia moglie: a Sherman Oaks c’era nostro figlio Giancarlo e, con lui, tutto ciò che avevamo accumulato durante trentun anni di vita coniugale! Ci siamo attaccati al telefono con disperazione, ma anche con qualche speranza che voleva farsi strada nel cuore. Le linee però non entravano: non con Giancarlo, che viveva nel nostro appartamento di Sherman Oaks; non con Giampiero che pur vive all’altro estremo della città; non con Elly, la sorella di Elsa, che vive in un’altra contea; e neanche con un nipote di Elsa che vive molto più lontano, sotto le montagne di San Bernardino da dove si prende una svolta per andare a Las Vegas.

Dopo molti disperati tentativi siamo riusciti a metterci in contatto con una nipote di Elsa a Guadalajara, con la speranza che avesse sentito qualcosa da suo fratello, quello cioè che vive sotto le montagne di San Bernardino. Nelle prime ore del mattino aveva, infatti, ricevuto una telefonata da suo fratello; che aveva avuto notizie dalla sorella di Elsa; che a sua volta aveva parlato con Giampiero; che a sua volta aveva ricevuto una telefonata da Giancarlo. Una lunga catena che si ricollegava finalmente a noi nel deserto di Sonora, per rassicurarci che Giancarlo ed ognuno degli altri membri della nostra famiglia californiana stavano bene. Si avevano solo vaghe notizie per quanto riguarda ogni altra cosa: il nostro appartamento e la casa, per esempio.

Mentre io restavo inchiodato alla televisione, Elsa cominciò a fare qualche telefonata per vedere se era possibile prendere un aereo e tornare a Los Angeles. Ma nel cuore del deserto messicano non ci sono ancora aerei in arrivo o in partenza. Ed anche qualora ce ne fossero stati, non sarebbero stati di molta utilità: dopo un po’ infatti il solito cronista della CNN informava che l’aeroporto di Los Angeles era chiuso!

Essendo più vicini a Mazatlan che a Los Angeles, ci siamo messi in cammino per quella destinazione con la speranza che da lì avremmo potuto prendere un aereo l’indomani se non per l’aeroporto di Los Angeles, per uno circonvicino.  Al nostro arrivo, otto ore dopo, ci siamo attaccati nuovamente al telefono cercando una linea qualsiasi per Los Angeles. Niente: un servizio automatico pregava di non telefonare, tanto nessuna linea avrebbe potuto entrare.

Ore dopo, già a tarda sera, abbiamo ricevuto una telefonata da Giampiero. Giancarlo era a casa sua e stava bene, ma l’appartamento aveva subito danni molto seri per cui avevano provveduto a rimuovere quel che restava del contenuto (i mobili, anche se danneggiati). Della casa in affitto ad altri, nessuna notizia: perché neanche le linee telefoniche locali riuscivano a raggiungere Sherman Oaks.

L’indomani mattina, mentre cercavamo nuovamente di telefonare a Giampiero per avere ultime notizie, mi telefona invece mio fratello Tittillo da Montreal: era riuscito a mettersi in contatto con Giampiero, dopo ore di tentativi e con l’assistenza di una operatrice telefonica, e mi confermava che Giancarlo stava bene; l’appartamento era nelle mani del Signore; la casa aveva ricevuto danni superficiali. Decidemmo di metterci sulla strada del ritorno: rifare in macchina i duemila chilometri che ci separavano dalla California, pronti a raccogliere la polvere di ciò che restava.

Tre giorni dopo, a tarda sera, siamo arrivati a casa della sorella di Elsa, alla periferia di Los Angeles, ove ci aspettava anche Giancarlo. Lo abbiamo riabbracciato come se non lo avessimo visto da anni, o come un regalo che ci veniva dal cielo perché, avendo visto le immagini televisive e pur avendo successivamente parlato con lui, non eravamo del tutto certi che se l’era cavata senza un graffio.

L’indomani siamo andati ad esplorare ciò che restava di quella che era stata la nostra nuova dimora. Man mano che ci avvicinavamo a Sherman Oaks, dall’alto dell’autostrada si vedevano edifici caduti o cadenti, tetti scoperchiati, ciminiere che si erano staccate dal resto della casa e giacevano a terra, un mucchio di macerie, e muri di cinta anch’essi ridotti in macerie. Questo triste spettacolo, nel quale dominava il silenzio e la solitudine, avrebbe dovuto prepararci per quello che si sarebbe presentato ai nostri occhi una volta arrivati all’appartamento.

