PIETRO CORSI
RIPABOTTONI
DOMENICA 8 AGOSTO 2010
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E’ con vero piacere che partecipo, a questo incontro organizzato da Gabriella Iacobucci e devo dirlo, con molta simpatia, sia come operatore culturale che come editore – direttamente interessato –
devo aggiungere che questa è una scelta importante per la diffusione e la promozione della lettura.
In Italia si legge poco e nel Molise ancora meno per cui iniziative come queste sono veramente uniche ed importanti per diffondere e far nascere il gusto ed il piacere della lettura soprattutto nei giovani.
Non è’ la prima volta che parlo di Pietro in pubblico, dei suoi libri, e devo dire subito, la mia sarà una testimonianza sincera.
Il mio rapporto come editore e come amico si è svolto anche nella pubblicazione di alcune opere di narrativa.
Sono quasi trent’anni che dura l’amicizia con me e l’avventura-viaggio di Pietro Corsi.
Inizia nel 1982 con la pubblicazione de “La Giobba”, terzo volume della Collana editoriale periodica “Narratori” delle Edizioni Enne.
Un sodalizio quello con Pietro combinato da un amico comune Giose Rimanelli, Giose che sento fortemente presente, anche oggi, in questo momento, in questo incontro.
“La Giobba” parola di significato doppio: “Giobba” come lavoro e “ti faccio la giobba” per dire
ti faccio la pelle, ammazzare.
Dico questo perché quando lessi per la prima volta i due racconti del romanzo “ “Onofrio Annibalini” e “Rob Perussi” pensai a questo titolo, la parola “giobba” legava infatti le due vicende e i due racconti.
Due racconti di emigrazione, un inizio di narrativa da parte di Pietro Corsi emigrato molisano,
emigrato dalla doppia vita come tanti molisani addirittura tripla nel caso di Pietro, tripla vita e vitalità: come pensiero, come linguaggio e come comunicazione.
Forma e lingua, addirittura quadrupla, nel caso di Pietro: italiano, francese-canadese, inglese-americano e messicano.
Tutti questi stimoli diversi li vedo ancora come ingredienti di uno shaker; agitati e poi versati in tanti libri...
Nello shaker c’è anche l’acqua, l’acqua del mare, che come un’onda ricorre e si rincorre: da “La Giobba” del 1982 a “Ritorno a Palenche” del 1985, a “Omicidio in un paese di cacciatori” del 2000
sempre nella collana “Narratori”, un’onda lunga che ci ha accompagnati per tanti anni e che ogni anno ritorna.
Partenze che non sono partenze; ritorni che non sono ritorni, sempre ad inseguire il sole tra l’Italia,
la California ed il Messico.
Tanti anni tanti libri, ambientati in tanti luoghi, tanti luoghi diversi, come possono apparire agli altri, per me, tutti questi luoghi sono sempre stati i luoghi della memoria di Pietro, tanto è vero che, per me, Pietro rimane sempre nel Molise: a Casacalenda, la piccola patria, il piccolo porto di mare, sicuro, stabile, fisso, nella mente e nella memoria.
Questo gli ha permesso e gli permette, - novello Ulisse - di affrontare le onde del mare, il mare aperto, tanto c’è il porto sicuro per la mente ed il corpo: Casacalenda- Molise.
Questa è la mia testimonianza, ed è anche la risposta alla domanda che mi sono posto in questo giorni: “chi è Pietro Corsi per me?”; Pietro è l’amico sincero di sempre e non ho mai avuto paura di perdere la sua amicizia fraterna, la sua stima sincera.
La ricerca di Pietro Corsi non è mai stata una ricerca materiale, esteriore, ma è stata soprattutto
una ricerca spirituale, è stato un recupero, - come lo è per molti molisani, - un recupero delle proprie radici.
Gli orizzonti man mano che si sono presentati sono stati conquistati e superati. Ma dopo, dove si è ritrovato Pietro l’emigrante, Pietro il navigatore, Pietro il marinaio ?
Superati tanti orizzonti, tanti mari, tante montagne, tanti porti - si è ritrovato e si ritrova a Casacalenda, il paese “fatto a croce”, il paese di Giose Rimanelli, dove Corsi non ha mai preso né sarà mai contagiato, né si ammalerà di una malattia qual’è quella del “morbo dell’ozio”, questa malattia l’ha scongiurata, esoterizzata direi... in uno dei suoi ultimi romanzi, una malattia inventata
da lui, da Pietro Corsi, una malattia che si diffonde per tutto il paese, come un baco – diremmo oggi – l’ozio come mancanza di vita, una sorte di maleficio, una malattia del corpo e della mente che porta alla morte, alla follia…
E chiudo con un grazie a Pietro per quello che ci ha dato e che – son sicuro – per quello che ancora ci potrà dare.
Enzo Nocera
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