Di Gabriella Iacobucci
Sette anni fa, il 7 marzo 2017, moriva a Los Angeles il geniale scrittore di Casacalenda Pietro Corsi. Una di quelle persone che lasciano un segno in quelli che l’hanno conosciuto e la cui perdita lascia un rimpianto che cresce nel tempo, man mano che la consapevolezza del loro valore si fa più chiara nella mente.
Prima che la posta elettronica prendesse il sopravvento, mi scriveva ogni tanto delle lettere battute a macchina. Per dirmi dei suoi programmi, dei libri che stava scrivendo, dei personaggi che voleva raccontare, o anche di vicende familiari. Alcune di queste lettere le ho donate alla Biblioteca Caradonio Di Blasio di Casacalenda, insieme a manoscritti e libri di Pietro, nella speranza che contribuiscano alla formazione di un fondo a suo nome. Ce n'è una però che ho conservata, una lettera datata 1 febbraio 1994.
***
Il 17 gennaio 1994 un terremoto colpisce Los Angeles, mentre Pietro Corsi e sua moglie Elsa sono in viaggio per il Messico. Ma a Los Angeles c’è la loro casa, e vive il figlio Giancarlo. Questa lettera, che Pietro Corsi scrisse agli amici italiani pochi giorni dopo, è un resoconto vivo e drammatico dei fatti accaduti quella notte, in cui riconosciamo a tratti il tono lieve e disincantato del narratore.
Ai nostri amici italiani, che si
chiedono se i “Corsi” sono ancora vivi dopo il terremoto che ha minacciato di
distruggere Los Angeles
Vi ricordate quando si diceva che
la California è l’unico stato, di questo immenso paese, che non ha le quattro
stagioni perché è sempre tra primavera ed estate? Ebbene, gli ultimi
avvenimenti confermano il contrario. Le quattro stagioni ora ci sono. Solo che
si chiamano: “diluvi”, “fuochi”, “rivolte popolari”, “terremoti”.
La notte del terremoto che ha
scosso la California cambiando, forse per sempre, la vita di centinaia
di migliaia di persone, io ed Elsa eravamo tranquillamente accampati in
un albergo di Ciudad Obregon, un’oasi nel deserto di Sonora, quasi ai
confini con quello di Sinaloa. L’indomani mattina avremmo ripreso l’autostrada
e, passata la linea della demarcazione tropicale a poche decine di chilometri
da Mazatlan, saremmo arrivati alla nostra destinazione finale.
Eravamo dunque in albergo. Mentre
Elsa metteva le ultime cose in macchina, ho acceso la televisione per vedere e
sentire le notizie. Continuava ad incuriosirmi, a preoccuparmi forse, la
ribellione zapatista nello stato di Chiapas della quale certamente anche voi
avrete sentito parlare. Assieme a Giose Rimanelli e ad un mio amico
studente di medicina di Città del Messico, avevo visitato quella zona nel 1961.
Già allora era evidente che quella gente non avrebbe potuto continuare a vivere
in quelle condizioni, e mi chiedevo perché mai avessero aspettato tanto.
Accesi dunque la televisione,
verso le otto del mattino, e con mia grande sorpresa la stazione CNN (notizie
ultima ora che ha invaso le case di tutto il mondo) non era più interessata ai
guerriglieri del Chiapas. Un cronista gridava: “Terremoto in California –
Sharman Oaks distrutta – Los Angeles paralizzata”!
Non potete immaginare la mia
costernazione ed il panico di mia moglie: a Sherman Oaks c’era nostro figlio Giancarlo
e, con lui, tutto ciò che avevamo accumulato durante trentun anni di vita
coniugale! Ci siamo attaccati al telefono con disperazione, ma anche con
qualche speranza che voleva farsi strada nel cuore. Le linee però non
entravano: non con Giancarlo, che viveva nel nostro appartamento di Sherman
Oaks; non con Giampiero che pur vive all’altro estremo della città;
non con Elly, la sorella di Elsa, che vive in un’altra contea; e neanche
con un nipote di Elsa che vive molto più lontano, sotto le montagne di San
Bernardino da dove si prende una svolta per andare a Las Vegas.