Non fu così. Al nostro arrivo ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo molto più triste, ma indescrivibile: uno spettacolo la cui immagine si è immediatamente pietrificata ai margini del cuore.  È ancora lì; se ne stacca e va via di giorno, mentre siamo occupati nel tentativo di ridare un nuovo senso a questa nostra vita dissestata, ma inesorabilmente si insinua nei labirinti dei sogni per ricordarci della nostra fragilità.

Giancarlo ne è davvero venuto fuori senza un graffio, ed è l’unica cosa che ci consola. Dopo essere stato bruscamente svegliato da uno scossone che lo ha scaraventato più volte contro la parete alle spalle del letto, è andato a proteggersi sotto una porta. Con le mani, con le gambe, e facendosi leva con le spalle, è riuscito a resistere alle mille forze che lo tiravano, lo spingevano, lo buttavano in aria, lo facevano stramazzare di nuovo a terra. Quaranta secondi di scosse: le prime con moto orizzontale, le altre con moto verticale, ed ognuna di esse molto prepotente. Quaranta secondi, che gli sono sembrati un’eternità.

Dopo aver brancolato nel buio in cerca di una lampada elettrica, si è ricordato che il ripostiglio usuale della stessa era il frigorifero. Si è incamminato in quella direzione per prenderla. Ha trovato il cammino prima sbarrato da mobili rovesciati, poi minato da vetri frantumati, ceramiche e porcellane in mille pezzettini, ogni tipo di rottame immaginabile che lui però non poteva vedere: riusciva solo a sentirlo, nel buio e con dolore, sotto i piedi scalzi.

Il suo primo istinto è stato quello di chiamare suo fratello: l’unica telefonata che sarebbe riuscito a fare; poi le linee si sono rifiutate di dare segni di vita. La sua Toyota non era in garage ma sulla strada, per cui riuscì a raggiungerla senza troppe difficoltà. Si mise in cammino per recarsi da suo fratello, ove le forze del terremoto erano state leggere e non avevano procurato danni. Per sua fortuna, ma a sua insaputa, l’autostrada che avrebbe preso non era stata danneggiata come le altre, e non gli fu difficile raggiungere la sua destinazione. Da lì, diede inizio ai preparativi di evacuazione di ogni nostra appartenenza ancora salvabile, cosa che completarono nel corso della giornata.

Io ed Elsa pensavamo di aver già sistemato le nostre tre residenze stagionali, e che da quest’anno la nostra vita sarebbe stata più facile. Abbiamo dovuto fare un passo indietro. Mentre prima era Giancarlo che viveva con noi, ora siamo noi che ci siamo sistemati in una casetta che lui aveva appena acquistato. Resteremo con lui per lo meno un paio di anni, mentre gli ispettori della città decidono quale sarà il destino dell’edificio condominiale, i costruttori decidono quali saranno i costi per le riparazioni strutturali e per ognuno degli appartamenti, ed il governo avvisa se ha soldi da prestare, ed a quali condizioni!...

Il Messico, per ora, è una cosa lontana, molto lontana. I ribelli del Chiapas si sono ritirati, dopo promesse di risarcimenti che certamente non saranno mantenute; altri gruppi di aborigeni hanno cominciato a fare dimostrazioni pacifiche in altri posti di quel grande paese; ed il Presidente della Repubblica messicana, Carlos Salinas de Gortari, sta cercando ancora di capire perché mai un gruppo di miserables indios ha preso la decisione di rovinargli i suoi piani e la sua reputazione, a solo un anno dalla scadenza del suo mandato!

C’è ancora tanta polvere sulle nostre teste; ogni giorno ce ne cade addosso un po’ di più e noi a raccoglierla, con santa pazienza. Speriamo soltanto di sbrigarcela quanto prima. Se non ci sorride, per ora, la primavera, che ci sorrida almeno l’estate quando pensiamo di rientrare in Italia!

Con un saluto ed un abbraccio:

                                                                                                             Pietro &Elsa Corsi

6213 White Oak Ave.

Reseda, Calif. 01335

Foto di Gabriella Iacobucci. Tutti i diritti riservati 2024

9 commenti:

  1. Alcune lunghe lettere sono prolisse, ripetitive, noiose, ma in questa - bellissima - Pietro mostra la sua intelligenza e le sue doti di scrittore: racconta la vicenda, descrive i sentimenti dei protagonisti, mantenendo desto l'interesse del lettore, che alla fine - come è accaduto a me - vorrebbe conoscere altri particolari. Terminata la lettura, ho tirato fuori il "dossier" Pietro, l'ho sfogliato a lungo, e mi sono commosso leggendo le parole da lui scritte sul frontespizio della mia copia di L'ODORE DEL MARE che gli chiesi di firmare in casa mia, a Trieste, il giorno 7.6.08. Grazie Gabriella!

