Pubblichiamo qui - tra gli altri - il ricordo personale di Rita Frattolillo, che lo ebbe come collega all'Istituto Magistrale di Campobasso
Le mie parole
di oggi sono come passi leggeri e sospesi nella memoria, quelli che calcavano
le aule dell’istituto magistrale di Campobasso dove Renato e io ci siamo
conosciuti, come colleghi. E’ li che si intrecciano i ricordi, scalando il respiro del tempo.
Era la fine dei
mitici ‘60, io ero nel Molise da poco, ed ero una giovane docente del
magistrale. Con occhi nuovi cercavo di comprendere la realtà che mi circondava,
di captarne il flusso vitale, e di Campobasso, città dove risiedevo e risiedo
tuttora, il genius loci, nell’intento
di condividerne la storia, di coglierne l’identità.
La mia era una
ricerca delle radici che in parte sentivo familiari, essendo io di origine
campana. E, appunto in quell’istituto, ho avuto la buona sorte di essere
collega di Renato, docente riservato, attento e scrupoloso, che non si
risparmiava per i suoi studenti, un gentiluomo di altri tempi.
Prima ancora di
incrociarlo fisicamente per i corridoi, ne avevo già sentito parlare: era stato
preceduto dalla sua fama di studioso infaticabile, particolarmente attivo nell’indagare
il Molise contemporaneo ᅳ andando a
ritroso fino al Medioevo e oltre ᅳ sotto l’aspetto storico-letterario,
economico-politico e antropologico. Partecipava a convegni di studi nazionali, ne
teneva di suoi, collaborava a riviste e giornali, offriva consulenze. Mi
rivolsi a lui, dunque, quando era da poco uscito il suo Il Molise tra storia e leggenda
(1966). Mi sono immersa incantata nella lettura di quelle leggende e tradizioni
fiorite nel tempo antico, un intreccio inestricabile di realtà, storia e immaginazione, una dimensione quasi onirica
e a tratti tinta di sacralità: mi sfilavano davanti agli occhi le figure di monaci, banditi, ninfe, dei santi
che per ospitare i loro resti avevano scelto
paesi some Sepino, Larino; e poi storie
ingenue e commoventi di fanciulle oneste e principesse tristi raccontate da un Renato
cantastorie.
Assorbendo quelle
vicende, ho attraversato i secoli, ne ho percepito il fragore, ho percorso col
pensiero quella rete sottile e tenace che congiunge indissolubilmente storia, tradizioni, territorio e popolo, e probabilmente è anche grazie a quel
prezioso volume ᅳ che tengo tra i miei più cari – che mi è cresciuta la spinta ad approfondire, a
saperne di più sul ricco patrimonio del Molise.
E infatti da
allora non mi sono più fermata nella ricerca a largo spettro sui personaggi, sui luoghi emblematici di certi eventi
storici o leggendari, sul patrimonio dialettale, e di tutto questo sarò sempre
riconoscente a Renato per avermi aperto le porte, per avermi svelato quel mondo
incontaminato, genuino, impastato di buoni sentimenti e buona creanza,
orgoglioso e fiero del proprio passato.
Nel volgere
degli anni Renato ha continuato a scandagliare il Molise, producendo una
quantità enorme di titoli di grande spessore e valenza, spaziando da figure
significative portate alla luce, come Zurlo, Ricciardi, Galanti, Longano,
Tagliaferri, Pepe, Cuoco, D’Ovidio, fino ai risvolti delle dinamiche
economico-politiche che hanno segnato il cammino della nostra regione.
Continuando a
seguire il suo generoso operato, in cui è stato affiancato senza riserve dalla
devota, cara Rosamaria Camposarcuno, che
ho conosciuto e ho avuto modo di stimare ᅳ anche lei docente appassionata ᅳ ho trovato conferma del fatto
che Renato aveva sin da subito l’intento di contribuire a dare spessore all’identità
del Molise, una terra molto travagliata, come sappiamo, dal punto di vista
territoriale e politico.
