venerdì 1 dicembre 2017

Il molisano BENITO JACOVITTI un mito del fumetto



di Barbara Bertolini



In Italia, in questo inizio di secolo, si sta riscoprendo il fumetto considerato fino a pochi anni fa come il parente povero della letteratura e quindi snobbato dai più, al contrario di quello che è avvenuto in paesi come la Francia, il Belgio o il Giappone dove ha avuto sempre un posto d’onore tra le arti. Ora, anche qui da noi, sempre più adulti cominciano a riconoscere al fumetto il valore di “libro” e, quindi, di letteratura vera e propria tanto che anche il Salone internazionale del libro di Torino  ̶  che si è svolto a maggio  ̶  gli ha dato molto spazio.

Parlo di fumetti perché proprio quest’anno ricorre il ventennale della morte di uno dei più grandi disegnatori di fumetti italiani: Benito Jacovitti.

Nato a Termoli nel 1923, Benito Iacovitti moriva nella sua casa romana il 3 dicembre del 1997. Debordante di fantasia, mano leggera e precisa sapeva disegnare, con grande ironia, personaggi che inventava via via, come il pistolero alla camomilla Cocco Bill o la maestrina Osusanna Ailoviu e che rendevano le sue storie esilaranti, assurde, paradossali.
E, per creare un clima surreale, disseminava ovunque nelle vignette bei salamini, mani che uscivano dal terreno, vermi con il cappello, lische di pesce, insomma dettagli minuziosi e grotteschi. Il suo stile inimitabile ricreava un universo originale che lo caratterizzava e lo distingueva da tutti gli altri disegnatori di strisce animate.

Ma quello che voglio raccontare qui è un aneddoto che è successo quando Rita e io decidemmo di scrivere le biografie dei personaggi famosi del Molise. Biografie poi raccolte nel libro “Molisani, milleuno profili e biografie” (Ed. Enne 1998). Mandammo una lettera al nostro sia per avere informazioni su di lui, sia per avere l’autorizzazione a pubblicarle. Malgrado vari tentativi non ricevemmo nulla. 

Per interessarlo al nostro messaggio ebbi un’idea. Io che ho vissuto tra due culture: quella francese e quella italiana, sono sempre stata una grande lettrice di fumetti nelle due lingue. Tintin, Astérix, Luky Luke, Gaston Lagaffe, erano i miei compagni giovanili di risate per cui mi dissi perché non scrivergli un fumetto invece di una lettera?  Detto, fatto. Avevo soggiornato abbastanza a Roma  ̶̶  dove risiedeva  da tanti anni la famiglia Jacovitti  ̶  da averne imparato il dialetto. Immaginai un dialogo tra me e la mia collega e, poiché non sapevo disegnare, mi venne l’idea di illustrarci come due moscerini, facili da scarabocchiare.  Tuttavia il disegno venne veramente male, così scrissi, in perfetto stile fumettistico:  “NB: disegno alquanto brutto ed impreciso, ma le autrici non riescono a far meglio”.

Ed ecco il testo:


***
Inutile dire che dopo questa lettera ricevemmo subito la risposta del grande Jac che probabilmente apprezzò il nostro, anche se misero, humor. 

La morte del grande cartoonist, avvenuta prima della pubblicazione del nostro libro, fu un dramma nel dramma poiché, colto da emorragia cerebrale, spirò in ospedale e, a poche ore di distanza, la moglie Floriana, detta Lilli, per il dolore fu stroncata da un infarto. Se ne sono andati insieme lo stesso giorno; una coppia che, sposata nel 1949, per quasi cinquant’anni aveva vissuto come gli innamorati di Peynet, un amore di altri tempi come ricordò la figlia Silvia. Benito, da fidanzato, per conquistare la sua Lilli le aveva spedito ben 1550 lettere! 
 
