di Barbara Bertolini
In Italia, in questo inizio di secolo, si sta riscoprendo il fumetto considerato fino a pochi anni fa come il parente povero della letteratura e quindi snobbato dai più, al contrario di quello che è avvenuto in paesi come la Francia, il Belgio o il Giappone dove ha avuto sempre un posto d’onore tra le arti. Ora, anche qui da noi, sempre più adulti cominciano a riconoscere al fumetto il valore di “libro” e, quindi, di letteratura vera e propria tanto che anche il Salone internazionale del libro di Torino ̶ che si è svolto a maggio ̶ gli ha dato molto spazio.
Parlo di
fumetti perché proprio quest’anno ricorre il ventennale della morte di uno dei
più grandi disegnatori di fumetti italiani: Benito Jacovitti.
Nato a Termoli
nel 1923, Benito Iacovitti moriva nella sua casa romana il 3 dicembre del 1997.
Debordante di fantasia, mano leggera e precisa sapeva disegnare, con grande
ironia, personaggi che inventava via via, come il pistolero alla camomilla Cocco Bill o la maestrina Osusanna Ailoviu e che rendevano le sue
storie esilaranti, assurde, paradossali.
E, per creare un clima surreale,
disseminava ovunque nelle vignette bei salamini, mani che uscivano dal terreno,
vermi con il cappello, lische di pesce, insomma dettagli minuziosi e
grotteschi. Il suo stile inimitabile ricreava un universo originale che lo
caratterizzava e lo distingueva da tutti gli altri disegnatori di strisce
animate.
Ma quello che
voglio raccontare qui è un aneddoto che è successo quando Rita e io decidemmo
di scrivere le biografie dei personaggi famosi del Molise. Biografie poi
raccolte nel libro “Molisani, milleuno profili e biografie” (Ed. Enne 1998).
Mandammo una lettera al nostro sia per avere informazioni su di lui, sia per
avere l’autorizzazione a pubblicarle. Malgrado vari tentativi non ricevemmo
nulla.
Per interessarlo al nostro messaggio ebbi un’idea. Io che ho vissuto tra
due culture: quella francese e quella italiana, sono sempre stata una grande
lettrice di fumetti nelle due lingue. Tintin, Astérix, Luky Luke, Gaston
Lagaffe, erano i miei compagni giovanili di risate per cui mi dissi perché non
scrivergli un fumetto invece di una lettera?
Detto, fatto. Avevo soggiornato abbastanza a Roma ̶̶ dove
risiedeva da tanti anni la famiglia
Jacovitti ̶ da averne imparato il dialetto. Immaginai un
dialogo tra me e la mia collega e, poiché non sapevo disegnare, mi venne l’idea
di illustrarci come due moscerini, facili da scarabocchiare. Tuttavia il disegno venne veramente male,
così scrissi, in perfetto stile fumettistico: “NB: disegno alquanto brutto ed impreciso, ma
le autrici non riescono a far meglio”.
Ed ecco il
testo:
***
Inutile dire
che dopo questa lettera ricevemmo subito la risposta del grande Jac che
probabilmente apprezzò il nostro, anche se misero, humor.
La morte del
grande cartoonist, avvenuta prima della pubblicazione del nostro libro, fu un
dramma nel dramma poiché, colto da emorragia cerebrale, spirò in ospedale e, a
poche ore di distanza, la moglie Floriana, detta Lilli, per il dolore fu
stroncata da un infarto. Se ne sono andati insieme lo stesso giorno; una coppia
che, sposata nel 1949, per quasi cinquant’anni aveva vissuto come gli
innamorati di Peynet, un amore di altri tempi come ricordò la figlia Silvia. Benito,
da fidanzato, per conquistare la sua Lilli le aveva spedito ben 1550 lettere!