In questo senso
l’intento e il lavoro di Renato me lo facevano considerare nella stessa linea
tracciata nell’Ottocento dall’avvocato Pasquale Albino (1827-1899), proseguita da Giambattista Masciotta (1864-1933),
Berengario Amorosa (1866-1937) ed Eugenio Cirese (1884-1955).
Il prof Renato Lalli
con costanza, umiltà e grande spirito di servizio ha dedicato tutta la sua vita
e le sue energie migliori a questa terra, istituita finalmente come regione, (nel 1963) dopo
lunghe battaglie e molti contrasti politici; ricordo solo che ancora nel 1958
ai problemi del suo riconoscimento come regione si intrecciò la minaccia di
deviare le acque del Biferno verso la Campania. Nessun aspetto storico, politico, economico, sociale
è rimasto in ombra, tutto è stato dragato, e mi viene a mente tra le altre
pubblicazioni il volume della Samnium 1989 Dalla
“Provincia di Molise”( decretata nel 1806 da Giuseppe Napoleone re di Napoli
e della Sicilia) alla Ventesima
Regione-Storia, atti, dibattiti, documenti, che è uno dei tanti pilastri
eretti da Lalli per la conoscenza approfondita di questa terra...
Nell’ampia
visione storica di Lalli, tout se tient, perché Jovine ha riportato il Molise nella Storia riallacciando
il suo Viaggio nel Molise ai grandi
riformatori; perché Lina
Pietravalle nella sua opera ha creato una precisa individualità del Molise
arcaico, genuino, il suo Sannio mistico; perché l’emigrato
sindacalista Arturo Giovannitti, difensore dei diritti degli italiani in America,
ha sottolineato come fondamento della vita molisana la fatìa contadina, nostalgicamente rievocata nella “Nenia sannita” ,
che lui aveva sentito nelle campagne di Ripabottoni quando era piccolo.
Una parola in
più la vorrei spendere proprio sulla sintonia tra lo storico Lalli e la
scrittrice Lina, fondata sull’amore totale, viscerale ᅳ ma non per questo meno intransigente ᅳ per la
terra di Molise, amore che ognuno ha espresso con il suo lessico personale;
anche se, come osservò acutamente Rosamaria Lalli, l’amore di Lina si nutriva
di nostalgia, mentre quello di Renato si sostanziava della volontà di costruire
un’identità molisana attraverso la conoscenza e la diffusione della storia e
delle tradizioni.
E infatti il
rigoroso saggio filologico di Lalli incluso nel cofanetto (editato postumo nel 2013 da Claudio Di Cerbo) che
ospita l’intervista “impossibile” di
Gabriella Jacobucci con la scrittrice Salcitana, colpisce anzitutto per la capacità di Renato di cogliere, leggere dall’interno la produzione
letteraria della Pietravalle; al punto che il saggio diventa un canto a due
voci in perfetta sintonia.
Ma soprattutto egli
penetra nei nodi storici, ambientali ed etno-antropologici offerti dalla
scrittura della Pietravalle. Questo dà allo storico lo spunto e l’occasione per
punteggiare e approfondire la pagina letteraria trovando affinità, richiami e
paralleli con momenti e aspetti della storia del Molise e con gli scritti di
altri intellettuali, da Longano a Giovannitti a Jovine a Cirese a Leopardi, in
un’analisi ad ampio raggio e di grande respiro.
Vorrei chiudere
ricordando l’ultimo dono offerto al Molise da Renato, quando ha espresso il
desiderio di destinare le sue carte ai molisani, desiderio che Rosamaria, sua
amorevole e instancabile compagna di ricerche, ha esaudito, e ha messo ancora
una volta le mani tra quelle carte. Esse
rappresentano un ulteriore atto di generosità e amore dell’uomo e dello
studioso verso il quale tutti noi sentiamo di avere un forte debito di riconoscenza
e che vorremmo non fosse mai dimenticato.
Rita Frattolillo
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