Dopo molti disperati tentativi
siamo riusciti a metterci in contatto con una nipote di Elsa a Guadalajara,
con la speranza che avesse sentito qualcosa da suo fratello, quello cioè che
vive sotto le montagne di San Bernardino. Nelle prime ore del mattino aveva,
infatti, ricevuto una telefonata da suo fratello; che aveva avuto notizie dalla
sorella di Elsa; che a sua volta aveva parlato con Giampiero; che a sua volta
aveva ricevuto una telefonata da Giancarlo. Una lunga catena che si ricollegava
finalmente a noi nel deserto di Sonora, per rassicurarci che Giancarlo ed
ognuno degli altri membri della nostra famiglia californiana stavano bene. Si
avevano solo vaghe notizie per quanto riguarda ogni altra cosa: il nostro
appartamento e la casa, per esempio.
Mentre io restavo inchiodato alla
televisione, Elsa cominciò a fare qualche telefonata per vedere se era
possibile prendere un aereo e tornare a Los Angeles. Ma nel cuore del deserto
messicano non ci sono ancora aerei in arrivo o in partenza. Ed anche qualora ce
ne fossero stati, non sarebbero stati di molta utilità: dopo un po’ infatti il
solito cronista della CNN informava che l’aeroporto di Los Angeles era chiuso!
Essendo più vicini a Mazatlan
che a Los Angeles, ci siamo messi in cammino per quella destinazione con la
speranza che da lì avremmo potuto prendere un aereo l’indomani se non per
l’aeroporto di Los Angeles, per uno circonvicino. Al nostro arrivo, otto ore dopo, ci siamo
attaccati nuovamente al telefono cercando una linea qualsiasi per Los Angeles.
Niente: un servizio automatico pregava di non telefonare, tanto nessuna linea
avrebbe potuto entrare.
Ore dopo, già a tarda sera,
abbiamo ricevuto una telefonata da Giampiero. Giancarlo era a casa sua e stava
bene, ma l’appartamento aveva subito danni molto seri per cui avevano
provveduto a rimuovere quel che restava del contenuto (i mobili, anche se
danneggiati). Della casa in affitto ad altri, nessuna notizia: perché neanche
le linee telefoniche locali riuscivano a raggiungere Sherman Oaks.
L’indomani mattina, mentre
cercavamo nuovamente di telefonare a Giampiero per avere ultime notizie, mi
telefona invece mio fratello Tittillo da Montreal: era riuscito a
mettersi in contatto con Giampiero, dopo ore di tentativi e con l’assistenza di
una operatrice telefonica, e mi confermava che Giancarlo stava bene;
l’appartamento era nelle mani del Signore; la casa aveva ricevuto danni
superficiali. Decidemmo di metterci sulla strada del ritorno: rifare in
macchina i duemila chilometri che ci separavano dalla California, pronti a
raccogliere la polvere di ciò che restava.
Tre giorni dopo, a tarda sera,
siamo arrivati a casa della sorella di Elsa, alla periferia di Los Angeles, ove
ci aspettava anche Giancarlo. Lo abbiamo riabbracciato come se non lo avessimo
visto da anni, o come un regalo che ci veniva dal cielo perché, avendo visto le
immagini televisive e pur avendo successivamente parlato con lui, non eravamo
del tutto certi che se l’era cavata senza un graffio.
L’indomani siamo andati ad
esplorare ciò che restava di quella che era stata la nostra nuova dimora. Man
mano che ci avvicinavamo a Sherman Oaks, dall’alto dell’autostrada si vedevano
edifici caduti o cadenti, tetti scoperchiati, ciminiere che si erano staccate
dal resto della casa e giacevano a terra, un mucchio di macerie, e muri di
cinta anch’essi ridotti in macerie. Questo triste spettacolo, nel quale
dominava il silenzio e la solitudine, avrebbe dovuto prepararci per quello che
si sarebbe presentato ai nostri occhi una volta arrivati all’appartamento.
Non fu così. Al nostro arrivo ci
siamo trovati di fronte ad uno spettacolo molto più triste, ma indescrivibile:
uno spettacolo la cui immagine si è immediatamente pietrificata ai margini del
cuore. È ancora lì; se ne stacca e va
via di giorno, mentre siamo occupati nel tentativo di ridare un nuovo senso a
questa nostra vita dissestata, ma inesorabilmente si insinua nei labirinti dei
sogni per ricordarci della nostra fragilità.
Giancarlo ne è davvero venuto
fuori senza un graffio, ed è l’unica cosa che ci consola. Dopo essere stato
bruscamente svegliato da uno scossone che lo ha scaraventato più volte contro
la parete alle spalle del letto, è andato a proteggersi sotto una porta. Con le
mani, con le gambe, e facendosi leva con le spalle, è riuscito a resistere alle
mille forze che lo tiravano, lo spingevano, lo buttavano in aria, lo facevano
stramazzare di nuovo a terra. Quaranta secondi di scosse: le prime con moto
orizzontale, le altre con moto verticale, ed ognuna di esse molto prepotente.