Ma ecco la sua
biografia, curata da Rita, sul libro di Barbara
Bertolini e Rita Frattolillo, Molisani,
milleuno profili e biografie (ed. Enne), Campobasso 1998
JACOVITTI Benito - Termoli, 1923 Roma, 1997
Chiamato in gioventù "Lisca di pesce" per la
magrezza congiunta all'elevata statura, Jac (per gli amici) scopre i fumetti
quando si trasferisce a Macerata, nel '30. Il mondo dei comics, bizzarro e
divertente, con un pizzico di avventura, gli fa intravedere nuove prospettive,
che lo portano a Firenze, a disegnare sul Brivido, poi sul Vittorioso, sul
Giorno dei "Ragazzi" e sul Corriere dei Piccoli. Sempre più
affermato, approda a Linus, diretto da O. del Buono. La sua attività riflette
di pari passo le vicende storiche nazionali. A Roma, negli anni cinquanta e
sessanta, è ingaggiato per illustrare dei diari scolastici dalla carta gialla:
nasce così il famosissimo Diario Vitt che lo rende popolare per il segno pieno
e tondo, per l'allegra scomposizione anatomica degli ometti che disegna, e
soprattutto, segnale inconfondibile, per la curiosa disseminazione, nei posti
più impensati, di salumi e affettati di vario genere. Da allora ha inventato
centinaia di storie, spesso disegnate direttamente a penna sulle tavole, si è
cimentato in tutti i campi del disegno, dai cartoons ai fumetti agli strips,
alle vignette, alla pubblicità, ai manifesti, mostrando sempre una prolificità,
una originalità e un umorismo inesauribili. Ricca la galleria dei personaggi,
tra cui molto popolari sono stati gli esilaranti Cocco Bill e Tom Ficcanaso,
legati al western e al giallo d'azione, due filoni scarsamente esplorati negli
anni cinquanta sessanta. Nel '61 nasce Baby Tarallo "il gangster più
sfortunato della sua epoca"; quasi tutti questi characters sono ripresi dal loro autore che li evolve, anche
graficamente, aggiornandoli ai tempi che cambiano, magari dando loro altri
nomi. Così, ad esempio, Cocco Bill è in qualche modo debitore di Zorry Kid,
mentre Gionni Peppe è un gangster squinternato nella tradizione di Baby Tarallo
e Jack Mandolino. Di solito Jacovitti gioca le sue carte proprio sui
personaggi, sulle enormi possibilità di espressioni facciali e sulle combinazioni
plastiche consentite dai loro elementi costitutivi. Lo sfondo delle vignette
spesso è ridotto all'essenziale, mentre è addirittura sovrabbondante
quell'assembramento di segni, che rasenta il surrealismo a fumetti, un po’
delirante, dato dalla scena affollata in maniera imprevedibile e con
accostamenti assurdi, come vermi con berretto, pesci sull'asfalto, etc. Molti
lettori vedono in lui un erede dal teatro popolare, quello dei burattini, dove
le legnate si sprecano, ma dove il bene trionfa sempre. Altri gli rimproverano
un eccesso di violenza, con morti fatti a pezzi e sbriciolati. Tuttavia
Jacovitti riesce a creare un distacco tra il lettore e il racconto, magari
ricorrendo a qualche strizzata d'occhio al lettore, sicché l'episodio descritto
perde la carica di aggressività. Il linguaggio verbale di Jacovitti è originale
perché ricco di neologismi, calembours, non
sense e battute. In esso entra, oltre al linguaggio fanciullesco, l'uso
divertente dei dialetti e delle lingue straniere, naturalmente storpiate (con
traduzione simultanea). Il mondo di Jacovitti, pur essendo surreale, non
prescinde da riferimenti alla società che ci circonda. Così, i poveri peones di Cocco Bill somigliano agli
italiani meridionali, a volte i pellerossa parlano il siciliano e Manzo Brasato
parla in siculo indiano. Non manca all'appello il latino nelle avventure
mitologiche (Tizio Caio e Sempronio). In tutte le sue espressioni Jacovitti è
animato da un umorismo che si è fatto sempre più assurdo e sofisticato. Nel '92
Jacovitti, che è unanimemente riconosciuto come uno dei padri del fumetto
comico italiano, è stato premiato e l'opera celebrata con una grande
manifestazione al Salone del fumetto di Lucca. Nel '97 gli è stata affidata una
campagna informativo pubblicitaria della Scholl's. Il 3 dicembre dello stesso
anno, colto da emorragia celebrale, muore a Roma; qualche ora dopo si spegne la
sua compagna, la moglie Floriana.
Barbara
Bertolini, Rita Frattolillo©2017 tutti i diritti riservati
Non conoscevo le tue doti, ma sei più spiritosa di Jacovitti, Barbara! G.
RispondiEliminaVery nice posst
RispondiEliminagrazie, Barbara
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