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    1. IVAN Lagana', comandante di marina, seppe dello scrittore Pietro Corsi quando uscì il libro L'odore del Mare. Accompagnai Pietro a Trieste poco dopo, voleva rivedere i suoi vecchi compagni di navigazione, e lì incontrammo il mio amico Ivan e sua moglie Anita. La simpatia tra loro fu immediata, il mare fu il primo legame.
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  2. Grazie Gabriella di farci conoscere questo lato di Pietro, quello dei suoi scritti personali. Questa lettera ci fa vedere un po’ ,secondo me, il carattere calmo di Pietro davanti a una tragedia. E quella calma si ritrova in molti suoi romanzi..

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  3. Antonio Giannandrea25 marzo 2024 alle ore 19:31

    La descrizione della notizia tragica del terremoto e degli effetti coinvolgenti nella vita di Pietro e della sua famiglia, sia pure in una semplice lettera scritta a macchina, rivelano le doti di fine scrittore e prefigurano il format di un possibile set cinematografico.

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  4. Vincenza Pede . Ho letto tutto di un fiato questa lettera così dettagliata ma mai noiosa , pur non conoscendo affatto questa famiglia tutto si è delineato con chiarezza , l'accaduto drammatico e soprattutto la reazione razionale e pacata dell'autore , che pur se profondamente colpito dagli eventi non si è fatto travolgere da essi, molto belli , quasi poetici alcuni passaggi sugli effetti delle scosse , sulla rovina dei fabbricati, sulla fragilità estrema della condizione umana in definitiva. Grazie Gabriella per aver condiviso questo testo che merita davvero di essere letto e riletto.

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  5. Angela: E' stato commovente leggere questa lettera. Ha fatto capire in modo sia emotivo che razionale il trauma che deve aver vissuto dopo aver appreso la notizia del terremoto. Grazie per averci dato la possibilita' di leggere anche noi questa lettera personale.

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  6. In questa lunga lettera Pietro Corsi descrive la tragica esperienza del terremoto di Los Angeles, vissuta dai suoi cari mentre lui si trovava in Messico. La descrizione dei fatti è analitica e pacata, come se attraverso la narrazione lo scrittore ampliasse la propria coscienza per vedere con chiarezza in se stesso e nella realtà che lo circonda.
    Nei momenti difficili la scrittura per chi la pratica è un mezzo potente per esplorare il mondo esteriore ed interiore, per capire e cogliere ciò che c'è e come è. Scrivendo infatti l'esperienza viene rappresentata e ristrutturata, ed è questo che ho sentito con chiarezza leggendo lo scritto di Corsi. La lettera lunga ma avvincente comunica da un lato la precarietà della vita di tutti noi in un mondo in cui possono verificarsi improvvisamente fenomeni di gigantesche trasformazioni, dall'altro emerge la forza dell'umana resilienza, capacità che la gente molisana ha dimostrato di possedere quando con tenacia ha ricominciato a ricostruire sulle rovine per ritornare a vivere.
    Grazie Gabriella per aver reso pubblica una lettera privata tanto bella e ricca di spunti di riflessione.

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  7. Ci scopriamo fragili ed inermi di fronte a disastri naturali inattesi e non prevedibili. La terra trema sotto i piedi, manca il fiato, il cuore in subbuglio, il desiderio di farcela. Corsi racconta in una lunga, intensa ed avvincente missiva l’esperienza vissuta nell’inverno del 1994, quando un terremoto scosse Los Angeles. Lui con la consorte lontani da casa e distanti dal figlio, che invece quel disastro lo visse sulla propria pelle. Una scossa tellurica che scompiglia i piani, ridisegna il futuro, costringe a percorrere itinerari altri. Con la gratitudine per lo scampato pericolo, e la speranza di riuscire a seguire il nuovo percorso. Il raffinato scrittore afferra per mano il lettore trascinandolo nel cuore del racconto, rendendolo protagonista degli eventi. E’ come vivere in prima persona e in un crescendo emotivo, la sua esperienza. Originario di Casacalenda, l’autore del romanzo “La giobba” riafferma anche in questo scritto l’eleganza della sua penna feconda.

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