Quaranta secondi, che gli sono sembrati un’eternità.
Dopo aver brancolato nel buio in
cerca di una lampada elettrica, si è ricordato che il ripostiglio usuale della
stessa era il frigorifero. Si è incamminato in quella direzione per prenderla.
Ha trovato il cammino prima sbarrato da mobili rovesciati, poi minato da vetri
frantumati, ceramiche e porcellane in mille pezzettini, ogni tipo di rottame
immaginabile che lui però non poteva vedere: riusciva solo a sentirlo, nel buio
e con dolore, sotto i piedi scalzi.
Il suo primo istinto è stato quello
di chiamare suo fratello: l’unica telefonata che sarebbe riuscito a fare; poi
le linee si sono rifiutate di dare segni di vita. La sua Toyota non era in
garage ma sulla strada, per cui riuscì a raggiungerla senza troppe difficoltà.
Si mise in cammino per recarsi da suo fratello, ove le forze del terremoto
erano state leggere e non avevano procurato danni. Per sua fortuna, ma a sua
insaputa, l’autostrada che avrebbe preso non era stata danneggiata come le
altre, e non gli fu difficile raggiungere la sua destinazione. Da lì, diede
inizio ai preparativi di evacuazione di ogni nostra appartenenza ancora
salvabile, cosa che completarono nel corso della giornata.
Io ed Elsa pensavamo di aver già
sistemato le nostre tre residenze stagionali, e che da quest’anno la nostra
vita sarebbe stata più facile. Abbiamo dovuto fare un passo indietro. Mentre
prima era Giancarlo che viveva con noi, ora siamo noi che ci siamo sistemati in
una casetta che lui aveva appena acquistato. Resteremo con lui per lo meno un
paio di anni, mentre gli ispettori della città decidono quale sarà il destino
dell’edificio condominiale, i costruttori decidono quali saranno i costi per le
riparazioni strutturali e per ognuno degli appartamenti, ed il governo avvisa
se ha soldi da prestare, ed a quali condizioni!...
Il Messico, per ora, è una cosa
lontana, molto lontana. I ribelli del Chiapas si sono ritirati, dopo promesse
di risarcimenti che certamente non saranno mantenute; altri gruppi di aborigeni
hanno cominciato a fare dimostrazioni pacifiche in altri posti di quel grande
paese; ed il Presidente della Repubblica messicana, Carlos Salinas de Gortari,
sta cercando ancora di capire perché mai un gruppo di miserables indios
ha preso la decisione di rovinargli i suoi piani e la sua reputazione, a solo
un anno dalla scadenza del suo mandato!
C’è ancora tanta polvere sulle
nostre teste; ogni giorno ce ne cade addosso un po’ di più e noi a
raccoglierla, con santa pazienza. Speriamo soltanto di sbrigarcela quanto
prima. Se non ci sorride, per ora, la primavera, che ci sorrida almeno l’estate
quando pensiamo di rientrare in Italia!
Con un saluto ed un abbraccio:
Pietro &Elsa Corsi
6213 White Oak Ave.
Reseda, Calif. 01335
Foto di Gabriella Iacobucci. Tutti i diritti riservati 2024
Alcune lunghe lettere sono prolisse, ripetitive, noiose, ma in questa - bellissima - Pietro mostra la sua intelligenza e le sue doti di scrittore: racconta la vicenda, descrive i sentimenti dei protagonisti, mantenendo desto l'interesse del lettore, che alla fine - come è accaduto a me - vorrebbe conoscere altri particolari. Terminata la lettura, ho tirato fuori il "dossier" Pietro, l'ho sfogliato a lungo, e mi sono commosso leggendo le parole da lui scritte sul frontespizio della mia copia di L'ODORE DEL MARE che gli chiesi di firmare in casa mia, a Trieste, il giorno 7.6.08. Grazie Gabriella!
RispondiEliminaIVAN Lagana', comandante di marina, seppe dello scrittore Pietro Corsi quando uscì il libro L'odore del Mare. Accompagnai Pietro a Trieste poco dopo, voleva rivedere i suoi vecchi compagni di navigazione, e lì incontrammo il mio amico Ivan e sua moglie Anita. La simpatia tra loro fu immediata, il mare fu il primo legame.
Elimina.
Grazie Gabriella di farci conoscere questo lato di Pietro, quello dei suoi scritti personali. Questa lettera ci fa vedere un po’ ,secondo me, il carattere calmo di Pietro davanti a una tragedia. E quella calma si ritrova in molti suoi romanzi..