Jacovitti e la moglie

Ma ecco la sua biografia, curata da Rita, sul libro di Barbara Bertolini e Rita Frattolillo, Molisani, milleuno profili e biografie (ed. Enne), Campobasso 1998

JACOVITTI Benito - Termoli, 1923   Roma, 1997
Chiamato in gioventù "Lisca di pesce" per la magrezza congiunta all'elevata statura, Jac (per gli amici) scopre i fumetti quando si trasferisce a Macerata, nel '30. Il mondo dei comics, bizzarro e divertente, con un pizzico di avventura, gli fa intravedere nuove prospettive, che lo portano a Firenze, a disegnare sul Brivido, poi sul Vittorioso, sul Giorno dei "Ragazzi" e sul Corriere dei Piccoli. Sempre più affermato, approda a Linus, diretto da O. del Buono. La sua attività riflette di pari passo le vicende storiche nazionali. A Roma, negli anni cinquanta e sessanta, è ingaggiato per illustrare dei diari scolastici dalla carta gialla: nasce così il famosissimo Diario Vitt che lo rende popolare per il segno pieno e tondo, per l'allegra scomposizione anatomica degli ometti che disegna, e soprattutto, segnale inconfondibile, per la curiosa disseminazione, nei posti più impensati, di salumi e affettati di vario genere. Da allora ha inventato centinaia di storie, spesso disegnate direttamente a penna sulle tavole, si è cimentato in tutti i campi del disegno, dai cartoons ai fumetti agli strips, alle vignette, alla pubblicità, ai manifesti, mostrando sempre una prolificità, una originalità e un umorismo inesauribili. Ricca la galleria dei personaggi, tra cui molto popolari sono stati gli esilaranti Cocco Bill e Tom Ficcanaso, legati al western e al giallo d'azione, due filoni scarsamente esplorati negli anni cinquanta sessanta. Nel '61 nasce Baby Tarallo "il gangster più sfortunato della sua epoca"; quasi tutti questi characters sono ripresi dal loro autore che li evolve, anche graficamente, aggiornandoli ai tempi che cambiano, magari dando loro altri nomi. Così, ad esempio, Cocco Bill è in qualche modo debitore di Zorry Kid, mentre Gionni Peppe è un gangster squinternato nella tradizione di Baby Tarallo e Jack Mandolino. Di solito Jacovitti gioca le sue carte proprio sui personaggi, sulle enormi possibilità di espressioni facciali e sulle combinazioni plastiche consentite dai loro elementi costitutivi. Lo sfondo delle vignette spesso è ridotto all'essenziale, mentre è addirittura sovrabbondante quell'assembramento di segni, che rasenta il surrealismo a fumetti, un po’ delirante, dato dalla scena affollata in maniera imprevedibile e con accostamenti assurdi, come vermi con berretto, pesci sull'asfalto, etc. Molti lettori vedono in lui un erede dal teatro popolare, quello dei burattini, dove le legnate si sprecano, ma dove il bene trionfa sempre. Altri gli rimproverano un eccesso di violenza, con morti fatti a pezzi e sbriciolati. Tuttavia Jacovitti riesce a creare un distacco tra il lettore e il racconto, magari ricorrendo a qualche strizzata d'occhio al lettore, sicché l'episodio descritto perde la carica di aggressività. Il linguaggio verbale di Jacovitti è originale perché ricco di neologismi, calembours, non sense e battute. In esso entra, oltre al linguaggio fanciullesco, l'uso divertente dei dialetti e delle lingue straniere, naturalmente storpiate (con traduzione simultanea). Il mondo di Jacovitti, pur essendo surreale, non prescinde da riferimenti alla società che ci circonda. Così, i poveri peones di Cocco Bill somigliano agli italiani meridionali, a volte i pellerossa parlano il siciliano e Manzo Brasato parla in siculo indiano. Non manca all'appello il latino nelle avventure mitologiche (Tizio Caio e Sempronio). In tutte le sue espressioni Jacovitti è animato da un umorismo che si è fatto sempre più assurdo e sofisticato. Nel '92 Jacovitti, che è unanimemente riconosciuto come uno dei padri del fumetto comico italiano, è stato premiato e l'opera celebrata con una grande manifestazione al Salone del fumetto di Lucca. Nel '97 gli è stata affidata una campagna informativo pubblicitaria della Scholl's. Il 3 dicembre dello stesso anno, colto da emorragia celebrale, muore a Roma; qualche ora dopo si spegne la sua compagna, la moglie Floriana.

Barbara Bertolini, Rita Frattolillo©2017 tutti i diritti riservati

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