PIU’ GRIGIO CHE NOIR
di Mirco Cantoro
Fair is foul, and foul is fair
Hover through the fog and filthy air.
William Shakespeare, Macbeth 1.1.12-13
Avrei dovuto accettare l’offerta? O rifiutarla e rimanere con la coscienza a posto? Mi stavo davvero vendendo in maniera cosí facile e indolore? Avrei dovuto turarmi il naso e intascare? Tutto sommato si trattava solo di mettere da parte la mia integrità morale, per una volta... poi mi sarei tirato fuori dal sistema. Lo facevano tutti, dopotutto! Via, non sarebbe stato così grave confondersi con la massa, per una volta sola... l’importante era non assuefarsi, non allinearsi irrimediabilmente a quello che era diventato il trend della mia regione, lo scendere a compromessi per il proprio tornaconto. Quanto era ottimamente, splendidamente, sordidamente allineato al resto d’Italia, il mio Molise!
Non ha mai avuto un’esistenza molto tormentata, la mia piccola e giovane regione. Due piccole province, Campobasso e Isernia; una terza mai nata, Termoli, a rendere i suoi cittadini orgogliosi di essere incastonati come un gioiello nel mare Adriatico. Le cronache della mia regione, liberatasi seppur a fatica del complesso di inferiorità rispetto a vicini più ingombranti, non hanno mai avuto molto da offrire.
Tangentopoli ci investì a suo tempo, ma non in maniera così cataclismatica e catartica come nel resto d’Italia. Avevamo sicuramente altro a cui pensare mentre la gente sciamava davanti al Raphael per lanciare monetine a Craxi; mentre Santoro cantava Bella Ciao in prima serata; mentre i black blocs mettevano sottosopra Genova.
Non abbiamo mai avuto un’Anonima Sequestri, una camorra, una ‘ndrangheta locali. Come tutti, piangemmo quando morì Berlinguer, un po’ meno quando morì Craxi, un po’ di più quando Nassiriya reclamò vittime italiane. Siamo sempre stati spettatori disincantati, quasi mai protagonisti, della scena pubblica italiana. Le nostre vie e piazze hanno esibito da sempre con orgoglio i nomi dei padri della patria, e questo ci è bastato.
Ci siamo allineati al resto del Bel Paese nel preferire ora la sinistra, ora la destra, ma il centro è stata la scelta che, spesso camuffandosi sotto le spoglie alle sue estremità e identificandosi con una classe dirigente senza infamia e senza lode, ci ha traghettato con poche soluzioni di continuità fino al presente. Quando a Roma si dividevano le torte noi molisani abbiamo preteso la nostra fetta e l’abbiamo sempre ottenuta in rigorosa proporzione al nostro peso effettivo. A Roma, la nostra seppur piccola voce è stata generalmente ascoltata. Eppure tutto aveva un prezzo, come Mario Chiesa ci insegnò un lontano giorno di Febbraio del ‘92; quando erano in ballo grossi investimenti, come quelli richiesti nel caso di infrastrutture o altre opere di alta ingegneria, la possibilità di dare colpi di pollice agli eventi per instradarli per approssimazioni successive verso un vantaggio personale – spesso di natura economica – faceva gola a molti.
Come quando il progresso tecnologico, nella forma di una power plant a ciclo combinato da ottocento megawatt, fece irruzione prepotentemente nella vita dei termolesi.
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Giovanni mi telefonò nel pomeriggio di un afoso giorno d’Agosto mentre, in bermuda e maniche di camicia in giardino, stavo compilando l’ennesimo curriculum da infilare nella buca delle lettere assieme ad altre quattro buste già sigillate. Mi chiese di vederci al Masachi entro mezz’ora per un drink e subito intuii che se proponeva di anticipare l’aperitivo era sicuramente per qualcosa di importante, non per le solite chiacchiere. […] Mirco Cantoro