RispondiEliminaVerissimo.
EliminaLa descrizione della notizia tragica del terremoto e degli effetti coinvolgenti nella vita di Pietro e della sua famiglia, sia pure in una semplice lettera scritta a macchina, rivelano le doti di fine scrittore e prefigurano il format di un possibile set cinematografico.
RispondiEliminaVincenza Pede . Ho letto tutto di un fiato questa lettera così dettagliata ma mai noiosa , pur non conoscendo affatto questa famiglia tutto si è delineato con chiarezza , l'accaduto drammatico e soprattutto la reazione razionale e pacata dell'autore , che pur se profondamente colpito dagli eventi non si è fatto travolgere da essi, molto belli , quasi poetici alcuni passaggi sugli effetti delle scosse , sulla rovina dei fabbricati, sulla fragilità estrema della condizione umana in definitiva. Grazie Gabriella per aver condiviso questo testo che merita davvero di essere letto e riletto.
RispondiEliminaAngela: E' stato commovente leggere questa lettera. Ha fatto capire in modo sia emotivo che razionale il trauma che deve aver vissuto dopo aver appreso la notizia del terremoto. Grazie per averci dato la possibilita' di leggere anche noi questa lettera personale.
RispondiEliminaIn questa lunga lettera Pietro Corsi descrive la tragica esperienza del terremoto di Los Angeles, vissuta dai suoi cari mentre lui si trovava in Messico. La descrizione dei fatti è analitica e pacata, come se attraverso la narrazione lo scrittore ampliasse la propria coscienza per vedere con chiarezza in se stesso e nella realtà che lo circonda.
RispondiEliminaNei momenti difficili la scrittura per chi la pratica è un mezzo potente per esplorare il mondo esteriore ed interiore, per capire e cogliere ciò che c'è e come è. Scrivendo infatti l'esperienza viene rappresentata e ristrutturata, ed è questo che ho sentito con chiarezza leggendo lo scritto di Corsi. La lettera lunga ma avvincente comunica da un lato la precarietà della vita di tutti noi in un mondo in cui possono verificarsi improvvisamente fenomeni di gigantesche trasformazioni, dall'altro emerge la forza dell'umana resilienza, capacità che la gente molisana ha dimostrato di possedere quando con tenacia ha ricominciato a ricostruire sulle rovine per ritornare a vivere.
Grazie Gabriella per aver reso pubblica una lettera privata tanto bella e ricca di spunti di riflessione.
Ci scopriamo fragili ed inermi di fronte a disastri naturali inattesi e non prevedibili. La terra trema sotto i piedi, manca il fiato, il cuore in subbuglio, il desiderio di farcela. Corsi racconta in una lunga, intensa ed avvincente missiva l’esperienza vissuta nell’inverno del 1994, quando un terremoto scosse Los Angeles. Lui con la consorte lontani da casa e distanti dal figlio, che invece quel disastro lo visse sulla propria pelle. Una scossa tellurica che scompiglia i piani, ridisegna il futuro, costringe a percorrere itinerari altri. Con la gratitudine per lo scampato pericolo, e la speranza di riuscire a seguire il nuovo percorso. Il raffinato scrittore afferra per mano il lettore trascinandolo nel cuore del racconto, rendendolo protagonista degli eventi. E’ come vivere in prima persona e in un crescendo emotivo, la sua esperienza. Originario di Casacalenda, l’autore del romanzo “La giobba” riafferma anche in questo scritto l’eleganza della sua penna feconda.
RispondiEliminaI came to know Pietro Corsi through his books and his writing. I still keep Halifax, L'Altra porta D'America on my desk for quick re-readings. His work spoke to the heart of the immigrants; his stories gave all Italians a newfound culture, different from the culture they had left behind in Italy and unlike that of their new country, Canada.
RispondiEliminaHe recorded the difficult voyage immigrants faced in arriving at Pier 21 in Halifax and the hardships they encountered once on Canadian soil. At the same time, he also promoted the immigrant culture by bringing to the world's attention the outstanding contribution Italians made to the development of their new country.
In later years, I met Pietro Corsi, and I admired him even more for his straightforward demeanour and unassuming character. He was a much admired writer. He will be missed, he will be remembered.
Un ritratto intenso e commovente, quello di Delia.Come canadese di origine italiana, la scrittrice sottolinea con un personale sentimento di gratitudine il contributo dato da Corsi alla conoscenza del mondo degli italiani emigrati in America e del loro valore.
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